Una donna curata dal cancro"

Gabriella Panzironi*

Pubblicato in "Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria"
n°20, settembre-dicembre 1993 pag. 11-15




Psicosomatica del cancro

"Il cancro, sia come tumore visibile che come fantasia inconscia, possiede una forza travolgente, ma se lo osserviamo da lontano o da fuori, non esposti a tale forza, non possiamo comprendere nulla di fronte al paziente canceroso, che è allo stesso tempo spettatore e vittima di una carneficina quasi insopportabile da contemplare". (pag. 27 Chiozza "Psicanalisi e cancro")

Lo studio delle mutue interazioni tra Sistema Nervoso, Sistema Endocrino e Sistema Immunitario, sembra delineare in maniera sempre più chiara il coinvolgimento primario della psiche nella genesi e nel decorso delle malattie neoplastiche.

Alcune ricerche condotte negli ultimi anni tendono ad identificare alcuni precisi "determinanti psicologici". L'uso della repressione emozionale nella rete dei rapporti interpersonali e sociali, eventi traumatici con perdite affettive primarie e secondarie in età infantile, tendenza a sentimenti di depressione e di disperazione di fronte ad eventi stressanti, sembrano costituire fattori di rischio, a distanza di tempo, nell'insorgere e nello sviluppo della malattia.

La depressione stessa, come quadro psicopatologico definito, sembra correlata direttamente con una maggiore incidenza di neoplasia. La tendenza in questi pazienti a reprimere e ad inibire i propri comportamenti emozionali, i disturbi nelle relazioni oggettuali, la conseguente difficoltà di identificazione con le figure parentali, la presenza di un'inibizione specifica dell'aggressività, sembrano essere possibili predittori dello sviluppo di una malattia organica e quindi anche dell'insorgenza dei tumori.

È risultato da alcune ricerche che tali pazienti adottino uno stile di vita relativamente anelastico, una cristallizzazione emozionale legata ad una difficoltà di espressione dei vissuti ed un frequente ricorso a meccanismi di difesa come la negazione e la rimozione. E' presente anche, una modalità di reazione prevalentemente biologica nei confronti dello stress che può determinare la cronica inibizione dell'azione e l'alterazione dei meccanismi di adattamento.

Il controllo emozionale è stato più volte indicato come tipica caratteristica psicologica in pazienti affette da neoplasia mammaria,

Il seno come organo bersaglio

Il seno, con le sue modificazioni morfologiche e fisiologiche, segna le tappe della vita della donna: esso è considerato simbolo della femminilità e della maternità e riveste grande importanza nelle fantasie e desideri sia dell'uomo che della donna.

E' il segno importante non, solo per il processo di identificazione con il genere femminile, ma anche per la funzione ed i significati simbolici che estrinseca maggiormente durante la gravidanza e durante tutto il periodo dell'allattamento. Quindi, oltre ad essere segno di identità, suscita un movimento di scambio di sé agli altri e dagli altri a sé. Questa funzione di oggetto desiderabile e desiderante può diventare però fonte di angoscia e di panico. L'accettazione del proprio corpo femminile, e quindi, del proprio seno, è accettazione della propria funzione erotico-estetica, ma è anche accettazione di una funzione materna, di essere disposte a che il proprio seno si lasci svuotare lasci svuotare ed inghiottire nell'allattamento.

Il contatto con questo, organo di nutrimento e di comunicazione permette al bambino di superare la primitiva angoscia originaria e di compiere il cammino di crescita biologica e psicologica. Se non c'è contatto e contenimento il bambino si sentirà precipitare in un panico di annullamento. La donna, anche senza comprenderle concettualmente, intuisce ed investe di valore emotivo questa esperienza e funzione, ed il seno, ghiandola mammaria, il seno gioia, il seno nutrimento e protezione diventano parte integrante della sua identità affettiva, sessuale propriamente umana.

La ricerca scientifica ha evidenziato che i mutamenti nell'assetto endocrino sono spesso dipendenti da fattori psichici e diventano causa di malattie della mammella: sterilità, frigidità, rifiuto del bambino o dell'allattamento, separazione dal bambino, divorzi, aborti, gravi conflitti nella vita affettiva, sembrano essere gli stressors che determinano la patologia. Il seno, quindi diventa l'indicatore dell'insoddisfazione e del disagio psicologico della donna.

Il grado di controllo emozionale inteso come incapacità ad esprimere i propri vissuti emotivi, e soprattutto la tendenza a reprimere consciamente le proprie reazioni di ansia e di rabbia, bloccandone la loro espressione sul piano comportamentale, sono caratteristiche tipiche della personalità delle pazienti affette da carcinoma della mammella.

Numerosi studi clinici hanno sottolineato come pazienti affetti da patologia neoplastica presentino caratteristiche psicologiche interpretabili come veri e propri markers che aumenterebbero il rischio di malattia:

1) tendenza all'uso di rimozione /negazione di fronte a situazioni conflittuali ed allo sviluppo di depressione;
2) ridotta capacità introspettiva e modalità comportamentali rigide;
3) tendenza a dare un'immagine positiva di sé ed a accettare e compiacere le figure autoritarie;
4) mancanza di assertività;
5) incapacità ad esprimere i propri vissuti emotivi con tendenza a mascherarli e/o a minimizzarli.
Alcune delle variabili sopra descritte si accompagnano in genere, da un punto di vista biologico, ad una ridotta attività del Sistema Immunitario, oltre che ad alterazioni dei vari sistemi di regolazione quali quello endocrino e quello del Sistema Nervoso Centrale. Per questa struttura di personalità caratterizzata da tali elementi è stata proposta la definizione di tipo C (Type C cancer-prone personality)

E' per queste ragioni che la patologia del seno rappresenta un problema molto grave da affrontare in termini terapeutici, in quanto quest'organo sinonimo di femminilità e maternità, viene investito di contenuti negativi: il seno simbolo di sessualità, elemento di attrazione e di potere in quanto dà e mantiene la vita, viene vissuto come sorgente di morte. Anche la donna che ha accettato il proprio corpo, quindi il proprio seno in tutte le sue funzioni, sperimenterà la malattia come evocatrice dei fantasmi di mutilazione e di morte e vivrà una vera e propria ferita narcisistica con caduta depressiva.
Ugualmente le donne in cui il seno non è stato sufficientemente investito di qualità buone ed è stato sentito come inutile, pericoloso, colpevolizzante, sperimenteranno un'angoscia tanto maggiore nel verificare la natura cattiva e minacciosa della malattia alla quale attribuiranno vissuti di colpa e di autopunizione.

Una donna curata dal cancro

Caso clinico

S. è una donna di 56 anni, insegnante di scuola elementare, inviatami da un collega psichiatra con una diagnosi di "depressione cronicizzata". L'aspetto è di una persona sulla quale il dolore e la sofferenza hanno lasciato tracce profondissime. Il corpo esile e ripiegato su se stesso, l'andatura incerta e malferma, sul viso, dai tratti anche un po' infantili, uno sguardo rassegnato, la voce atona, la bocca con tutti i denti guasti (scomparsa del sorriso), esprimono molto intensamente l'assoluta mancanza di partecipare e di godere dell'esistenza. In questa donna l'energia, lo slancio vitale, l'entusiasmo sembrano non esserci mai stati.

La sua "carriera psichiatrica" inizia verso i 18 anni, età in cui viene diagnosticata e curata erroneamente come schizofrenica.

Nata in un paesino nel meridione di Italia, terzo genita con un fratello e una sorella maggiori rispettivamente di 6 e 8 anni, dopo la morte del padre di cirrosi epatica per alcolismo, e conseguentemente alla separazione dal fratello che per motivi di lavoro aveva lasciato il paese natale, accusa i primi sintomi di una malattia che l'accompagnerà per moltissimi anni e impronterà tutta la sua esistenza.

Nei nostri incontri con un ascolto attento e partecipe da parte mia, e con grande impegno, ma privo di tonalità affettive da parte di S., emerge il "romanzo della sua vita".

Sin dall'infanzia, l'ambiente familiare in cui vive è gravemente disfunzionale e contrassegnato da tensioni e conflitti. La madre e il padre litigano continuamente e manifestano un netto rifiuto l'una per l'altro. La madre, donna fredda e anaffettiva, dimostra interesse solo per il suo lavoro di insegnante mentre "a casa era disordinata, svogliata e depressa e passava molte ore a letto" trascurando le cure domestiche, i bisogni dei figli e del marito, verso il quale l'ostilità e il rancore che provava, coinvolgevano anche la sua famiglia di origine alla quale lui era molto legato.

Solo la primogenita, che la paziente definisce "l'unica figlia", riesce a suscitare nella madre sentimenti positivi. La coalizione tra lei e la madre e per S. costante motivo di malessere.

Il padre, imprenditore, sia per motivi di lavoro, sia, e forse più probabilmente, per contrasti familiari è spesso lontano da casa. S. sente che il rapporto con lui è praticamente inesistente. La sua richiesta d'amore e di riconoscimento è continuamente insoddisfatta anche perché "quando era presente spesso aveva bevuto".

La sorella, la cosiddetta figlia, è per lei, e lo resterà per sempre, fonte ed oggetto di invidia, gelosia e rivalità.

L'unico legame affettivo solido è con il fratello che durante l'infanzia e l'adolescenza, è sentito come figura di riferimento, alleato e salvatore. Riferisce S. "avevo per mio fratello un attaccamento morboso, pensavo che solo lui potesse aiutarmi ad uscire dalla mia situazione, tant'è vero che quando si fidanzò e decise di trasferirsi a Roma, mi sentii tradita ed abbandonata, fu allora che mi ammalai".

In questo clima familiare trascorre la sua adolescenza, le uniche alternative sono lo studio e la scuola che affronta con successo, anche se le è sempre stato difficile sentirsi inserita per la sua grande timidezza.

Prende il diploma di maestra, e l'anno dopo muore il padre. Rimaste sole lei e la madre, vanno a vivere presso la casa della sorella che si era sposata.

E' questo il periodo più nero della sua vita. Si sente sola in balìa di una madre e di una sorella "mortifere", non ha più nessuno con cui comunicare. Subisce inoltre degli abusi sessuali da parte del cognato, si chiude, non ha più voglia di vivere, cade in una abulia paralizzante. E' l'epoca del primo ricovero in cui viene curata con gli ECT.

Successivamente, su invito del fratello si stabilisce insieme alla madre a Roma, "dove era più facile essere curati". Ulteriori consulti psichiatrici diagnosticano una "depressione endogena".

Con l'aiuto degli psicofarmaci intraprende l'insegnamento in una scuola elementare, grazie anche al sostegno di un collega che diventerà poi suo marito.

Dice S. "non ho mai provato attrazione per mio marito, anzi mi ricordava fisicamente un personaggio di una favola che leggevo da bambina che mi procurava molta inquietudine, però le sue attenzioni e premure, il mio bisogno di andarmene di casa dove vivevo da sola con mia madre, mi convinsero a sposarlo".

La vita matrimoniale risulta sin dall'inizio disastrosa. Il modello familiare della sua infanzia sembra riproporsi con le stesse caratteristiche.

Il marito, anche egli meridionale, per attaccamento alla sua terra e alla sua famiglia di origine, è spesso lontano da casa, anche il suo lavoro e il suo impegno politico lo costringono a continui viaggi. S. ricorda di aver passato lunghi periodi da sole e, nonostante la nascita della figlia è spesso depressa, vive fasi di anoressia e comincia a bere: condizione che diventa per lei motivo di vergogna e di sensi di colpa sempre più forti, inducendola a continue ricadute.

Solo in occasione della nascita del secondo figlio, in un tentativo di riconciliazione col marito, sperimenta un breve periodo di benessere e di serenità. I sentimenti di tenerezza che la legano al bambino e che non aveva sperimentato con la primogenita, la fanno rivivere: questo figlio le evoca l'intenso rapporto che aveva con il fratello.

Ma con il passare del tempo i rapporti con il marito, quando ci sono, sono sempre più esasperati, spesso affrontano il tema del divorzio ma non lo concretizzano mai (d'altra parte sono spesso separati).

I confini generazionali sono spesso confusi, così il funzionamento della famiglia diventa caotico e sconnesso e le relazioni interpersonali sono frequentemente fonte di malessere.

La sua professione di insegnante procede anche se con lunghi periodi di assenze dovuti alla malattia e ai ricoveri in clinica.

Quando incontrai S. per la prima volta e mi trovai di fronte ad una persona che pur essendo nel pieno della seconda metà della vita, avendo cresciuto due figli che ormai erano più che maggiorenni, con 25 anni di attività di insegnamento alle spalle, ed un rapporto di coppia, che seppur logorato, durava da circa trenta anni, fui colpita dalla condizione di congelamento del suo mondo affettivo. Era come se il ripetersi degli stati depressivi, e quindi la rassegnata accettazione di questi ultimi avessero tolto significato alla storia, cioè al succedersi degli avvenimenti nel tempo: l'unica realtà veramente vissuta era la malattia.

Era gravemente rallentata nel sentimento e nel pensiero. I suoi temi vertevano sulla deludente relazione coniugale e sulle difficoltà che incontrava sul lavoro e con i colleghi.

Adottai nei nostri incontri bisettimanali un ascolto paziente ed empatico di fronte alla monotona ripetizione delle sue lamentele e autocritiche, proponendomi di svolgere, specialmente in questa prima fase della terapia, null'altro che un sostegno.

Si stabilì abbastanza rapidamente una relazione terapeutica positiva che cominciava a dare i primi risultati. S. iniziò a poco a poco ad abbandonare il suo atteggiamento vittimistico con cui affrontava i problemi con il marito e con l'ambiente.

Iniziò, inoltre, a mostrare maggiore interesse per la propria persona. L'igiene personale e la cura per il suo aspetto esteriore, che prima erano molto trascurati, cominciavano a diventare per lei motivo di attenzione e di piacere. Mostrava più considerazione nella scelta dell'abbigliamento ed erano più frequenti le visite dal parrucchiere.

Nel corso di questa fase, decise di intraprendere una cura dentistica e di farsi visitare dal ginecologo per un piccolo nodulo che da diverso tempo sentiva al seno.

L'attesa del referto concentrò tutto il nostro lavoro nell'analizzare le fantasie di morte e di invalidità che comprovavano la paura di una diagnosi nefasta. Fu in quell'occasione che la vidi per la prima volta piangere. Per la prima volta accettò di dare spazio ad una emozione, anche se molte volte ci siamo imbattute nel suo racconto in episodi dolorosi. Sembrava che solo l'attualità e la condivisibilità dell'evento rendevano il suo stato d'animo comunicabile.

La diagnosi fu, come si temeva, quella di carcinoma della mammella e si richiedeva l'amputazione di una parte, o forse l'ablazione totale del seno destro.

Con molta commozione e solidarietà da parte mia, nei giorni che precedettero l'intervento analizzammo tutti gli aspetti inerenti l'operazione e le possibili conseguenze a livello psicologico, con lo scopo di anticipare, e quindi contenere un'eventuale caduta depressiva, pericolo che temevo insorgesse.

Al contrario S. trovò in sé grande coraggio ed energia. Quegli elementi depressivi, fino ad allora presenti nell'affrontare la vita erano magicamente scomparsi. Appariva forte e battagliera come chi si predispone alla lotta ed ha ben chiaro l'obbiettivo da combattere.

Paradossalmente sembrava che finalmente l'angoscia, il senso di colpa, l'abulia avessero trovato nel cancro l'oggetto temuto a cui riferirsi e contro cui lottare. Era come se la depressione avesse mostrato un volto riconoscibile non solo da sé stessa ma anche dal mondo circostante. L'esperienza individuale della malattia depressiva aveva assunto una caratteristica relazionale, in quanto ormai oggettivabile: la malattia del corpo era divenuta il tentativo ultimo di comunicare il suo dolore psichico.

L'ambiente familiare fino ad allora ostile ed insensibile al suo disagio psichico, si mostrò assolutamente partecipe ed attento durante tutte le fasi della malattia somatica. Ed in questa atmosfera calda ed accogliente S. ha cominciato a rivedere e a riesaminare il significato ed il valore delle sue relazioni familiari.

Il marito, sempre vissuto come distratto ed insofferente, comincia a stabilire un dialogo più intimo ed affettuoso, anche grazie alla maggiore capacità di S. ad aprirsi ed a comunicare le sue emozioni.

Con i figli recupera la sua posizione genitoriale attraverso una partecipazione attenta alla loro vita ed ai loro bisogni. Anche un'affermazione più chiara delle sue richieste nei loro confronti prende il posto all'atteggiamento di indifferenza e di rinuncia che era stato fino ad allora presente.

Gli incontri con il fratello, in occasione della malattia, diventano più frequenti e con lui, unico aggancio con la sua famiglia di origine, riscopre il piacere di ricordare episodi della sua vita passata.

L'intervento che ha comportato l'ablazione completa della mammella ha avuto esito positivo, la paziente è stata definita clinicamente guarita dall'équipe medica che l'ha seguita "affettuosamente" lungo il decorso della malattia.

Nelle sedute di psicoterapia, successive alla convalescenza, vennero esaminati i vissuti e le correlazioni tra depressione e cancro. Più di una volta S. si è espressa con affermazioni simili a questa "so che la malattia che ho avuto è qualcosa di mostruoso, ma è ben poca cosa rispetto alla situazione di annientamento che ho vissuto nella depressione".

Nei colloqui che seguirono S. appare più viva e sembra animata da un bisogno di dare un senso alla sua malattia e, attraverso questa, di elaborare un nuovo significato sia al suo passato che al suo futuro. L'incontro con il cancro e la conseguente guarigione le ha ridato speranza e fiducia in sé stessa e come dice F. Fornari: "La condizione stessa di malattia (...) può diventare, non solo causa di disperazione, ma anche il più potente evocatore della buona famiglia interna", potenziale che ogni individuo porta con sé.

A proposito di quanto sopra esposto, desidero riportare un sogno di S. che mi sembra particolarmente chiarificatore.

Sogno

Ero dentro una fortezza tetra e buia dalla quale intravedevo solo una via d'uscita, la percorrevo e mi trovavo in una spiaggia dove incontravo un uomo, una donna con un cucciolo in braccio ed un bambino. Mi avvicinai ed accarezzai il cane e poi andai in una piccola spiaggia protetta da una siepe, mi voltai e vidi con piacevole sorpresa che degli uomini muravano la fortezza. Sentii il bisogno di fare un bagno e mi immersi, ma mi accorsi che quello non era il mio mare, feci alcuni passi più in là e finalmente trovai il mio mare.

All'immagine della fortezza tetra e buia, elemento che nel passato ha avuto una funzione protettiva, S. associa la sua depressione-cancro: la condanna cioè di vivere in un vuoto affettivo senza luce. Il depresso è colui che "si sente disamato e incapace di amare, quindi dispera della sua vita e del futuro"

Solo l'incontro con la famiglia, rappresentata dall'uomo, la donna, il bambino determina una mobilitazione degli affetti ed una maggiore consapevolezza e accettazione della propria dipendenza emotiva (carezze al cucciolo). E' ipotizzabile, che grazie a questa esperienza di ritrovamento e di riunione sia possibile impedire l'accesso alla depressione rappresentata dalla fortezza ormai murata. Sembra a questo punto sorgere in S. un progetto di rinascita e di cambiamento e la ricerca di una propria originale individualità (la ricerca e la conseguente immersione nel suo mare).

Alcune considerazioni conclusive

Ho deciso di descrivere questo caso non solo per l'evidenza con cui le problematiche psicologiche sono strettamente correlate alla malattia organica, e quindi per mettere in risalto il rapporto tra vulnerabilità psichica e vulnerabilità somatica, ma soprattutto per sottolineare quanto a volte una malattia del corpo, facilmente diagnosticabile, e oggettivamente indagabile possa costituire lo strumento estremo di dare voce al disagio psicologico.

"... Il cancro è (...) un precipitato di emotività e irrazionalità, una fatal illness, una malattia con l'anima"3 evocatrice di fantasie angosciose e di difese che modula o regola i rapporti non solo dei pazienti con la loro malattia, ma anche il rapporto dei familiari con se stessi e con il paziente. Si potrebbe anche dire che, l'ambiente sociale in cui il paziente vive, è chiamato in causa a confrontarsi con i vissuti che tale malattia suscita.

In S. le esperienze affettive frustranti dell'infanzia e della giovinezza, dalle quali aveva ricavato l'intima sensazione di non essere amata e riconosciuta e che hanno determinato anche la sua chiusura e la tendenza rinunciataria ad affrontare la vita, avevano provocato quel suicidio passivo e inconscio espresso nella depressione prima e manifestatosi poi nel cancro.

Il cancro assume un potere interazionale che la malattia depressiva non aveva avuto. La richiesta di aiuto, il bisogno di sentirsi amata, non sono più i lamenti monotoni colpevolizzanti che generavano rabbia e risentimento, ma diventano esigenze giustificate sia da se stessa che dai suoi familiari.

Come sostiene Fornari è possibile ipotizzare che "...nel momento in cui i fattori affettivo-emotivi possono determinare malattie, (...) l'evento terapeutico venga giocato dal rifornimento di affetti"

Il tumore al seno e la sua asportazione (che richiama l'immagine delle amazzoni, donne guerriere che si amputavano il seno per non essere impedite nel tiro con l'arco) sembrano aver dato ad S. lo stimolo per superare l'incapacità di vivere e l'occasione di una "rinascita".

L'esperienza della malattia fisica comunicabile e condivisa le ha permesso di liberarsi dal senso di colpa che la depressione vissuta per trenta lunghi anni portava con sé: "Non c'è colpa nell'essere malati ma c'è colpa nell'essere depressi, niente mi è stato risparmiato nella depressione. Nessuno ti capisce, sei sola a lottare", ha commentato S. in uno dei nostri incontri.

Il dolore che si è manifestato nel corpo l'ha messa di fronte all'ombra della morte e alla percezione del limite, ma l'ha anche arricchita di una maggiore consapevolezza della sua realtà e della capacità di saper portare il peso di tale esperienza, indicandole la strada verso una trasformazione interiore ed un nuovo modo di stare al mondo.

E' abbastanza frequente riscontrare che il "male oscuro", poco comprensibile dai "sani" anche dai familiari, genera riprovazione e biasimo in quanto si attribuisce all'individuo malato la colpa di essere un incapace e un debole che si approfitta di quanti si occupano e si sacrificano per lui. Il dolore e la disperazione di S. che si sono manifestati attraverso la neoplasia della mammella hanno determinato diversi cambiamenti nell'omeostasi famigliare. Intorno al "vissuto di cancro" si è riorganizzata la struttura interna della famiglia e si sono modificate le interazioni, determinando un nuovo stile relazionale caratterizzato da una maggiore vicinanza fisica ed emotiva, una diminuzione dei conflitti ed una più aperta espressione dei sentimenti.

L'intimità avvertita con i suoi cari e il profondo rispetto per la sua individualità raggiunto attraverso il lavoro psicoterapeutico hanno aiutato S. a sostenere e a fronteggiare le fasi penose della sua malattia avviando un processo di guarigione sia fisica che psichica.

In conclusione è possibile azzardare l'ipotesi, implicita nel titolo di questo lavoro che il cancro, seppure condizione crudele, è stato al tempo stesso malattia e cura. Più esplicitamente, l'esperienza di disperazione giunta agli estremi limiti ed estrinsecata nella proliferazione tumorale

è stata essa stessa l'agente terapeutico che ha determinato ed avviato il processo di morte da un lato, ma di rinascita dall'altro, eventi necessari in ogni trasformazione.

La psicoterapia con S. è attualmente in corso. I temi che maggiormente vengono affrontati, elencandoli sommariamente, riguardano soprattutto il recupero delle sue potenzialità creative, della sua femminilità e la ricerca di un arricchimento della sua personalità attraverso nuovi stimoli culturali. La malattia tumorale e la psicosi depressiva, che per S. sono sentite e vissute come binomio inscindibile, costituiscono attualmente il terreno da cui germogliano nuovi contenuti e nuove idee.

* Psicoterapeuta, specializzata in Medicina Psicosomatica.

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