Valutazioni di esperti sul report dell’ISS-ADHD

Safety of psychotropic drug prescribed for attention-deficit/hyperactivity disorder in Italy

P. Paneia, R. Arcieria, M. Bonatib, M. Bugarinia, A. Didonib & E. Germinario

Adverse Drug Reaction Bulletin,February 2010 No. 260

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Prof. Luigi Pedrabissi

Titolare della cattedra di Teoria e Tecniche dei Test

Facoltà di Psicologia dell’Universita di Padova

Analisi del Report “Safety of psychotropic drug prescribed for attention-deficit/hyperactivity disorder in Italy” di P.Panei et al.

Gli Autori analizzano in questo reportle conseguenze plurime (neurologiche, psichiatriche, gastrointestinali, cardiache, epatiche, ecc.) in una popolazione di 1424 ragazzi e adolescenti (età 6 – 18 anni) con diagnosi ADHD, iscritti in un Registro nazionale italiano: 781 di essi trattati con “atomoxetina” e 643 con methylphenidate.

Dei pazienti trattati con atomoxetina, 52 su 781 (6.6%) hanno evidenziato gravi reazioni negative, mentre fra quelli trattati con methilphenidatesolo 11 su 643 (1.7%) hanno manifestato altrettanto gravi reazioni. Il rischio quindi di serie reazioni negative è leggermente maggiore nei soggetti curati con atomoxetina che non in quelli che assumono methilphenidate. Quasi tutti i restanti soggetti hanno mostrato le comuni reazioni negative ai due farmaci, anche se un po’ più frequenti nel primo gruppo rispetto al secondo.

Rilievi metodologici.

  1. Non sono chiari gli obbiettivi e le ipotesi del report, cioè che cosa volessero dimostrare gli Autori con questo lavoro.
  2. Non si tratta di una ricerca sperimentale seriamente impostata, per vari motivi:
    1. I due gruppi messi a confronto non sono costituiti in modo random (limite di cui gli Autori sono consapevoli e che ammettono, ma questa è una condizione imprescindibile, dirimente, se si vogliono effettuare confronti fra gruppi, pena l’insostenibilità delle conclusioni);
    2. I soggetti utilizzati sono troppo eterogenei per età, caratteristiche fisiche, provenienza, ecc. Quanto meno queste variabili avrebbero dovuto essere pareggiate nei due gruppi, azzerandone così l’effetto;
    3. Anche se gli Autori affermano che le diagnosi di ADHD sono state fatte secondo i criteri del DSM-4, provenendo da medici diversi che operano in Centri di salute mentale sparsi sul territorio nazionale, probabilmente non sono immuni da influenze valutative soggettive;
    4. Essendo uno studio retrospettivo e non condotto in cieco, non si possono escludere “bias” nella raccolta dati (osservazione, aspettative del medico, valutazione delle reazioni, ecc.)
    5. Trattandosi di un confronto basato su percentuali, sarebbe stato meglio usare il CHI quadrato o un altro test non parametrico più sicuro e convincente rispetto alla “odds ratio”

In conclusione, da questo reportemerge che entrambi i farmaci usati (amotoxetina e methilphenidate) nel trattamento della cosiddetta sindrome ADHD hanno conseguenze avverse, alcune più comuni altre più gravi, ma la amotoxetina sembra averne un po’ di più. In altre parole l’una fa male, l’altra un po’ di più.

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William B. Carey, M.D.

Clinical Professor of Pediatrics

University of PennsylvaniaSchool of Medicine - Division of General Pediatrics,

The Children’s Hospital of Philadelphia - May 12, 2010

La relazione di Panei et al. "La sicurezza di psicofarmaci prescritti per la sindrome da deficit di attenzione e iperattività in Italia" del febbraio 2010, pubblicato nel Adverse Drug Reaction Bulletin conclude che "risulterebbe che l'amoxitina riporti un tasso di effetti avversi segnalati maggiore rispetto al metilfenidato". Tuttavia, riporta un tasso di "gravi reazioni avverse" del 1,7% solo per il metilfenidato, dato non concorde report provenienti da altre fonti, in cui questi effetti sono più frequenti. I dati in suo possesso indicano "Eventi avversi comuni" a 445/643 o 69%. I limiti metodologici dei propri studi lasciano dubbi circa le conclusioni di questo lavoro, almeno per quanto riguarda l'entità del rischio elevato per il metilfenidato.

1) Dati i criteri vaghi e soggettivi del DSM per l'ADHD e le grandi differenze tra i medici selezionati a parteciparvi, dobbiamo chiederci quanto fossero omogenee le popolazioni soggette.

2) Non vi sono informazioni sul motivo per cui alcuni bambini sono stati selezionati per una prescrizione di atomoxetina piuttosto che di metilfenidato, fatto che avrebbe potuto portare a una grande differenza nei dati risultanti.

3) Cosa succede ai bambini che in precedenza avevano abbandonato il programma terapeutico a causa di reazioni avverse, e non erano quindi disponibili per la valutazione finale?

4) Lo studio è retrospettivo e non condotto a doppio cieco (per limitare bias osservatore)

5) Una dichiarazione di assenza di sostegno da parte delle case produttrici dei farmaci oggetto del rapporto ne avrebbe migliorato la credibilità.

L'ADHD è molto sovra-diagnosticato e sovra-prescritto negli Stati Uniti. La maggior parte dei bambini sono diagnosticati in modo non corretto: sono spesso turbati da problemi di interazione con l'ambiente, senza alcuna prova di malfunzionamento del cervello. Hanno bisogno di una appropriata gestione psico-sociale e probabilmente non dovrebberoricevere cure con farmaci psicotropi. Questo è il modo migliore per evitare reazioni avverse ai farmaci. L'esperienza di follow-up ha già messo in dubbio l'entusiasmo iniziale sullo studio MTA.

The report by Panei et al. “Safety of psychotropic drug prescribed for attention-deficit/hyperactivity disorder in Italy” in the February 2010 issue of the Adverse Drug Reaction Bulletin concludes that “amoxitine is more likely to be reported as causing harm then methylphenidate.” However, it found a “serious adverse reaction” rate of only 1.7% for methylphenidate, which does not agree with reports from elsewhere that they are much more common. Their own data indicate “common adverse events” in445/643 or 69%. The methodological limitations of their study leave the conclusions ofthis work in doubt at least as to the extent of the significant risks of methylphenidate.

1) Given the vague and subjective DSM criteria for ADHD and the many different physicians selecting participants, we have to wonder how much homogeneity there was in the subject populations.

2) There is no information as to why some children were selected for a prescription of amoxitine rather than methylphenidate, which could have made a big difference in the outcome data.

3) What about the children who had previously dropped out of the medication program because of adverse reactions and were not available for the final assessment?

4) The study was retrospective and was not double blinded to limit observer bias.

5) A statement of denial of drug company support would have improved credibility of the report.

 

ADHD is greatly overdiagnosed and overtreated in the USA. Most children getting the label incorrectly here are troubled by environmental interaction problems with no evidence of any brain malfunction. They need psychosocial management and probably should not be getting any psychotropic medications. That is the best way to avoid drug reactions. Follow-up experience has cast doubt on the initial enthusiasm about the MTA study.

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Comments on:

Panei, P. et al. Safety of psychotropic drug prescribed for attentiondeficit/hyperactivity disorder in Italy, Adverse Drug Reaction Bulletin 2010; 260

(February); 999-1002.

David Cohen, Ph.D.

Professor

RobertStempelCollege of Public Health and Social Work - FloridaInternationalUniversity, Miami, USA

cohenda@fiu.edu

REVISED, 8 June 2010

 

The above-mentioned report by P. Panei and colleagues aims to describe adverse reaction notifications to the Italian Registry of children who receive pharmacological interventions for “ADHD.” The data are presumably on the first 1424 children registered in the Registry after the first 30 months of operation.

    1. It would be helpful to know the exact date when the Registry began operating, that is, the date when the first child was registered.
    2. For a first population‐based report on the Italian Registry data, data on the average length of drug treatment should be reported. In other words, how long are children staying on their treatment?
    3. I will not comment on the questionable description, at the beginning of the report, of “ADHD” as a “prevalent childhood developmental disorder” which gives rise to “serious impairments,” etc.
    4. The first paragraph of the “Results” section (p. 1001) is not exactly clear (probably due to a problem with English phrasing) on whether the results cover all children diagnosed with ADHD in the Italian Registry, or merely those children who received methylphenidate or atomoxetine. I am assuming that it refers to all children in the Registry.
    5. If the Italian Registry is compulsory, and therefore if all children receiving any sort of drug treatment for ADHD in Italy are registered, then the number of 1424 children in 30 months represents an extremely low rate of pharmacological treatment of “ADHD,” given Italy’s population of about 60 million people, including about 8.5 million children aged 0‐14 years. In that sense, it appears that Italian mental health specialists have remained very conservative and the rates of both diagnosis and drug treatment of ADHD remain minimal in Italy. (I do not possess current data on rates of drug treatments of other “mental disorders” in children in Italy.)
    6. There are two major confusing aspects of the report. First, the text states in a couple of passages that “Sixty‐three patients experienced serious adverse events…” (p. 1001, my italics), but both Table 2 and Table 3 mention only “adverse events.” This is a discrepancy. (In the accepted international nomenclature, “serious” adverse events are considered to be either life‐threatening or fatal, or producing obvious or permanent disability, or leading to hospitalization, or a combination of these factors. Several of the adverse events listed in the tables, however, do not seem to fit these criteria.) Second, in contradiction to Tables 2 and 3, the text states: “The common adverse events are more frequent in children who have taken atomoxetine (734 patients) compared with those taking methylphenidate (445 patients)” (p. 1001, my italics).
      In other words, the second passage cited above suggests a much higher rate of “adverse events”: 734/781 children (93.9%) who took ATMX experienced a “common” adverse effect, and 445/643 of children (62.9%) who took MPH experienced an adverse effect.
    7. If Tables 2 and 3 describe only serious adverse events, then the full details of the other “common” adverse events, which affected most children in the Registry, should also be reported. These might be expected to include insomnia, nervousness, abdominal pain, depression, headaches, etc.
    8. The preponderance of adverse effects from ATMX, rather than methylphenidate, in this report fits with my own estimation, based on my review of the early clinical trials of atomoxetine (1984‐2001) and my careful examination of the U.S. FDA’s own 2001 evaluation of the ATMX application for marketing.
    9. In most clinical trials, drug doses are reported as mg/kg of weight. Also, the standard deviations of the average doses should be reported, as well as the ranges of the doses. Without this information, it is somewhat difficult to assess whether “lower” or “higher” doses are being prescribed to these children.
      However, in comparison to doses typically used in the USA, the average daily dose of 18.5 mg of MPH seems rather low given the average age of the children (10.8 years). For example, as reviewed by Connor & Meltzer (Pediatric Psychopharmacology, 2006, Norton), the average dose of MPH in the large MTA study (n=579, 7 to 9 years old) was 30.5 mg per day. In the Greenhill et al. (2002) study of 321 children aged 6 to 16 years, the average dose of MPH was 40.7 mg per day. The lower average daily dose in the Italian children would help partly to account for the general absence of psychiatric adverse effects from MPH. However, other factors, including under‐recognition by families and practitioners, and underreporting, could also account for this. That psychiatric adverse effects are reported for ATMX partly offsets the importance of this potential bias in these data.
    10. In sum, the total number of Italian children taking either ATMX or MPH for ADHD appears quite low relative to other European nations, and certainly relative to the USA, Australia, Canada, and the UK. However, if I understood the text properly, it appears that a high rate of 69.2% of adverse effects was experienced on MPH and an extremely high rate of 93.9% on ATMX. Details or summaries of these adverse effects were not provided in any table, which is a deficit of this report.

If I understood the text properly, the rates of serious adverse effects were 1.7% on MPH and 6.6% on ATMX. A rate of 1.79% (14/781) of cardiac abnormalities was recorded for ATMX by 6 months of treatment, which is a worrying sign. The higher rates of psychiatric disturbances and suicidal ideation on ATMX compared to MPH are all consistent with case reports and other literature on ATMX since it has beenmarketed in the USA in 2002.

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Maria Silvia Barbieri
Professore di Psicologia dello Sviluppo

Facoltà di Psicologia, Via S. Anastasio, 12, I-34134  Trieste
Tel: +39 040 558 2702, Fax: +39 040 4528022, cell  347 0482810
e-mail: barbieri@units.it

 

In generale, il lavoro mi sembra di grande interesse, in quanto riporta dati sul Registro Italiano, un aspetto che mi pare importante. Le debolezze del report, peraltro menzionate anche dagli stessi autori consistono:

1) nella mancanza di controllo sull'assegnazione dei trattamenti (ciascun medico può aver assegnato il soggetto all'uno o all'altra trattamento secondo criteri individuali di cui comunque non siamo a conoscenza); e

2) nella mancanza di controllo sui tempi del trattamento, in quanto i dati si riferiscono ad un arco di 30 mesi, al cui interno ciascun soggetto è stato in cura per un tempo diverso. A questo proposito, un follow-up potrebbe essere di grande interesse per consentire di comparare soggetti che sono stati in cura per un arco di tempo similare.

In prospettiva,sarebbe anche interessante sapere se vi siano dei soggetti che presentano effetti avversi multipli e con quanta frequenza questo fenomeno si verifichi.
Da ultimo, vorrei far notare che le percentuali mostrate nella tabella 2 devono essere considerate con grande cautela, soprattutto per quanto riguarda i valori relativi al metilfenidato perchè, quando i numeri sono così piccoli, basta lo spostamento di un soggetto a far cambiare molto vistosamente la percentuale (ad esempio, 2 soggetti su 11 corrispondono al 18%, ma 3 su 11 sono già uguali al 27%). Al contrario, quando la base di dati è più ampia le percentuali hanno maggiore stabiltà.

Per concludere, ritengo i dati presentati importanti da conoscere, ma tali comunque da essere più indicativi che altro, in quanto mancano di quella base che usualmente rende affidabili i lavori sperimentali e che consiste nel fatto che le variabili che si ritengono più importanti vengono tenute sotto controllo.

Vorrei però anche sottolineare gli aspetti di interesse del lavoro. Ritengo importante che si inizino a pubblicizzare i dati del registro. Fra questi, certamente l'informazione relativa alla percentuale superiore di effetti avversi che si verificano con l'atomoxetina rispetto al metilfenidato mi sembra affidabile, in quanto sottoponibile a controllo statistico.

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Erminio Gius

Professore ordinario e titolare della 1' cattedra di Psicologia Sociale

presso l'Università  degli Studi di Padova

L’articolo Safety of psychotropic drug prescribed for attention-deficit/hyperactivity disorder in Italy risulta un importante studio di clinica farmacologica. Il risultato principale consiste nella rilevazione che tra i due farmaci psicostimolanti, usati per il trattamento del disturbo deficit attentivo/iperattività nei bambini e nei giovani adulti, lo Strattera presenta maggiori effetti collaterali del Ritalin. Da questo articolo è possibile tuttavia far emergere altre riflessioni, di carattere etico e psicologico, considerando che lo scrivente non si occupa direttamente di indagini farmacologiche.

Gli autori stessi sottolineano l’esigenza di trattare tale disturbo non solo dal punto di vista farmacologico. Ad oggi tale affermazione dovrebbe risultare ovvia, eppure per molti disturbi si continua a privilegiare il trattamento farmacologico come trattamento elettivo, se non unico. Se in tale articolo la conclusione è che si debba privilegiare un farmaco dai minori effetti collaterali, risulta comunque sorprende quanto essi siano, anche in questo secondo caso, invalidanti, specialmente se consideriamo la giovane età dei soggetti. Sicuramente risulta fondamentale che in Italia sia stato istituito un registro nazionale, rimane tuttavia sbalorditivo il numero di bambini e ragazzi che ne sono iscritti.

Le scoperte delle attuali neuroscienze portano a sottolineare come la psicoterapia stessa modifichi il funzionamento cerebrale. A tal proposito due importanti studiosi di neuropsicoanalisi, Mark Solms e Oliver Turnbull (2002) dicono

“I farmaci possono produrre cambiamenti adattativi nei circuiti neurali, ometterei circuiti neurali in uno stato in cui adattamento e apprendimento risultino facilitati. Ma non c'è alcuna garanzia che, abbandonato a se stesso, il cervello apprenda le cose giuste. E' probabile che i pazienti, in altre parole, traggano un maggior beneficio dalla terapia farmacologica qualora l'adattamento indotto dai farmaci nel loro cervello sia orientato in modo sensato.I pochi studi sinora condotti per controllare empiricamente gli effetti delle diverse forme di psicoterapia, mediante le odierne metodiche di imaging funzionale, giungono, in sostanza, a questa stessa conclusione. In primo luogo, mostrano che l'attività funzionale del cervello è di fatto alterata dalla psicoterapia. In secondo luogo, indicano come i cambiamenti specifici siano correlati con i risultati terapeutici. In terzo luogo, e in modo del tutto coerente con quanto affermato, rivelano che questi cambiamenti strettamente correlati agli esiti terapeutici sono localizzati essenzialmente nei lobi prefrontali”.

Mi sembra che la recente proposta di legge (presentata il 16 Febbraio 2010) di istituire la figura professionale dello psicologo di base, convenzionato con il servizio sanitario nazionale (SSN), sia molto importante, per poter intervenire dal principio, cioè nel momento della diagnosi, sulla creazione di un progetto che prenda in carico la persona e la famiglia nel suo insieme e non si focalizzi solo sulla risoluzione immediata dei sintomi. Ciò è coerente e conforme sia ai risultati della ricerca scientifica in psicologia universalmente accreditati nel senso sopra citato, sia ad un meditato e severo controllo rivolto alla salvaguardia della dignità della persona che non può essere offesa da interventi esterni spesso indebiti e inappropriati.