IL MALINTESO

Alla ricerca di soglie e fraintendimenti nella storia di Barbablù


Stefania Catinella

Riconoscere la differenza ed accettarla può significare prendere atto della diversità e della paura di essa; il Malinteso si può considerare una forma di difesa dalla differenza, scegliendo più o meno consciamente di non capire ciò che si ha davvero davanti. La differenza spesso fa orrore, la si può avvertire come una minaccia, percependo l'insormontabilità e l'irriducibilità della diversità.

La zona d'ombra creata dal Malinteso diviene un luogo comodo per vivere, riduce l'attrito tra le individualità distinte, addolcendo gli spigoli e lasciando la falsa illusione di comprendersi. Prendere esatta coscienza della differenza è un'esperienza che non si è sempre in grado di gestire e di ammortizzare...

Qualcuno non sopporta tale consapevolezza ed è indotto a distruggere chiunque gliela ricordi, ma non riuscire a concepire la differenza porta all'incapacità di cogliere la propria individualità, in un processo di eliminazione dell'altro che finisce per rivelarsi autodistruttivo...

La consapevolezza dell'unicità dell'essere umano tra gli umani, tutti diversi eppure uguali, porta ad avere momenti di gioia e di grande sconforto: quando i propri occhi mostrano sfumature di colore che ad altri non sembrano degne di nota e che per te sono un motivo sufficiente per vivere una giornata soddisfacente, arriva la gioia di essere se stessi e di saper godere delle proprie private emozioni, ma quando si cerca un'altra anima a cui comunicare la propria emozione per condividerne la piccola scoperta, se non la trovi, se avverti che del tuo sentire manca la percezione dell'intensità nell'animo dell'altro, ecco che sopraggiunge la freddezza travolgente della solitudine.

Il Malinteso.

Tante volte ci si lamenta della sua perniciosa esistenza, di come complichi la vita doversi cimentare con le diverse sfumature e interpretazioni a cui l'uso stesso della parola ci sottopone; quanto è dolente essere frantesi, non afferrare esattamente l'essenza di quanto ci viene comunicato...

Eppure questa zona d'ombra, questo cuscinetto morbido e invisibile ma a volte quasi palpabile, che ostacola la reale comprensione di sé e di ciò che ci circonda, secondo me spesso ci salva la vita.

Non capirsi certe volte è essenziale per il quieto vivere reciproco, ma soprattutto per se stessi, perché finche si può credere di aver inteso, o meglio ancora, finché si può attribuire al fatale Malinteso la colpa di un equivoco, l'individuo non è costretto a scontrarsi con la presa di coscienza di se stesso, con il conflitto inconciliabile delle diverse nature, con la triste consapevolezza della diversità.

Per esemplificare cosa intendo dire ho scelto di analizzare la storia di Barbablù, nella versione riportata da Clarissa Pinkola Estés nel libro "Donne che corrono con i lupi", diversa dall'originale francese, in cui mi appare più visibile una chiave di lettura che si discosta da quella tradizionale della punizione per il tradimento della fiducia del mostro e la soddisfazione della curiosità.

La storia fu ideata da Perrault, e non si può definire una fiaba perché eccettuato il particolare della chiave sanguinante, non vi è alcun elemento magico o soprannaturale, i personaggi non attraversano alcuna fase di sviluppo, la punizione del cattivo non procura né salvezza né consolazione.

Mancano dei precedenti diretti per questo racconto, che in genere si ritiene inventato dallo scrittore francese, e pochissime sono in generale le fiabe imperniate sul motivo di una stanza segreta in cui non bisogna entrare perché cela i cadaveri di donne assassinate ( tra cui L'uccello di Fichter dei fratelli Grimm); sono fiabe in cui si ha una completa salvezza delle vittime e il malvagio non è un essere umano.

Che si tratti di Barbablù o del mago nell'Uccello di Fichter, appare chiaro che quando l'uomo consegna alla donna la chiave di una stanza e nello stesso tempo le raccomanda di non entrare, intende mettere alla prova la fedeltà ai suoi ordini, ovvero a lui stesso. Tornando inaspettatamente scopre che la sua fiducia è stata tradita. La natura del tradimento è intuibile dalla punizione: la morte.

In passato, in certe parti del mondo, solo l'infedeltà sessuale poteva costare la vita ad una donna. L'oggetto che tradisce la donna è magico perché una volta toccato dal sangue, non può essere lavato; il motivo del sangue che non si può lavare è molto antico, ed è sempre segno di un misfatto commesso (per esempio in Shakespeare, Lady Macbeth sa di essere lordata anche se nessun altro può vedere il sangue sulle sue mani).

La chiave che apre una stanza segreta suggerisce associazioni all'organo sessuale, quando l'imene si rompe e lo macchia di sangue; se questo è uno dei significati nascosti si comprende perché il sangue non possa essere tolto: la deflorazione è irreversibile.

Nel Barbablù di Perrault appena il padrone di casa finse di partire, fu celebrata una grande festa a cui parteciparono persone che non avevano mai osato varcare la soglia del castello con lui in casa. Si lascia intendere che tutti se la spassarono, e il sangue sulla chiave sembra simboleggiare che la donna ebbe rapporti sessuali, la colpa più grande che poteva commettere.

Ad un livello più evidente Barbablù è una storia sugli aspetti distruttivi del sesso, con alcune discrepanze. Per esempio la donna, dopo la terribile scoperta, non fugge né chiede aiuto, come se pensasse che quanto ha visto sia frutto della sua ansietà colpevole, o come se sperasse che il marito non si accorga di nulla.

Questa storia, vere o no le interpretazioni supposte, dà corpo ad emozioni che i bambini conoscono bene: l'amore geloso e i sentimenti sessuali, tentatori e pericolosi, che nella forma di questo racconto, sembrano confermare agli occhi di un fanciullo che gli adulti hanno dei terribili segreti sessuali, e che per scoprirli siano disposti a correre i rischi più gravi, ma anche che il tentatore merita la punizione più dura. Barbablù è il tentatore, la sua vendetta è ingiusta anche se è stato tradito.

La persona che cerca di vendicarsi crudelmente di un'infedeltà sessuale viene meritatamente distrutta, così come chi conosce il sesso solo nei suoi aspetti più distruttivi, e non sa perdonare l'errore umano della tentazione e della curiosità.

Questa storia avverte le donne di non dare corda alla curiosità sessuale e gli uomini di non farsi trascinare dalla collera, ma i personaggi alla fine sono le stesse persone che erano all'inizio, non migliorano, non peggiorano, non si sviluppano in alcun senso; l'unico vantaggio della conclusione è che il mondo si è liberato del più mostruoso e bestiale dei mariti.

Nettamente diverso è lo spirito della versione riproposta da Clarissa Pinkola Estés, vista come un iter di crescita per la psiche femminile che deve acquisire consapevolezza e capacità di giudizio, sfuggendo alla fascinazione del "predatore della psiche" che alberga in lei, lavorando a suo sfavore.

La scrittrice mette in evidenza il valore della proibizione non come patto di fiducia da non infrangere, quanto come limitazione della libertà della fanciulla. Un singolo divieto rende vana la libertà apparente: "Non aprire quella porta " è una limitazione delle scelte possibili che la priva di fatto dell'arbitrio concesso.

Non è l'unica soglia da non oltrepassare nascosta nel racconto. La barba blu. In questa storia la più giovane di tre sorelle sceglie di non vedere il mostro che la corteggia: anche lei inizialmente diffida di questo strano uomo, diverso, inquietante.

E' un personaggio misterioso, "un mago mancato", così evidentemente diverso da avere la barba blu, elemento inequivocabile della sua stranezza Il pericolo è visibile. Barbablù cerca una preda, un'anima giovane da far cadere in trappola. Seduttore. Lusinga le tre fanciulle, mostra loro di essere ricco, e fa intravedere la possibilità di una vita lussuosa e splendida; non maschera il proprio aspetto, non cela la propria diversità, addolcisce le spigolature e la mostruosità con il velo del fascino e la suggestione del desiderabile.

Le maggiori scelgono di non rivederlo, la giovinetta invece si lascia affascinare dal mistero e dalla prospettiva di una vita agiata, e non lo vede così cattivo e pericoloso. Il piacere di essere sedotta e il compiacimento per l'interesse del predatore sedimentano nel suo animo, e la barba scolorisce ai suoi occhi. Il patto con il diavolo. La proposta di matrimonio viene accettata con orgoglio, dimenticando del tutto la diffidenza iniziale.

In genere l'essenza è in parte nascosta nelle profondità invisibili, l'apparenza non è la verità, e la ragazza può credere che Barbablù sia meno terribile di come appare sottovalutandone la parvenza. "Ne ha l'aria dunque non lo è, se lo fosse non lo parrebbe così tanto !".

Il seduttore mi piace per perdermi meglio, vuole la mia perdizione, ma mi piace... Il seduttore ci conduce dolcemente in disparte, deviandoci a poco a poco da1 nostro sentiero, prende per mano la vittima e condivide con lei il cammino, senza che essa si accorga di aver lasciato la propria strada. L'astuzia seduttrice del sedotto è quasi impeccabile, non si riesce ad individuare il momento in cui si è lasciato avvenire l'imbroglio.

La vittima entra liberamente nella trappola che le è destinata, e il predatore non può agire senza il suo assenso ha bisogno che sia lei a scegliere di farsi irretire, così la manovra seduttrice opera per ottenere dalla volontà la spinta che innesca il processo irreversibile, del resto si incarica il seduttore - induttore.

Il seduttore ha bisogno di un solo sì, anche sussurrato, gli serve il consenso della vittima perché non può nulla contro la spontaneità dell'invincibile volere. Il senso del suo gioco sta nell'ottenere quanto dovrebbe essergli negato. Si è affascinati da ciò che si dovrebbe temere ed evitare: si crede ciò che si desidera e si comprende ciò che si crede; nella vertigine della passione si scivola dall'ipotesi al giudizio di realtà: la barba non è poi così blu.

La coscienza passa dal possibile all'atto, perché vittima del proprio desiderio l'affascinato non può che prendere per realtà i propri desideri, o pensare che a furia di volere cosi sarà ; quante donne legate ad un predatore hanno voluto crederlo diverso o si sono convinte che il loro amore lo avrebbe redento?

Il Malinteso non è solo una compensazione per l'effettività insufficiente, è la sostituzione mancata. Il male intendente inconsciamente elimina un suono, un dettaglio, deforma ed interpola, secernendo a proprio beneficio i malintesi che gli necessitano per credere ciò che gli serve.

Può scegliere di non ascoltare, opponendo al dubbio la propria irriducibile convinzione. Anche la credulità ha un limite, ma il desiderio finge di non capire anche quando ha perfettamente inteso: perché non vuole. Il divieto. Barbablù lascia il castello consegnando alla giovane sposa le chiavi di tutte le stanze e vietandole di aprirne una.

La piccola chiave della stanza proibita nelle sue mani è un divieto, una limitazione della sua libertà più grande di una porta sprangata o di un muro di cinta, perché ripone dentro la sua stessa mente l'impossibilità di varcare la soglia. Responsabile della propria libertà, è carcerata dentro se stessa. Il tentatore non ostacolando materialmente l'infrazione del divieto, fa sì che essa sia il proprio guardiano, dovendo lottare dall'interno contro la naturale curiosità e la promessa fatta: la porta da non aprire non è più quella della stanza, ma una più pericolosa, quella della sua capacità di autodeterminazione, di scelta, di volontà indipendente, di consapevolezza.

L 'infrazione. Per quanto numerose e ricche siano le stanze del castello, per quanto grande sia un giardino, alla fine si scoprono le mura che precludono la libertà. La porticina misteriosa alla fine si lascia trovare: che fare? Apparentemente la giovane vuole mantenere fede al suo impegno, sembra accettare l'illusione di essere padrona del castello e di se stessa , ma poi cede immediatamente e senza replicare all'esortazione delle sorelle di usare la chiave.

In un istante di cui facilmente si perde la memoria, accetta il rischio ed apre la porta la verità della mostruosità che si era rifiutata di vedere le si para davanti in tutta la sua terrificante evidenza. Non può più fingere di ignorare l'orrore dell'uomo che aveva voluto come suo sposo.

L'evidenza scioglie il Malinteso, il sangue che gronda dalla chiave mantiene vivo il ricordo di quanto non si voleva sapere. La punizione. L'apertura della porta mostra la falsità della situazione in cui il desiderio di fare Angelo la Bestia aveva condotto la fanciulla.

Strappato il velo del Malinteso, Barbablù è visibile nella sua mostruosità: il prezzo che lui impone per aver voluto la consapevolezza è la morte, sorte toccata alle precedenti fedifraghe. Perché deve morire chi conosce il suo segreto? Perché non deve essere ri- conosciuto?

La morte spezza il conflitto inevitabile tra le due inconciliabili nature, che non possono unirsi se non nella farsa della realtà costruita sul Malinteso… Forse lo stesso Barbablù non può accettare di vedersi riflesso in occhi che gli rimandino la sua vera immagine, che abbiano scorto la sua vera essenza ... forse non sopporta di essere visto per ciò che è perché egli stesso non vuole averne coscienza, non vuole che lo sguardo di chi lo vede gli testimoni ciò che non vuole sapere… Barbablù vuole una scusa per uccidere le sue spose, esseri diversi da lui , esseri umani che quando scoprono la sua vera natura inorridiscono, e lui le uccide nel momento in cui prendono atto di ciò che lui già conosce , la loro reciproca antiteticità.

Distrugge chi gli dà la possibilità di essere se stresso, elimina la differenza che è la sua stessa vita, l'individualità non si può affermare che con il confronto con l'altro. Attira la preda, fa scattare la trappola, e aspetta. Ma questa volta gli è andata male. La disconoscenza è la causa del Malinteso. Si può sapere che il nemico è potente ma non capire fino a che punto lo è, disconoscendo l'entità del fatto. Si può sopravvalutare o sottovalutare, ma anche non avere la coscienza piena di una realtà .

Il prototipo del Malinteso è quello relativo alla morte: ci comportiamo sempre come se si trattasse di un accidente che avviene solo agli altri, un fatto che non ci riguarda, ed e questa disconoscenza, nella coscienza remota che ci dice che dovrebbe toccare anche a noi, che ci consente di vivere e di pensare al futuro.

Si può apprendere ciò che si sa già (paradosso del riconoscimento) il giorno in cui si afferra il senso reale di una nozione: si sa adesso come prima, ma il tono e il modo del sapere sono diversi. La maniera è tutto e sembra un dettaglio trascurabile nell'urgenza del momento, in cui si preferisce la finzione del come se.

Eppure in campo morale è necessario conoscere il perché di un'azione: si è probi per caso o per scelta? La differenza dovrebbe essere palese… Molto più comodo per la tranquillità sociale è ignorare la vera molla che ha fatto scattare un'azione, fermarsi al massimo all'indagine della causa di un effetto, tanto che perfino le norme di diritto che regolano le nostre vite contemplano come eccezionale la rilevanza del motivo che determina una scelta, dando credibilità giuridica al solo concetto di causa.

L'intenzione è disconoscibile e in genere disconosciuta nelle nostre relazioni. Il merito sposta l'accento dal fine al come: è la differenza tra purezza incolore e purezza purificata. Si può avere dinanzi due purezze apparentemente equivalenti, ma l'una sarà meno pregevole dell'altra non essendo stata rincorsa e voluta, non c'è merito e storia nel suo candore.

La purezza purificata nel tempo precedente all'istante del nostro riconoscimento ha percorso un cammino tortuoso che ne distilla le qualità, che riemerse brillano di una nuova fulgida luce. Si può apparire senza essere ed essere senza apparire, perché l'apparenza non è necessariamente ciò cui rimanda.

La forma naturale del Malinteso è il silenzio che fa le veci degli argomenti che non saranno trattati, che la conversazione eviterà di toccare, creando quelle improvvise reticenze sull'orlo del precipizio. Del Malinteso abbiamo bisogno: grazie ad esso i rapporti interpersonali sono meno stridenti e la vita è più semplice, giocando sulle possibili interpretazioni che possono coesistere sul senso delle parole, dei gesti, del comportamento, degli sguardi, delle leggi, del bene e del male.

A volte, forse spesso, questa incomprensione inconsapevole crea un ordine provvisorio che pur non avendo la qualità dell'intesa trasparente è pur sempre meglio della discordia dichiarata. BARBABLÙ' La matassina di barba è conservata in un convento di monache lontano, sulle montagne.Come sia arrivata al convento nessuno lo sa. Alcuni dicono che furono le monache a seppellire quel che e restava del suo corpo, perché nessun altro lo avrebbe toccato.

Perché mai le monache conservino una siffatta reliquia nessuno lo sa, ma è vero. L'amica della mia amica l'ha vista con i suoi occhi. Dice che la barba è blu indaco per l'esattezza. E' blu come il ghiaccio scuro del lago, blu come l'ombra in un buco nella notte. Questa barba apparteneva un tempo a uno che si diceva fosse un mago mancato, un gigante con un debole per le donne, un uomo noto con il nome di Barbablù. Si diceva che corteggiasse tre sorelle contemporaneamente.

Quelle erano spaventate dalla barba dallo strano colore, e così si nascondevano quando le chiamava. Nel tentativo di convincerle della sua mitezza le invitò ad una passeggiata nel bosco. Arrivò con cavalli ornati di campanelli e nastri cremisi: sistemò le sorelle e la loro madre sui cavalli, e al piccolo trotto si avviarono nel bosco.

Fecero una stupenda cavalcata, con i cani che correvano accanto e davanti a loro; poi si fermarono sotto ad un albero e Barbablù le intrattenne narrando storie e offrì loro leccornie. Le sorelle cominciarono a pensare: "Insomma, questo Barbablù forse non è poi tanto cattivo" Tornarono a casa e non finivano più di parlare di quella giornata così interessante, di quanto si fossero divertite. . .

Ma riaffiorarono i sospetti ed i timori nelle due sorelle maggiori, ed esse giurarono di non rivedere mai più Barbablù. La più piccola pensò che se un uomo poteva essere tanto affascinate, allora forse non era neanche così cattivo... Più rimuginava tra se e meno le sembrava terribile, e anche la barba le pareva meno blu. Così quando Barbablù chiese la sua mano, lei accettò.

Aveva accolto con orgoglio la proposta di matrimonio, e pensava di sposare un uomo molto elegante. Si sposarono e poi andarono al suo castello tra i boschi. Un giorno andò da lei e le disse: "Devo andare via per qualche giorno. Invita qui la tua famiglia, se ti fa piacere. Potete cavalcare nei boschi, ordinare ai cuochi di preparare un banchetto, potrai fare tutto quel che il tuo cuore desidera.

Ecco il mio mazzo di chiavi: puoi aprire tutte le porte dei magazzini e delle stanze del tesoro, qualunque porta del castello. Ma non usare questa piccola chiave con la spirale in cima. Lei rispose: " Si, farò come dici. Mi sembra bellissimo. Vai mio caro marito, e non preoccuparti e torna presto". Così lui partì e lei rimase. Le sorelle andarono a trovarla, e come tutte le donne, erano curiose di conoscere le istruzioni che le aveva lasciato padrone per la sua assenza, e gaiamente la sposina raccontò ogni cosa: "Ha detto che possiamo fare tutto ciò che vogliamo, tranne che entrare in una stanza la cui porta si apre con questa chiave.

Le sorelle decisero di fare il gioco di trovare la porta a cui apparteneva la piccola chiave: il castello era di tre piani, con un centinaio di porte in ogni ala, e si divertirono immensamente a passare da una stanza all'altra: dietro ad una porta c'erano le dispense, dietro un'altra i depositi delle monete . . In ogni stanza c'erano beni d'ogni sorta, e ogni volta sembrava tutto meraviglioso.

Alla fine arrivarono alla cantina. Si scervellarono sull'ultima chiave, quella della stanza proibita. "Forse non apre nessuna porta! ", e proprio mentre lo dicevano udirono uno strano rumore e videro dietro l'angolo più oscuro una porticina che si richiudeva. Invano tentarono di riaprirla, era sprangata. Una allora gridò: " Sorella! Sorella porta il mazzo: deve essere questa la porta della piccola chiave!". Senza rifletterci su infilò la chiave nella serratura e la girò facendola scattare.

La porta si spalancò nell'oscurità, accesero una candela per poter vedere finalmente cosa fosse celato nella misteriosa stanza, con un grido di orrore si accorsero che l'ambiente era un lago di sangue, con ossa umane sparse ovunque, e agli angoli erano impilati i teschi come piramidi di mele. Richiusero velocemente la porta, sfilarono la chiave, e si strinsero l'una all'altra, tremanti e invocando il Signore. La giovane sposa guardò allora la chiave e s'avvide che era macchiata di sangue: tentò di pulirla sfregandola sulla gonna, ma il sangue restava.

Terrorizzate tentarono a loro volta le altre, ma non c'era verso di farla tornare come prima. La giovinetta la mise in tasca e corse in cucina per sfregarla con uno strofinaccio, e mentre si avviava la chiave cominciò a grondare sangue macchiandole l'abito bianco. La strofinò, il sangue continuava a colare; provò con la cenere, poi con il fuoco e con le ragnatele, ma niente fermava il flusso rosso. Infine , disperata, decise di nasconderla nell'armadio, togliendola dal mazzo.

La mattina dopo il marito tornò al castello e chiamo la sposa per interrogarla. -"Com'è andata durante la mia assenza ?"chiese. -"Bene, signore". -"Come sono i miei depositi ?"tuonò. -"Davvero molto belli, signore". -"E le stanze del tesoro?" ringhiò. -"Bellissime signore". -"Dunque è andato tutto bene moglie ?". -"Si, tutto bene ". -"Allora", sussurrò, "allora sarà meglio che tu mi renda le chiavi". Appena ebbe il mazzo in mano con un'occhiata si accorse che mancava una chiave, e gridò: " Che hai fatto della chiave più piccola che ti avevo raccomandato di non usare?" Lei balbettando si giustificò: -" Io... ecco io... Io l'ho perduta andando a cavallo".

Gli occhi furenti di Barbablù l' incenerivano: -" Come l'hai persa? Dove?" E lei ancora tentava di farsi scusare: -"L'ho persa a cavallo… Non ricordo dove. . .Non so come..." -"Non mentirmi, dimmi che ne hai fatto !" Gridava mentre l'afferrava per i capelli, e urlando la gettò a terra: -"Infedele ! tu sei entrata in quella stanza!". Aprì l'armadio e trovò gli abiti insanguinati dalla chiave posata sul ripiano.

La guardò con occhi di brace, e la trascinò giù in cantina ghignando: -"Adesso tocca a te mia giovane sposina!". E al suo cospetto la porta della spaventosa stanza si spalancò mostrando gli scheletri delle mogli precedenti. La giovane si aggrappava alla porta implorando -"Concedimi almeno di raccomandare l'anima a Dio! Ti supplico...".

Lui la guardò e le concesse questa supplica: -"Prega, e fatti trovare pronta a morire tra un quarto d'ora". La ragazza corse sulle scale per mandare le sorelle sui bastioni del castello a chiamare aiuto, e mentre inginocchiata fingeva di pregare, le interrogava: -"Sorelle, arrivano in soccorso i nostri fratelli? ". -"Ancora no, ancora no purtroppo!". -"Arrivano i nostri fratelli? "continuava a domandare. -"Finalmente! In lontananza si vede un polverone: saranno certamente loro!".

Intanto Barbablù chiamava a gran voce la moglie dalla cantina, dove l'aspettava per decapitarla mentre lei scendeva lentamente chiedendo notizie dei suoi salvatori, lui saliva a grandi passi i gradini di pietra urlando: -"Vengo a prenderti !". Quando fu prossimo alla stanza della moglie, i fratelli varcarono la soglia del castello, giungendo nella camera della sposa proprio nel momento in cui Barbablù stava per afferrarla, e con le spade sguainate si avventarono su di lui uccidendolo e facendolo a pezzi.