Dalla rivista Psicologia e Scuola, numero 21, Ottobre-Novembre 1984, Giunti Barbèra ed.

Fuga (Apprendimento di)

Claudio Ajmone




Questa classe di comportamenti è certamente antica quanto l’uomo e la sua importanza è ovvia sia sotto il profilo ontogenetico che filogenetico. Benché il concetto non sia sostanzialmente diverso da come è inteso dal senso comune, gli psicologi lo hanno tradotto in un paradigma dal quale emerge definito con precise caratteristiche. Ciò ci permette di analizzare molti fatti, anche quelli che attivano bassi livelli di ansia, come appartenenti ad una sola classe di comportamenti, con notevoli vantaggi.

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Un comportamento che pone termine all’aversività che uno stimolo produce nei con fronti del soggetto che lo emette è una fuga.
Appare chiaro che nella definizione possono rientrare moltissimi comportamenti, da quello banale a quello drammatico. Quali sono i fattori comuni a questa vasta gamma di situazioni, grazie ai quali noi ci sentiamo autorizzati a fare lo stesso tipo di analisi? Vediamo come si è proceduto nei laboratori di sperimentazione animale per definire il concetto operazionalmente. Farò ora degli esempi per evidenziare gli equivalenti a livello umano:

1) Presenza di uno stimolo aversivo
— Lab. animale: una scossa elettrica (stimolo incondizionato).
— Liv. umano: presenza di stimoli fobici, ascoltare una lezione noiosa, la suocera è venuta a trovarvi, è scoppiato un incendio, avete mal di denti, state aspettando il vostro turno per dare un esame.

2) Durata dello stimolo aversivo
— Lab. animale: persistente.
— Liv. umano: lo stimolo fobico continua a minacciarvi, la lezione noiosa si protrae, la suocera vi critica in continuazione ed è logorroica, non si riesce a domare l’incendio, il mal di denti si acuisce, l’attesa per l’esame è lunga e snervante.

3) Casualità dello stimolo aversivo
— Lab. animale: la scossa non è correlata con alcuna classe di risposte.
— Liv. umano: il cane non vi appare perché vi state recando al lavoro, la lezione non è noiosa perché lo studente è a scuola, la suocera non vi critica perché l’avete ospitata, l’incendio non è scoppiato perché avete deciso di fare lo shopping, cosa avete fatto per avere il mal di denti?

4) Emissione di un comportamento che termina lo stimolo aversivo
— Lab. animale: il topo preme una leva e la scossa cessa (rinforzamento negativo).
— Liv. umano: entrate in un bar sperando che il cane non vi segua, lo studente che si annoia si mette a leggere un giornalino, dite alla suocera che avete un impegno e uscite, scappate dal magazzino in fiamme, prendete una pastiglia per il mal di denti?
Quando riscontriamo tutti questi fattori, siamo legittimati a parlare di fuga. Il livello di ansia associato varia molto ed è funzione dello stimolo che la determina.
La cosa forse sorprendente per il lettore è che si può emettere un comportamento di fuga senza allontanarsi fisicamente. L’alunno che si annoia può mettersi a leggere un giornalino, guardare fuori dalla finestra o semplicemente fantasticare senza muoversi dal banco (fuga cognitiva). Se state conversando con un amico e questi inizia un discorso per voi molto imbarazzante, è facile che tentiate di fargli cambiare argomento di conversazio-ne, sia pure con le dovute maniere. Anche questo è fuga. Naturalmente avete fatto ciò restando magari seduti comodamente in poltrona. F inoltre impossibile fuggire fisica-mente dai propri stimoli interni.

L’utilità di questo paradigma è da ricercare non tanto nelle situazioni in cui vi è un reale pericolo, ma piuttosto in quelle ove non c’è e il soggetto manifesta elevata ansia. La fobia della scuola ne è un esempio. Ma è utile anche per le situazioni ove non vi è ansia apparente, essendo essa a livelli molto bassi. E proprio in questi casi che facciamo gli errori più gravi di valutazione.