ASSERTIVITA': GLI ERRORI COGNITIVI

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Claudio Ajmone

Psicologo e Psicoterapeuta

Tristano Ajmone

Master in PNL, ricercatore presso l'ISI-CNV di Torino (Istituto di PNL del dott. M. Paret)



"I problemi psicologici non sono necessariamente il prodotto di forze  misteriose e impenetrabili, ma possono derivare da procedimenti  ovvii come un apprendimento sbagliato, deduzioni errate in base a informazioni sbagliate o inadeguate, e scorretta distinzione tra immagine e realtà" [Aaron T.Beck]









Nel settore della psicologia la seconda metà di questo secolo è stata caratterizzata dalla rivoluzione "cognitiva". Questo è coinciso con il declino dell'approccio Neocomportamentale ed Analitico. Non c'è scuola di psicologia che non si definisca "Cognitva" e che non vanti tra i suoi "antenati" il precursore di questo fenomeno.

 Il Cognitivismo non è una scuola ma una posizione epistemologica che le pervade tutte. E' la reazione e il contrario alla teoria della "black box" di Skinner, la convinzione che sia giunto il momento di guardare attentamente cosa succede nel cervello. Possiamo pertanto dire che ci sono tanti Cognitivismi quante sono le Scuole di Psicologia. Anche nel settore dell'Assertività si può cogliere la multiforme varietà di questi contributi.

Oggi ci sono una decina di Scuole di Psicoterapia ad indirizzo Cognitivo che, entro quadri teorici di riferimento diversi, valorizzano il ruolo del pensiero nella genesi e sviluppo delle emozioni negative e dei comportamenti inadeguati:

la Rational-Emotive Therapy (RET, ora denominata REBT: Rational-Emotive-Behaviour-Therapy) di Ellis, la Rational-Behaviour-Therapy (RBT) di Maultsby, la Personal-construct-Therapy (PCT) di Kelly, la Multimodal-Therapy (MT) di Lazarus, la Cognitive-Therapy (CT) di Beck, la Cognitive-Behaviour-Modification (CBM) di Meichenbaum, la Structural-Cognitive-Therapy (SCT) di Liotti, la Cognitive-Appraisal-Therapy (CAT) di Wessler, la Cognitive-Behavioural-Hypnoterapy (CBH) di Golden, la Interpersonal-Cognitive-Problem Solving-Therapy ( ICPST) che ha i suoi massimi esponenti in Platt, Spivack, Shure. 

Sono state elaborate una trentina di metodiche di "ristrutturazione cognitiva" che si prefiggono di sconfiggere i pensieri autolesivi. Ogni scuola ha proprie preferenze sul tipo di "pensiero bersaglio" da individuare e sui percorsi che il paziente deve seguire. La tendenza comune è di lavorare sui sistemi in cui idealmente possiamo suddividere l'uomo (cognitivo, fisiologico, affettivo, comportamentale), allenare le persone a discriminare i pensieri dalle risposte fisiologiche e comportamentali, far comprendere come nella realtà questi sistemi si concatenino in un gioco di reciproche influenze (analsisi funzionale; uso di questionari di auto-osservazione). 

Il costruttivismo è una evoluzione del cognitivismo in rotta di collisione con gli approcci tradizionali e il presente articolo non è un tentativo per integrare le diverse posizioni. Vi sono convergenze e divergenze, a volte solo apparenti, che necessitano di dibattiti "dedicati" tra specialisti del settore per i necessari chiarimenti e approfondimenti.

Errori cognitivi nelle relazioni umane li possiamo riscontrare sia nelle persone cosiddette normali che in tutte le patologie. Si tratta di errori non gravi, poco frequenti e facilmente superabili con l'autoriflessione. Chi non ha mai avuto una depressione reattiva ad una situazione obiettivamente difficile? Chi non ha mai dubitato delle intenzioni di un'altra persona senza prove oggettive? Non esiste un censimento che ci dica quante sono le persone "normali" e quante quelle non "normali." 

E' ragionevole presumere che una quota di persone non sia diagnosticata e che un'altra quota, pur essendo normale, abbia sintomi (schemi mentali) premorbosi latenti. Non è possibile parlare di errori cognitivi per fasce di popolazioni che non sono censite. Inoltre, le patologie, si formano per cumulazione progressiva di fattori eziopatologici, anche se la presenza di una causa scatenante può far pensare il contrario. 

Pertanto nel presente articolo passeremo in rassegna i problemi cognitivi che sono stati rilevati nelle patologie più studiate e che maggiormente compromettono i rapporti sociali per la loro incidenza statistica: fobie sociali e depressione. Non parleremo delle nevrosi e psicosi a bassa incidenza statistica anche se è bene ricordare che gli stessi sintomi cognitivi giocano un ruolo rilevante in queste patologie.

Nei corsi di assertività si insegna alle persone l'utilizzo di schemi mentali che prevengono o eliminano i sintomi premorbosi e morbosi elencati in questo articolo. Se le persone sono già ad uno stadio patologico avanzato, il corso di assertività può essere considerato uno strumento che fornisce una base da cui partire, ma deve essere affiancato da una psicoterapia che aiuti a comprendere non solo i significati ma anche le regole con cui i significati si formano nell'esperienza umana.

Per motivi di spazio passeremo in rassegna, e solo sinteticamente, quanto di significativo è emerso sugli errori cognitive attingendo alle scuole più conosciute e accreditate.

Dalla letteratura psicopatologica risulta evidente che vi è ampia sovrapposizione di sintomi cognitivi tra ansia sociale e depressione. I depressi sono per definizione anassertivi. Chi ha ansie sociali condivide una parte significativa di questa sintomatologia cognitiva e la distinzione è a volte molto sfumata. Sovente le due patologie compaiono in associazione. Si è postulato che le persone che soffrono di disturbi mentali abbiano degli schemi cognitivi premorbosi antecedenti all'insorgere della patologia. 

Essi sono latenti nella mente e non causano patologie finchè non vengono attivati da stress specifici o aspecifici. Dalla particolare combinazione di questi schemi (ideologie, immagini di sé, credenze ecc.) e dalle loro caratteristiche strutturali (flessibilità/inflessibilità, apertura/chiusura, permeabilità/impermeabilità, concretezza/astrattezza) discenderebbero le diverse forme psicopatologiche (Beck). Uno schema cognitivo è un concetto su di sé e/o sul mondo che si forma per generalizzazione da pensieri specifici (processi cognitivi transitori) aventi un tema comune. 

Esso ha carattere di struttura stabile ed è associata alle emozioni e ai comportamenti ad esso congrui. E' il filtro (contesto) mentale che viene utilizzato per analizzare la realtà interiore ed esteriore. I temi riguardano gli atteggiamenti verso se stessi e il mondo, gli obiettivi, i valori, la concezione di sé. Se un bambino, in seguito a diversi fallimenti, dice a se stesso, o gli viene detto, che non capisce niente, può, per generalizzazione, sviluppare i concetti negativi e depressogeni stabili di sé quali "sono stupido", "non valgo nulla", "la gente ama e stima solo chi è intelligente". 

Così gli eventi futuri saranno interpretati con questa chiave di lettura e saranno attivate le emozioni e i comportamenti consoni a questi vissuti. Le persone possono essere consapevoli o no di questi schemi cognitivi, a volte si presentano in modo automatico nella mente e sono talmente rapidi da passare inosservati. La presenza di schemi mentali premorbosi spiega perché alcune persone superano con coraggio e realismo i drammi della vita mentre altri soccombono ad essi precipitando nella depressione. 

Essi si possono formare nell'infanzia o nell'adolescenza, non c'è un periodo della vita che attualmente sia considerato più a rischio di altri. Possono formarsi per esperienze esperite in famiglia e/o fuori da essa.

A.T. Beck, ideatore della CT, ritiene la depressione un disturbo del pensiero dal quale discende in disordine affettivo e comportamentale. E' interessante l'analisi che fa sulle distorsioni cognitive del pensiero depressivo. Sono errate elaborazione delle informazioni che sostengono il disturbo e che sono ritenute plausibili dai depressi.

 Questi presupposti hanno il potere di autorealizzarsi nella maggior parte dei casi: la realtà sarà sovente come è pensata perché così è interpretata a priori. Queste distorsioni sono processi cognitivi disfunzionale di analisi della realtà che spiegano i contenuti tematici della coscienza del depresso: 

1) bassa autostima;

 2) idee di privazione;

 3) autocritiche e autorimproveri;

 4) problemi e doveri opprimenti;

 5) autocomandi e ordini;

 6) desiderio di fuga e suicidio. 


Esponiamo sinteticamente la tipologia delle distorsioni cognitive sistematiche, specifici processi cognitivi che discendono da schemi depressogeni:

1 - Deduzione arbitraria: trarre conclusioni in assenza di prove o in contrasto con esse. Manca la capacità di prendere in considerazione spiegazioni alternative più plausibili per le esperienze del presente. Il passato svolge un ruolo di causalità temporale distorto (se un evento era vero nel passato allora sarà sempre vero) che porta alla formulazione di previsioni negative su prove deboli. 

2 - Astrazione selettiva: dare eccessiva importanza ad un particolare ignorando il contesto. Le esperienze che contano sono i fallimenti, gli errori, le perdite, le debolezze. E' in base a questi parametri che valutano il proprio sé. E' la "visione cannocchiale" della realtà: vedere gli aspetti negativi dell'esperienza ignorando o sottovalutando gli aspetti positivi, l'attenzione va sul dettaglio perdendo il contesto; guardando l'albero si perde di vista la foresta.

3 -Generalizzazione eccessiva: formulare, basandosi su pochi episodi, una regola generale. Ciò che è stato vero in un caso viene applicato a tutti i casi simili, anche se la similitudine è poca. Le regole elaborate riguardano la propria competenza, valore, capacità ecc.

4 -Ingigantire-minimizzare: valutazioni distorte degli eventi. Viene minimizzato il proprio valore, il proprio successo e prestazioni. Sono massimizzati i propri problemi e i compiti da svolgere (catastrofismo). E' anche l'atteggiamento di fondo di fronte ai nuovi problemi che si presentano nella vita. 

5 -Personalizzazione (autoriferimento): mettere erroneamente in relazione a sé eventi esterni. La persona si sente al centro dell'attenzione di tutti e, a causa dei suoi presunti difetti, si sente responsabile delle disgrazie che costellano la sua vita e quella di chi ne è coinvolto.

6 -Pensiero assolutistico-dicotomico: tendenza a classificare gli eventi in classi contrapposte quali onesto-disonesto, giusto-sbagliato, buono-cattivo, amico-nemico. Così una esperienza che non è al 100% conforme all'ideale postulato è necessariamente appartenente alla categoria opposta. Si tratta di un modo di pensare primitivo, che organizza la realtà in modo globale attribuendo significati socialmente estremistici, categorici, negativi, sentenziosi. Sono distorsioni di diverso grado della realtà. 


E' degno di nota che queste distorsioni siano presenti, seppure in grado minore, anche nelle più lievi depressioni. E' altresì doveroso evidenziare che non coprono tutto il pensiero del depresso ma solo ambiti sensibili che sono idiosincrasici.

Ellis, ideatore della R.E.B.T, attribuisce grande importanza ai pensieri di natura irrazionale, illogica, non realistica, superstiziosa, magica. Essi si annidano all'interno di "ideologie", classi caratterizzate da pensieri con elementi comuni. Egli ritiene queste convinzioni (non consce) causa delle più diffuse sofferenze tra la popolazione in quanto associate a disturbi emotivi e comportamenti autolesivi. Il numero di pensieri irrazionali è virtualmente infinito.


Queste idee sono state raggruppate in tre classi ideologiche:

1) quella degli eccessivi doveri personali: io devo. 
Devo essere approvato, stimato e amato dagli altri, devo essere gentile, non devo deludere, devo farmi carico delle responsabilità verso gli altri ecc.. Diversamente sono una persona senza valore, orribile, condannabile, colpevole ecc.
Genera depressione, ansia, autosvalutazione.

2) quella degli eccessivi doveri pretesi dagli altri: gli altri devono. 
Gli altri devono capirmi, aiutarmi, comportarsi bene con me ecc. Se non lo fanno sono detestabili, odiabili, disprezzabili, senza valore; è intollerabile che gli altri si comportino in modo diverso da come io desidero che dovrebbero fare.Genera ostilità, rancore, rabbia omicida.

3) quella delle aspettative eccessive: le cose devono andare come desidero.
La vita deve svolgersi secondo i miei desideri e non come sta accadendo, il mondo e l'universo non dovrebbero esistere così come sono, ma ubbidire ai miei bisogni. Genera bassa tolleranza alla frustrazione e autocommiserazione.

Le idee irrazionali hanno in comune le seguenti caratteristiche:

1- non corrispondenza alla realtà obiettiva;
2- sono inadeguate per la sopravvivenza e il benessere personale in quanto:
a- generano una immagine negativa del sé;
b- generano un rapporto negativo con il mondo e i propri simili;
c- generano difficoltà ad instaurare relazioni intime con altre persone;
d- generano difficoltà nelle svolgimento di ogni compito della vita;
e- rendono difficile godere dei piaceri della vita.

I terapeuti che applicano la R.E.T. utilizzano procedure che aiutano le persone ad individuare i loro pensieri irrazionali (Rational Self-analysis, RSA; Maultsby, 1975 ). Segue poi la discussione di tali pensieri che vengono sottoposti ad analisi razionale per disintegrarli con la forza della logica e della contraddizione (Disputing Irrational Belief, DIB; Ellis, 1974). 

Sottesa a queste procedure c'è la convinzione che non è sufficiente sostituire un pensiero irrazionale con uno razionale in modo meccanico per diventare assertivi. Non si tratta infatti di eliminare un pensiero ma una classe, una ideologia, ristabilendo modalità positive di pensare. Ad esempio, la classe degli "io devo eccessivi", va sostituita con quella degli "io devo razionali". Questo è possibile se significati e regole dei rapporti sociali cambiano sincronicamente.

Beck e Ellis sono psicoanalisti che dopo anni di infruttuosa pratica clinica con questo approccio lo hanno abbandonato perché, a loro dire, è inefficace. Nel concepire l'approccio clinico cognitivo hanno riconosciuto la validità delle procedure comportamentali di cui fanno ampiamente uso.

M.E.P. Seligman e la teoria dell'Helplessness.

Secondo questa teoria il depresso ha sperimentato situazioni drammatiche durante la quali i comportamenti emessi sono risultati ininfluenti per la soluzione dei problemi. Hanno così smesso di agire sul mondo non essendo in grado di collegare gli eventi alle proprie intenzioni e comportamenti. Si tratta dunque di persone che mancano di abilità di controllo cognitivo basilari: sel-monitoring, self-evaluation, self-efficacy, self-reinforcement.

Ne consegue che il mondo è per loro incontrollabile. L'abbassamento dell'autostima dipendono dai criteri di causalità adottati da ogni soggetto (stili di attribuzione): 

- locus of control: le cause possono essere interne o esterne al soggetto;
- stabilità: le cause possono essere percepite come transitorie o stabili;
- grado di generalità: le cause possono essere percepite come invasive di una parte parziale o totale della vita. 

Gli individui depressi riconducono i fallimenti a cause interne (la colpa è in se stessi) durature e globali; gli eventi positivi sono attribuiti ad agenti esterni, instabili e specifici.

Watzlawicck e la Pragmatica della Comunicazione Umana.

In questa scuola viene data molto rilevanza agli aspetti patologici della comunicazione che sono l'espressione di una errata percezione che le persone hanno del reciproco sé. Assumendo erroneamente che gli altri ci percepiscono come noi pensiamo, ci creiamo aspettative errate sui comportamenti attesi che, non rispondendo alle attese, creano frustrazione e seri problemi mentali fino alla psicosi. Assumiamo che vi sia comunicazione tra P e O. P da una definizione di sé "ecco come mi vedo…" che può generare in O tre possibili risposte: conferma, rifiuto, disconferma. L'impenetrabilità della comunicazione può avvenire su diversi livelli:

1° livello
al messaggio di P "ecco come mi vedo.." O risponde "ecco come ti vedo…" in modo discordante dalla definizione che P da di sé; P concluderà che O non lo capisce mentre O può presumere che P si senta capito da lui; P non comprende che O ha operato una disconferma sulla definizione che ha dato di sé.


2° livello
P non si rende conto che il suo messaggio "ecco come ti vedo che tu vedi me" non è percepito da O; qui vi è una doppia impenetrabilità.

Spivack e le disabilita' cognitive dell'aggressivo.

Presso l'Università di Filadelfia, Spivack e i suoi collaboratori hanno individuato una seri di carenze nella capacita di "problem solving" da parte degli aggressivi. Si tratta di un approccio comportamentale-cognitivo. Esse sono:

1- incapacità di trovare soluzioni alternative a quelle aggressive;
2- incapacità di valutare tutte le conseguenze degli atti aggressivi; è tipico dei soggetti impulsivi ed è coerente con il pensiero sequenziale infantile;
3- incapacità di elaborare cognitivamente le sequenze comportamentali per risolvere i problemi; coinvolge il pensiero strategico che inizia ad emergere tra gli 8 e i 10 anni; questa capacità è particolarmente carente in chi fa uso di droghe o è depresso;
4- incapacità di attribuire la causa degli eventi sociali al vero agente, con conseguente valutazione erronea dei rapporti sociali nei termini di causa-effetto;
5- rigidità e pregiudizio nelle valutazione delle situazioni problematiche; la flessibilità e la sensibilità sono tipiche modalità di pensiero dell'adolescente e dell'adulto.

Le relazioni interpersonali risultano difficoltose se le capacità di problem solving sono:

- state scarsamente apprese;
- state apprese ma non vengono utilizzate a causa di interferenze di varia natura (es. emozionali);
- state apprese ma danneggiate da deficit organici o dall'età.

Il problema è stato analizzato osservando gli esseri umani fin dalla tenera età, sono poi stati sviluppati programmi di rieducazione sia per i bambini che per gli adulti. Gli effetti di tali programmi sono insoddisfacenti per i soggetti in cui l'aggressività è troppo radicata; per essi si consiglia un approccio psicoterapeutico.

Nella tradizione comportamentale si distingue tra comportamento ostile, aggressivo, affermativo (Bakker, Bakker e Rabdau, 1973). Ostile è quel comportamento che danneggia o distrugge una persona e i suoi beni; è sorretto da sentimenti di odio e rancore. Aggressivo è quel comportamento che amplia il "territorio" che la persona controlla: spazio fisico, mansioni e ruoli, status sociale. Affermativo è il comportamento in risposta ai due precedenti che mira alla salvaguardia del proprio territorio e della propria persona in una situazione conflittuale. Su queste distinzioni si basa la scala di misurazione delle tendenze ostili di Bakker e collaboratori (1978).



ALCUNE REGOLE SU COME GESTIRE ASSERTIVAMENTE I PENSIERI



Oltre a saper padroneggiare le abilità sociali verbali e quelle non verbali, l'Assertivo deve saper riconoscere in sé stesso e negli altri gli errori cognitivi (errori del pensiero) ricorrenti che sono alla base dei -o che conseguono dai- comportamenti passivi ed aggressivi. 

L'INTERPRETAZIONE

Alla vigilia del primo appuntamento con una persona che ci piace essa ci telefona per dirci che ha avuto un contrattempo e non potrà venire. Noi ci diciamo "Trova scuse, non vuole vedermi!" Bene, non mi preoccuperò più di cercarla!" Quando quella persona ci contatta noi ci mostriamo freddi al telefono, l'altra persona se ne rende conto e recepisce che non ci è gradita. 

Non ci contatta più. Peccato però che era stata davvero colta da un contrattempo e che ci teneva ad incontrarci.
Quando non ci accontentiamo di accettare le cose per come ci vengono presentate tendiamo ad interpretare il comportamento altrui e le situazioni. Interpretando gli eventi distorciamo la realtà in conformità alle nostre esigenze, alla nostra versione dei fatti.

Interpretando le intenzioni altrui otteniamo un incremento della nostra aggressività: troviamo una giustificazione per riversare sull'altro la responsabilità del nostro disagio, quindi proviamo rabbia o rancore nei suoi confronti. Le persone non assertive ricorrono all'interpretazione quando le cose non vanno come loro vorrebbero. Il pericolo principale dell'interpretazione sono le conseguenze che essa comporta.

Chi interpreta finisce per accettare come vere le sue affermazioni, distorcendo così le relazioni con gli altri. Dobbiamo imparare a non interpretare. Se abbiamo dubbi dobbiamo cercare riscontri reali alle nostre teorie. Ipotesi e realtà non vanno confuse. L'interpretazione è una forma di allucinazione.

LA LETTURA DEL PENSIERO

La lettura del pensiero è l'errore cognitivo con il quale si presuppone di conoscere i pensieri o le emozioni altrui senza che siano stati esplicitamente espressi. È concesso ritenere che una persona possa individuare gli stati d'animo del suo interlocutore attraverso l'interpretazione della sua mimica facciale, ma la lettura del pensiero implica la conoscenza del contento di quegli stati d'animo. Questa "certezza indovinata" circa i pensieri e le emozioni altrui conduce a distorsioni interpretative. 

Per esempio:

nel corso di una regolare conversazione comunichiamo al nostro interlocutore la nostra fede religiosa. L'aver menzionato questa religione gli riporta alla mente il fratello defunto, il quale aderiva alla stessa religione. L'interlocutore ripensa a come suo fratello sia morto vittima dell'inefficienza ospedaliera e, provando un senso di rancore verso i medici che si occuparono del caso, si chiude in un lungo e cupo silenzio che esprime odio. Noi interpretiamo i suoi segnali e ci diciamo "Nutre pregiudizi nei miei confronti per via della mia fede!" (lettura del pensiero).

L'interpretazione si riferisce alle situazioni ed ai comportamenti, la lettura del pensiero ai processi mentali ed alle emozioni. Così come è errato ritenersi in grado di leggere il pensiero altrui, è errato supporre -o pretendere- che gli altri siano in grado di leggere i nostri pensieri. Questo secondo tipo di errore spesso sfocia in valutazioni del tipo causa-effetto fondate su presupposti non verificati. 

Comuni sono frasi del tipo: "Se tu mi amassi veramente non lo avresti fatto, sapevi che mi avrebbe ferito!", laddove il giudizio poggia sulla presupposizione che l'altro sia stato in grado di conoscere i nostri stati d'animo ed i nostri pensieri. Le persone passive spesso credono che gli altri possano leggere i loro pensieri, il che li fa sentire ancora più giudicati e vulnerabili. 

Per la stessa ragione i Passivi tendono ad aspettarsi che gli altri capiscano da soli le loro intenzioni ed opinioni -leggendole nei loro pensieri. Quando gli altri non capiscono da soli li giudicano "insensibili" -non capaci di leggere i pensieri altrui. Per tali persone è importante rendersi conto che così come loro non possono leggere i pensieri altrui neanche gli altri possono leggere i loro pensieri. La lettura del pensiero è una forma di allucinazione.

L'AUTOGIUSTIFICAZIONE

Quando si emettono comportamenti sbagliati è facile trovare una giustificazione per essi: "Mi sono arrabbiato è vero, ma è colpa sua che mi ha offeso!" Giustificare i propri errori non serve a cambiare, non serve a vincere il disagio. Chi giustifica i propri sbagli cerca di alleviare il disagio attribuendo la colpa dei propri comportamenti all'altro. Il problema è che siamo noi ad aver emesso il comportamento sbagliato, quindi lo sbaglio è solo nostro.

Se si vuole migliorare non bisogna giustificare i propri errori! Per superare i nostri schemi non dobbiamo giustificare i nostri errori comportamentali, dobbiamo invece ammettere a noi stessi ed agli altri di aver sbagliato (asserzione negativa) e proporci di modificare il nostro comportamento. Il nostro obbiettivo è quello di star bene.

Modifichiamo assertivamente le nostre frasi autogiustificative:

"Mi ha fatto perdere la pazienza!" Sono io che l'ho persa, quindi: "Ho perso la pazienza!" "Non doveva fare ciò!" Non dobbiamo pretendere che gli altri agiscono secondo nostro volere, quindi: "Lui ha agito a quel modo ed io mi sono sentito male. Cosa posso fare per vincere il mio malessere?" "È ovvio che mi sia arrabbiato!" Dato che arrabbiarsi non serve: "Mi sono arrabbiato, ho sbagliato. La prossima volta manterrò il controllo." 

IL PENSIERO DICOTOMICO

Vi sono persone che sono intrappolate in un modo di pensare dicotomico. Pensare in modo dicotomico significa pensare in termini di "bianco/nero", "giusto/sbagliato", "vero/falso", "con me/contro di me". Questo tipo di pensiero non prevede sfumature intermedie ed è molto limitante per chi vi fa ricorso. Il pensiero dicotomico è un pensiero assolutista, non vi sono vie di mezzo.

Per Gianna le amiche sono o "vere" o "false", non vi sono vie di mezzo. Quando un'amica le nega un favore Gianna si dice: "Se fosse una vera amica non mi rifiuterebbe un favore!", ed inevitabilmente cancella quella persona dalla lista delle sue "vere" amiche. Questo modo di interagire con gli altri le costa la perdita di molte amiche con le quali si trovava bene.

La persona assertiva è caratterizzata da un pensiero elastico, variegato, non dicotomico. L'Assertivo si rende conto che vi sono molti modi di essere amici, che vi sono molte sfumature di grigi tra il bianco ed il nero, che il bene ed il male in ogni cosa può essere visto da diverse angolature.

Il pensiero dicotomico presuppone da parte di chi vi fa ricorso il diritto di giudicare i valori su scala universale, di sapere già cosa è bene e cosa male in assoluto. È un modo di pensare tipico di chi non è in grado di partire dal livello operante altrui.

L'ANTICIPAZIONE NEGATIVA

Quando ci immaginiamo che un evento futuro avrà esiti negativi noi operiamo "l'anticipazione negativa". L'anticipazione negativa è ciò che nella PNL viene tecnicamente definito "ricalco negativo sul futuro", ossia: noi ci creiamo delle aspettative negative di come debbano andare le cose, e poi rafforziamo questa nostra convinzione percorrendo più volte mentalmente l'evento immaginario. Più volte si ripercorre (ricalca) tale fantasia più le si conferisce realtà.

L'anticipazione negativa non è di alcuna utilità per affrontare le situazioni avversive, serve solo ad attivare in noi risposte emozionali negative, andando a minare la nostra prestazione futura. L'anticipazione negativa non è di alcuna utilità per affrontare le situazioni avversive, serve solo ad attivare in noi risposte emozionali negative (traduzione analogica del pensiero digitale)., andando a minare la nostra prestazione futura realtà.

Osserva in proposito Watzlawick (profezie che si autodeterminano):

"E' il comportamento che provoca negli altri una reazione alla quale quel dato comportamento sarebbe la risposta adeguata […] ha un effetto complementare sugli altri, costringendoli ad assumere certi atteggiamenti specifici […] l'individuo in questione crede di reagire a quegli atteggiamenti e non di provocarli" (Watzlawick ,La Pragmatica della Comunicazione Umana, Astrolabio, 1971, pag. 91).

Sulle profezie che si autodeterminano (forward feedback) dicono Grindler e Bandler:

"Un individuo che in qualche periodo della vita sia stato respinto opera la generalizzazione di non essere degno d'affetto […] cancella i messaggi di affetto oppure li interpreta come insinceri […] riesce attenersi alla generalizzazione di non essere degno di affetto […] Le generalizzazioni o aspettative di un individuo ne filtrano e deformano l'eperienza per renderla conforme alle aspettative stesse.

Ma dato che non fa esperienze non conformi alle sue generalizzazioni le aspettative ne risultano rafforzate e il ciclo continua. In questo modo la gente mantiene i propri modelli impoveriti del mondo" (Grindler e Bandler, La Struttura della Magia, Astrolabio, 1981, pag. 34). Le affermazioni di Watzlawick, Grindler e Bandler, sembrano diverse solo perché si pongono a livelli diversi di analisi: il primo a livello molare (comportamento), i secondi a livello molecolare (pensieri).

Il modo corretto per avvicinarsi alle situazioni che ci creano disagio è crearsi un'aspettativa assertiva (positiva) e contrapporla a quella negativa (immaginando cioè come le cose potrebbero andare bene).

LA "SENSIBILITÀ"

Le persone particolarmente suscettibili tendono a definirsi "sensibili". In questo contesto il termine "persona sensibile" verrà usato per definire una persona le cui risposte emotive e reazioni sono sproporzionate allo stimolo. Autodefinirsi "sensibili" quando ci si sente offesi o feriti implica la definizione dell'altro come "insensibile". L'errore cognitivo dietro questo modo di pensare è che continuiamo ad attribuire agli altri ed alla loro mancanza di sensibilità il nostro disagio.

 In realtà il disagio è nostro! Se non dipendessimo dal giudizio altrui il disagio non sussisterebbe. Ogni qualvolta ci sentiamo "feriti dentro" dagli altri invece di definirci "sensibili" e definire "insensibili" gli altri dovremmo analizzare la dinamica del nostro disagio e capire se stiamo emettendo comportamenti passivi o aggressivi. "Sensibile" negli esempi sopracitati è sinonimo di "non-Assertivo".

LA "BENEVOLENZA"

Per benevolenza s'intende quell'errata assunzione secondo la quale noi siamo in grado di sapere ciò che è bene per gli altri. Questa convinzione può spingerci ad interferire con la vita degli altri, auto-giustificandoci con la scusa che lo facciamo per il loro bene. In realtà il bene di cui parliamo è il nostro bene, che non è necessariamente quello degli altri. L'errore cognitivo della benevolenza conduce facilmente alla manipolazione degli altri, nel qual caso da errore cognitivo diventa una vera e propria strategia manipolitiva.



CARTA DEI DIRITTI PERSONALI



1 - Tu solo hai il diritto di giudicare il tuo comportamento, i tuoi pensieri, le tue emozioni e di  assumerti la responsabilità di realizzarli accettandone le conseguenze.

2 - Tu hai il diritto di non offrire ragioni o scuse per giustificare il tuo comportamento. 

3 - Tu hai il diritto di giudicare se puoi assumerti la responsabilità di trovare soluzioni ai  problemi degli altri.

4 - Tu hai il diritto di cambiare la tua opinione.

5 - Tu hai il diritto di sbagliare e di assumertene la responsabilità.

6 - Tu hai il diritto di dire: "Non so!".

7 - Tu hai il diritto di essere indipendente dalla benevolenza degli altri quando devi tenere loro  testa.

8 - Tu hai il diritto di essere illogico nel prendere decisioni.

9 - Tu hai il diritto di dire: "Non capisco!"

10 - Tu hai il diritto di dire: "Non mi importa!".



TU HAI IL DIRITTO DI DIRE "NO!" SENZA SENTIRTI IN COLPA



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