Per fobia della scuola si intende il rifiuto che lo studente manifesta ad andare a scuola, avendo ad essa associato intensa ansia che si evidenzia con disturbi psicosomatici che coinvolgono prevalentemente l’apparato gastrointestinale: nausea, vomito, diarrea, dolori allo stomaco, mal di testa, disturbi del sonno. Questi disturbi cessano non appena il soggetto ha la certezza che non andrà a scuola; questa non è la prova che il soggetto finge di star male, ma la logica conseguenza della scomparsa dello stimolo fobico prodotta dall’evitamento: sapere di dover andare a scuola = ansia = evitamento della scuola motivato dalla malattia = riduzione dell’ansia (rinforzo negativo).
Kennedy, sulla scia di Coolidge (1957), distingue due tipi di fobia. Il tipo 1 è meno grave e
insorge dopo alcuni anni di scolarità nelle scuole materne e elementari. Il tipo 2 è grave essendo la fobia solo uno dei tanti problemi che ha il soggetto, ed insorge nella scuola media.
1. È il secondo, terzo o quarto episodio.
2. Inizia di lunedì, dopo una malattia anche leggera.
3. Compare in modo incipiente.
4. Prevalente tra i bambini o adolescenti che frequentano le classi superiori.
5. Non si preoccupa della morte.
6. Non si preoccupa particolarmente della salute della madre.
7. La comunicazione tra i genitori non è buona.
8. La madre presenta un comportamento nevrotico; il padre un disturbo del carattere.
9. Il padre mostra scarso interesse per la famiglia.
10. I genitori non collaborano.
A) Approccio psicodinamico
Johnson (1941) interpreta la fobia come ansia di separazione bambino-genitore, escludendo che vi sia paura per la scuola. Waldfogel (1957) sostiene che vi sia paura della scuola dovuta a proiezione dell’ansia dalle figure parentali.
B) Teoria dell’autenticità della fobia
Loventhal e Sill (1964) rigettano l’interpretazione psicodinamica argomentando che: a) la fobia non compare all’inizio della scolarizzazione come sarebbe logico attendersi se fosse ansia di separazione; b) i soggetti sono in grado di stare senza i genitori in altri contesti anche se hanno una grave fobia della scuola. Essi propongono di interpretare il disturbo come reazione all’insuccesso scolastico in soggetti con una immagine irrealistica delle proprie capacità.
C) Approccio comportamentale
In questa ottica viene dato credito ad entrambe le precedenti teorie; tradotte, ovviamente, nel linguaggio delle teorie dell’apprendimento (Yates, 1970).
Il parametro più oggettivo per valutare questa fobia consiste nel sommare i giorni di assenza effettuati dallo studente. L’incidenza statistica varia in funzione del Criterio diagnostico adottato, dell’ampiezza e natura del campione utilizzato. Si passa così dall’l% di Chazan (1962) all’8% di Kahn e Nurstein (1962), con picco tra i 6-10 anni (E.W. Kelly; D.A. Leton; S. Smith); in Inghilterra il picco è 11-12 anni, età questa in cui termina la scuola elementare inglese.
L’intelligenza di questi studenti segue la distribuzione normale (S. Smith), il disturbo non è correlato al sesso (S. Waldfogel; J. Coolidge), è invece significativamente più presente nei figli unici e nei più giovani tra i fratelli (S. Smith).
Da una ricerca condotta da Hersov (1960) emergono le seguenti caratteristiche distintive tra i soggetti fobici e quelli che «marinano la scuola»:
a) soggetti fobici: madre iperprotettiva, disturbi dell’alimentazione, nausea e dolori addominali, disturbi del sonno, ansia;
b) soggetti che «marinano»: disciplina inconsistente a casa, comparizioni al tribunale dei minori, attitudine alla menzogna, episodi di furto, abitudine ad allontanarsi da casa, enuresi.
È molto importante che genitori e insegnanti riconoscano subito questo disturbo. Un trattamento attivato a pochi giorni di distanza dal suo insorgere (fobia di tipo 1) risolve il problema senza difficoltà. Se trascurato diventa uno dei più gravi problemi dell’età evolutiva. Ci sono soggetti che accumulano settimane, mesi e persino anni di assenza da scuola.