Aspetti psicologici nella diagnosi e cura
dell'infertilità di coppia:
una rassegna della letteratura recente.

Barbara Scatoletti*


Pubblicato in: Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria, n° 28/29, giugno-dicembre 1996, pagg. 37 - 44




E' ormai abbastanza diffusa presso la comunità scientifica la consapevolezza delle difficoltà psicologiche che accompagnano la condizione di infertilità, riconosciuta come una "crisi di vita" (Menning, 1975) che coinvolge, su diversi piani esistenziali, sia l'individuo che la coppia, dando luogo a vissuti di frustrazione, stress, senso di inadeguatezza e perdita.

Gli studiosi, tuttavia, sono lontani dal consenso nel determinare il contributo che i fattori psicologici possono apportare all'infertilità, per ciò che riguarda l'eziologia, le conseguenze e l'eventuale risoluzione. Alcuni autori sostengono l'ipotesi secondo cui disturbi emozionali cronici e problemi psicosociali giocano un ruolo fondamentale nel determinare l'infertilità in almeno la metà dei casi; altri ipotizzano che la stessa esperienza dell'infertilità, associata alle lunghe indagini diagnostiche e all'intrusività dei trattamenti possano provocare un forte disagio psicosociale e sessuale e contribuire al mantenimento, se non al peggioramento, dell'infertilità; altri ancora ritengono che non si possa operare una netta separazione tra cause ed effetti, tra fattori somatici e psichici, in quanto essi interagiscono tra loro in un complicato intreccio di variabili (Wright et al., 1989).

Il problema degli aspetti psicologici dell'infertilità pone quindi alla clinica e alla ricerca una vasta serie di domande alle quali si è tentato di rispondere fin dagli anni '30, ma è soltanto negli ultimi decenni che sono stati messi a fuoco precisi ambiti di indagine intorno ai quali organizzare ricerche sistematiche e controllate.

In relazione alle diverse ipotesi di ricerca, dalla letteratura recente sul rapporto tra fattori psicologici e infertilità emergono tre linee di studio centrali che riguardano: 1) i fattori psicologici nell'etiologia dell'infertilità; 2) l'impatto dell'infertilità sul funzionamento psicologico; 3) le strategie di adattamento all'infertilità (coping strategies) e gli aspetti della consulenza psicologica alle coppie infertili (Edelmann e Connolly, 1986). Inoltre, in seguito allo sviluppo delle moderne tecnologie di fecondazione assistita, si sta evolvendo una linea di studio sui correlati emotivi di tali trattamenti.

I primi due filoni di ricerca riconoscono tra loro un rapporto dialettico e a volte contrapposto nel cercare di stabilire se una specifica condizione psicologica preesistente possa indurre infertilità o se piuttosto non sia l'esperienza stessa dell'infertilità a produrre una specifica condizione psicologica. Si tratta di dare un senso ai risultati di molte ricerche del passato che rilevavano una maggiore incidenza di disturbi psicologici (ansia, depressione, stress, nevrosi, immaturità) nelle persone in cura per problemi di fecondità (Pasini, 1978).

Negli ultimi anni è stato sollevato il problema del rigore metodologico nella maggior parte delle ricerche del passato, in quanto consideravano le coppie infertili come un gruppo omogeneo indipendentemente dalla durata dell'infertilità e dal diverso momento dell'iter diagnostico e terapeutico che i soggetti stavano attraversando (Wright et al., 1989; Connolly et al., 1992; Morse e Van Hall, 1987). Può essere ben diverso, infatti, lo stato d'animo di coloro che si presentano alla prima visita per un sospetto di infertilità, da quello di una coppia che ha già ottenuto il verdetto di sterilità, dopo una lunga serie di indagini estenuanti e invasive.

I ricercatori moderni considerano quindi l'infertilità come una condizione che si svolge nel tempo e che ha una sua evoluzione psicologica in concomitanza con le varie fasi dell'iter diagnostico e terapeutico, di cui si deve tener conto al momento della valutazione psicometrica e clinica. A questo punto la distinzione tra cause ed effetti, (in questo ambito sempre relativa in quanto la coppia arriva all'attenzione dei medici e dei ricercatori in una condizione psicologica già problematica), può avere valore scientifico soltanto con una maggiore precisione delle ipotesi e con la scelta di campioni omogenei. In tal senso per avere un quadro completo della situazione si dovrebbe ricorrere a misurazioni longitudinali secondo una sequenza cronologica in cui le coppie vengano seguite dal primo approccio agli accertamenti diagnostici, attraverso le varie indagini, fino all'acquisizione della diagnosi, ai conseguenti trattamenti e agli esiti dei trattamenti. Inoltre sarebbero auspicabili degli studi sulle coppie con problemi di fertilità a livello di medicina di base, cioè ancor prima che la coppia decida di intraprendere un programma di indagini specialistiche, il che ridurrebbe la confusione tra condizione iniziale e condizione secondaria (Wright et al., 1989).

E' stata inoltre rilevata la difficoltà e l'imprecisione delle categorizzazione diagnostica dei soggetti, in particolare per ciò che riguarda le definizioni di infertilità funzionale, psicogena, idiopatica, inspiegata etc. La confusione diagnostica rende difficile la differenziazione e la comparazione tra i diversi gruppi da studiare.

Molti autori raccomandano quindi un maggiore rigore nelle ricerche future in modo da poter mettere a punto gli strumenti di valutazione più idonei e trarre delle conclusioni più accurate di cui possa giovarsi la pratica professionale sia per ciò che riguarda la diagnosi che il trattamento. Disponendo di parametri affidabili, potrebbe essere più agevole, per esempio, individuare all'interno delle coppie infertili quelle più a rischio, così da orientare i clinici verso una prevenzione o un supporto psicologico più incisivo di quanto non si faccia usualmente (Benazon et al., 1992).

In tal senso si può comprendere come i filoni di ricerca sopra citati, nonostante i limiti metodologici, con la loro diversa accentazione del disagio psicologico ipotizzato da una parte più come causa dall'altra più come conseguenza della crisi di infertilità, possano comunque essere inscritti nei diversi momenti del percorso della coppia infertile. Infatti le ricerche che cercano di identificare i fattori psicologici che causano infertilità possono rivelarsi importanti nel complesso processo di definizione della diagnosi. Le ricerche sulle conseguenze psicosociali e psicosessuali possono orientare gli interventi di supporto durante i lunghi accertamenti diagnostici, mentre le ricerche del terzo filone, riguardante le coping strategies, possono indirizzare un intervento più specifico nel fornire alla coppia gli strumenti per affrontare l'iter diagnostico e terapeutico, dopo aver rilevato eventuali meccanismi disadattivi.


Fattori psicologici nell'eziopatogenesi dell'infertilità.

Per ciò che riguarda i fattori psicologici come causa di infertilità, mentre un tempo le percentuali di casi ritenuti a eziologia psicogena o inspiegata (sine causa) raggiungevano anche il 50%, oggi, l'affinamento delle conoscenze e delle tecniche diagnostiche hanno ridotto tali percentuali a una media del 5% (Seibel e Taymor, 1982; Capitanio e Curotto, 1993) e sembra che la stima massima non superi il 18% (Edelmann e Connolly, 1986). Tuttavia ciò non esclude che anche nelle infertilità organiche e funzionali non siano implicati, tramite meccanismi psicosomatici, fattori emozionali, come nelle disendocrinie, nello spasmo delle tube, nell'ovaio policistico, nelle alterazioni della motilità uterina, nell'alterazione del biochimismo cervicale e nell'oligospermia. Si è visto, per esempio, che in alcuni casi anche dopo la rimozione della causa organica (tramite intervento chirurgico alle tube), la sterilità persiste (Morse e Van Hall, 1987).

Sebbene le conoscenze sui meccanismi psicosomatici coinvolti nelle funzioni gonadiche siano ancora poco conosciuti, l'ipotesi che gli stress emozionali possano influenzare l'ovulazione e la spermatogenesi è supportata da osservazioni condotte sia in campo animale che umano (Pasini, 1978). La maggior parte dei dati raccolti dalle ricerche endocrinologiche depone per l'esistenza di un effetto soppressivo operato dallo stress sulla funzione gonadica, che dà luogo a determinati squilibri. Per esempio, ad endocrinologi e ginecologi è nota l'esistenza di una condizione patologica, l'amenorrea a genesi ipotalamica, per la quale viene spesso utilizzato il termine di "amenorrea da stress". Inoltre sembra che un'iperattivazione del sistema catecolaminergico e ipofiso-surrenale, prodotta dallo stress, possa influenzare l'ovulazione, il trasporto dell'ovulo e il suo impianto, nella donna, e nell'uomo indurre una diminuzione delle gonadotropine responsabili della spermatogenesi (Seibel e Taymor, 1982; Frasoldati et al., 1992; Levine et al., 1989; Pancheri, 1980). Un ruolo non trascurabile, nell'impossibilità di avere figli, giocano, poi, le disfunzioni psicosessuali, come l'impotenza e il vaginismo.

La componente psico-emozionale può incidere, quindi, sulla fertilità con meccanismi diversi, attraverso il sistema neurovegetativo e neuroendocrino, creando disfunzioni acute e croniche, e a volte vere e proprie alterazioni d'organo. Probabilmente in molti casi le componenti somatiche e quelle psicologiche sono inseparabili e ciò induce sempre più spesso a considerare una multifattorialità di cause nella eziopatogenesi dell'infertilità (Graziottin, 1989; Morse e Van Hall, 1987).

Si comprende così la difficoltà di una delimitazione diagnostica dell'infertilità psicogena, che può essere posta con un certo margine di sicurezza soltanto a posteriori nei casi di risoluzione in seguito a psicoterapia o allo sblocco spontaneo in seguito all'adozione di un figlio o dopo l'interruzione di un lungo iter terapeutico senza risultati. Resta comunque il fatto che se una coppia diagnosticata infertile riesce ad avere un figlio sembra che per il 60% dei casi ciò non possa essere attribuito alle terapie mediche (Hubert et al. 1985) e che tra le coppie con infertilità inspiegata, circa la metà riesce a concepire entro tre anni dalla prima diagnosi senza alcun tipo di trattamento (Edelmann e Connolly, 1986).

Ciò spiega il grande interesse che la ricerca tradizionale ha posto nell'identificare quali componenti e predisposizioni psicologiche possano essere chiamate in causa nell'eziologia dell'infertilità.

Gli studi del passato riguardavano soprattutto il tentativo di delineare la personalità della donna infertile, arrivando a delineare fino ad otto tipi di personalità specifiche, tra cui la donna immatura-dipendente, la donna mascolino-aggressiva, quella cronicamente tesa etc. (Pasini, 1978).

In una analisi della letteratura che va dal 1935 al 1963, Noyes e Chapnick (1964) mostrano come una grande quantità di fattori psicologici siano stati identificati come possibili fattori di infertilità. Molti di questi studi si basavano su resoconti di casi psicoanalitici e spesso erano poco sistematici e vaghi, tanto che, secondo i due autori, non emerge una chiara evidenza che specifici fattori psicologici possano alterare la fertilità in normali coppie infertili.

Negli ultimi anni studi più rigorosi hanno tentato di stabilire se le coppie infertili differiscono dalle coppie fertili o se le coppie con infertilità organica differiscono da quelle con infertilità inspiegata o funzionale, in riguardo di una varietà di caratteristiche psicologiche.

In una ricerca del 1972 Mai, utilizzando il metodo dell'intervista psichiatrica semistrutturata ha confrontato un gruppo di coppie infertili e uno di coppie fertili per altri versi simili e ha riscontrato che le donne infertili mostravano, in misura significativa, disordini della personalità di tipo isterico e aggressivo più spesso dei controlli e una maggiore ambivalenza e difficoltà nei confronti della sessualità. Nonostante ciò le differenze rilevate possono definirsi relative, in quanto, nell'insieme delle coppie infertili, non è risultata una maggiore tendenza alla nevrosi o alla psicosi.

In una indagine sulla condizione psicologica di donne infertili alla loro prima visita, Downey e McKinney (1992) non hanno trovato differenze significative con il gruppo di controllo per ciò che concerne sintomatologia psichiatrica, depressione, autostima e funzionamento sessuale. Comunque un'alta percentuale di pazienti percepiva un cambiamento in negativo dell'umore e del senso del proprio valore in seguito all'insorgere di problemi di fertilità.

Platt (1973) ha studiato un campione di coppie infertili (durata media dell'infertilità di tre anni) in alcune dimensioni della personalità e ha riscontrato che sia i maschi che le femmine percepivano uno scarso controllo sulla loro vita (locus of control esterno) e mostravano una marcata discrepanza tra concetto di sé attuale e sé ideale. Inoltre le donne mostravano più nevroticismo, ansietà e disturbi emozionali rispetto ai controlli.

In un confronto tra donne con infertilità psicogena e donne con infertilità meccanica che erano state sottoposte ad un intervento correttivo alle tube, le pazienti psicogene non mostravano segni di maggiore nevrosi (Neuroticism Scale) rispetto al gruppo di controllo, mentre mostravano notevoli difficoltà rispetto ad alcune dimensioni del ruolo femminile, quali l'accettazione e l'identificazione col ruolo femminile e con la maternità (Kipper et al. 1977). Slade (1981), non ha trovato, in donne con infertilità inspiegata, maggiori difficoltà per ciò che riguarda il ruolo sociale femminile, mentre ha riscontrato un minor adattamento sessuale, con sensi di colpa e abitudini sessuali restrittive L'Autore, comunque, mette in guardia rispetto alla possibilità che tali risultati non siano l'effetto di una sessualità finalizzata esclusivamente al tentativo di procreare.

In uno studio sistematico della grafologia di donne con infertilità sine causa, i soggetti hanno riportato punteggi più elevati, rispetto ai controlli, nelle dimensioni di "resistenza" e "attesa", cioè nella tendenza alla chiusura, alla rigidità, all'autocontrollo e ad atteggiamenti di statica difesa (Deragna et al., 1994).

Un gruppo di donne diagnosticate infertili è stato sottoposto ad una serie di test per misurare tratti di personalità, ansia, depressione, concetto di sé e locus of control. I risultati, contraddicono le ipotesi sui tratti specifici di personalità e sullo stress concernente la sterilità in quanto non hanno riscontrato differenze significative con il gruppo di controllo (Paulson et al., 1988).

Alcuni autori mettono in dubbio l'utilità delle valutazioni psicometriche nell'indagare sull'infertilità funzionale e psicogena in quanto raramente si riscontrano disturbi psichiatrici, mentre emergono in primo piano i conflitti motivazionali nel desiderio di avere un figlio. In tal senso ritengono che il colloquio clinico sia lo strumento più adeguato per chiarire la natura del conflitto (Astor e Pawson, 1985).

Come si può notare dalle ricerche citate non sembrano emergere risultati chiari e univoci sulle caratteristiche di personalità e sugli atteggiamenti motivazionali della donna infertile (per gli studi sull'infertilità maschile Cfr.. Morelli). Sembra piuttosto emergere una scarsa considerazione per eventuali disturbi relazionali della coppia preesistenti, che potrebbero influire sulla fertilità.

Le conseguenze psicologiche dell'infertilità.

Mentre gli studi riguardanti i fattori psicologici nell'eziologia dell'infertilità sono discordanti e richiedono approfondimenti futuri, pochi dubbi ci sono invece sugli effetti, sulle conseguenze psicologiche dell'infertilità, in termini di ansia, stress psicosociale, frustrazione, disadattamento coniugale, etc.

Menning (1975) descrive una serie di reazioni che vanno dalla sorpresa e shock iniziali, al rifiuto, alla collera, all'angoscia, ai successivi sensi di colpa, di dolore, e di perdita.

L'infertilità può essere vissuta come un trauma narcisistico, il superamento del quale dipende non solo dalle possibilità concrete di risoluzione del problema, ma anche dalla struttura caratteriale dell'individuo e dall'equilibrio che la coppia riesce a mantenere o ristabilire. Il compito intrapsichico include l'accettazione del problema, il far fronte alle pressioni sociali, il lavoro di lutto rispetto alla perdita dell'ideale di sé e della propria immagine corporea, il riflettere sull'importanza della genitorialità e sulla propria motivazione ad avere un figlio, decidendo poi se affrontare il lungo iter diagnostico-terapeutico.

A livello di coppia la "crisi di infertilità" può inficiare le sfere della comunicazione, dell'attività sessuale e dei progetti futuri e dare luogo a una condizione di conflitto e di isolamento sociale. Qualunque fosse la condizione emotiva e relazionale prima dell'emergere di un problema di infertilità, il suo insorgere può esacerbare o attivare ex-novo conflitti individuali e di coppia.

Lo stress emozionale che ne consegue può a sua volta avere un effetto sulle funzioni biologiche, particolarmente sull'equilibrio endocrino e sulle funzioni sessuali, tale da creare un circolo vizioso.

Per questo diventa importante da parte dei ricercatori lo studio sistematico delle reazioni all'infertilità e l'esame dei fattori implicati, tra cui l'impatto delle procedure diagnostiche e terapeutiche, in modo da approntare dei programmi che minimizzino le conseguenze e forniscano un contenimento allo stress (Bresnick, 1981).

Gli effetti dell'infertilità sul funzionamento psicologico sono quindi una complessa materia di studio influenzata da molte variabili che includono la durata dell'infertilità, le procedure diagnostiche, il sesso dei soggetti, il fatto che l'infertilità sia attribuita all'uomo o alla donna, la natura della diagnosi e la prognosi.

Mentre le ricerche più recenti tengono conto delle diverse variabili, di tempo, sesso o diagnosi, gli studi precedenti sembrano viziati dai limiti metodologici di cui abbiamo riferito sopra, quindi i loro risultati debbono essere valutati con cautela.

In un'ampia rassegna degli studi condotti tra gli anni '70 e '80, Wright (1989) ha riscontrato che nella maggior parte delle ricerche i soggetti infertili sono risultati più stressati dei gruppi di controllo. Le comparazioni tra soggetti con diversa diagnosi di infertilità (organica, funzionale, inspiegata) non hanno mostrato differenze significative per quanto riguarda i livelli di stress, pur con una leggera prevalenza nei soggetti con diagnosi di infertilità inspiegata, seguiti dai pazienti organici e poi dai funzionali. Un dato rilevante è che le donne riportano maggiore disagio psicologico, in particolare nelle dimensioni dell'ansia, dell'adattamento sessuale, dell'autostima e della depressione e sembrano risentire di più dell'impatto dei trattamenti.

Successivamente questo Autore (Wright, 1991) ha condotto una vasta ricerca per verificare la differenza di risposta tra uomini e donne e, in accordo con le precedenti ricerche, ha riscontrato che le donne mostravano maggiore difficoltà dei loro partner sia nelle misure psichiatriche globali sia nelle sottoscale riguardanti ansia, stress, autostima, depressione, ostilità e disturbi cognitivi. Inoltre sia gli uomini che le donne mostravano sintomi psichiatrici in misura leggermente superiore alla norma, senza, però, raggiungere livelli psicopatologici.

In un campione di donne infertili esaminato da McEwan (1987), le donne più giovani e quelle con diagnosi di infertilità inspiegata sembravano risentire di più della loro condizione. Inoltre riportavano livelli più elevati di stress quelle pazienti che, pur non mostrando segni di depressione, erano pessimiste sulle loro effettive possibilità di concepire in seguito a trattamento, nonostante prognosi medica favorevole.

In uno studio longitudinale per valutare gli effetti dell'infertilità e l'influenza delle indagini e dei trattamenti medici sul funzionamento coniugale e sessuale, è emerso che man mano che le indagini procedevano lo stress aumentava e il funzionamento coniugale diminuiva. L'ansia sembrava particolarmente evidente nelle donne, anche a causa dell'aspettativa di trattamenti invasivi e traumatici. Nonostante ciò non apparivano cambiamenti nella percezione soggettiva della soddisfazione coniugale. Inoltre un più alto livello di stress è stato rilevato in quelle coppie per le quali il trattamento non ha avuto successo ad un anno dalla prima visita (Benazon et al., 1992).

Risultati diversi sono stati ottenuti da un'altra ricerca longitudinale (Connolly et al., 1992) in cui i dati relativi ad ansia, depressione, adattamento coniugale e identità di ruolo sono addirittura migliorati dopo mesi di indagini diagnostiche. Soltanto nei partner che sono risultati portatori di sterilità, in particolare negli uomini, sono state rilevate difficoltà in seguito alla conoscenza della diagnosi. Le coppie sono apparse in generale ben adattate e non sono state rilevate particolari patologie psichiche rispetto ai gruppi di controllo. Gli autori ipotizzano che questi risultati siano dovuti anche ad una sorta di autoselezione, per cui soltanto le coppie più stabili si impegnano attivamente sottoponendosi fino alla loro conclusione ai processi diagnostici.

In una ricerca precedente sulla soddisfazione personale, coniugale e sessuale di coppie in trattamento è stato rilevato che le mogli erano in generale meno soddisfatte della loro vita rispetto ai mariti e in particolare quelle donne i cui mariti non avevano voluto rispondere ai questionari mostravano più alti livelli di stress e segni di depressione clinica (Link e Darling, 1986). Callan ed Hennessey (1988) hanno rilevato che le donne sterili riportano minore soddisfazione nella loro vita complessiva, vissuta come meno interessante, vuota e solitaria.

Per ciò che riguarda la vita sessuale, in relazione all'enfasi che la valutazione e il trattamento dell'infertilità pongono sul rapporto sessuale, tale sfera può subire un condizionamento negativo, con diminuzione della frequenza e della spontaneità dei rapporti e insorgenza di disfunzioni sessuali transitorie, quali difficoltà nel raggiungere l'orgasmo, calo del desiderio, eiaculazione precoce, impotenza secondaria, incapacità di portare a termine il coito o azoospermia transitoria come risposta alla richiesta di rapporti per l'esame post-coitale (Capitanio e Curotto, 1993; Di Francesco, 1990).

In un'ampia ricerca condotta in Italia (D'ottavio et al., 1991) l'inadeguatezza sessuale nell'uomo ipofertile aumentava in maniera significativa in seguito alla medicalizzazione. Infatti l'incidenza delle disfunzioni sessuali passava dal 6,57% della prima consultazione al 15,8% alla fine dell'iter diagnostico-terapeutico e consisteva soprattutto in precocità eiaculatoria e caduta del desiderio.

Kedem (1990), comparando maschi con sospetta infertilità e maschi fertili non ha trovato differenze significative per ciò che riguardava il sentimento soggettivo di adeguatezza sessuale, sebbene si evidenziasse calo dell'autostima e ansia. Inoltre ha riscontrato che l'incidenza di disfunzioni sessuali era correlata sia alla diagnosi di infertilità maschile, sia al fatto che anche la moglie avesse problemi di fecondità e dovesse sottostare a particolari prescrizioni sessuali ai fini del trattamento, quali per esempio l'assunzione di precise posizioni coitali.

Le informazioni disponibili suggeriscono quindi che l'infertilità ha un impatto sul funzionamento psicologico, coniugale e sessuale, e sembra che l'esperienza dell'infertilità possa essere più o meno patogena in relazione ad una quantità di fattori, individuali e di coppia, cognitivi ed emotivi, medici e sociali. In particolare alcune coppie mostrano di adattarsi e di saper far fronte alla crisi di infertilità, attivando nuove risorse, meglio di altre (Edelmann, 1986). In tal senso la ricerca sta rivolgendo la sua attenzione allo studio delle modalità messe in atto dalle coppie infertili nell'affrontare la loro condizione, al fine di differenziare le modalità più adattive da quelle potenzialmente patogene e di poter quindi intervenire nell'indirizzare le coppie verso risposte più adattive.

Gli studi in proposito si fondano su diverse ipotesi interpretative, e si focalizzano su alcuni concetti di base nell'individuazione dei meccanismi responsabili della vulnerabilità o del buon adattamento personale e coniugale durante la crisi di infertilità. In particolare gli studi che si rifanno a modelli cognitivi esplorano i diversi stili di risposta e le strategie di adattamento e gestione dello stress (coping styles, coping strategies) (Callan ed Hennessey 1989; Wright, 1991), le aspettative e il significato attribuito alla genitorialità (Edelmann et al., 1994), la percezione del proprio controllo sugli eventi (locus of control) (Platt, 1973; Paulson, 1988) e i diversi tipi di rappresentazione di sé (Kikendall, 1994).

Gli studi ad orientamento psicoanalitico studiano la personalità di base, i conflitti intrapsichici e motivazionali, i meccanismi di difesa (Mahlstedt, 1985; Gentili, Franzese1991). I modelli psicosociali mettono in evidenza le variabili sociodemografiche quali età, sesso, religione, status socioeconomico, le relazioni con l'ambiente medico e parentale-sociale nel determinare la risposta all'infertilità (Mc Ewan, 1987).

Da una ricerca (Gentili e Franzese, 1991) è stato messo in evidenza come alcuni meccanismi di difesa (aggressività rivolta verso l'esterno, rovesciamento, formazione reattiva etc.) vengano utilizzati dalla coppia sterile, in particolare dalla donna, per impedire la presa di coscienza di ogni conflittualità personale e di coppia e per mantenere un alto livello di autostima. Gli autori sottolineano che, mentre l'uso di efficaci meccanismi difensivi permette di vivere in maniera compensata la situazione di infertilità, la presenza massiccia e rigida di questi meccanismi non è un indice di buon adattamento e può impedire l'indagine e l'intervento sulle difficoltà psicologiche.

Sebbene la ricerca in questo ambito sia allo stato nascente, ognuno di questi diversi approcci può rivelarsi fruttuoso nell'orientare la consulenza psicologica della coppia infertile.

I correlati emotivi delle tecniche di fecondazione assistita.

Negli ultimi venti anni circa si sono sviluppate e sono andate sempre più affinandosi le tecniche di fecondazione assistita, che permettono di aggirare l'ostacolo della mancata fertilità, allorché i consueti trattamenti medici non si siano rivelati utili a ottenere un concepimento.

I mezzi terapeutici oggi disponibili, e in continuo perfezionamento, sono essenzialmente rappresentati da: 1) inseminazione artificiale omologa ed eterologa; 2) GIFT o Gamete Intrafalopian Transfert; 3) Fertilizzazione in Vitro/Embrio Transfert o FIVET. In particolare l'inseminazione artificiale eterologa (con seme di donatore - AID) viene utilizzata nei casi di azoospermia, oligospermia grave e sterilità immunologica; la FIVET viene utilizzata nelle patologie tubariche non risolte da microchirurgia, nelle sterilità inspiegate, nelle endometriosi, nelle sterilità immunologiche e nelle oligoastenospermie. La GIFT ha le stesse indicazioni della FIVET, salvo le patologie tubariche (Cagnazzo, 1988).

Ognuna di queste tecniche finalizzate ad ottenere una gravidanza, comporta specifiche problematiche psicologiche, in relazione alla peculiarità ed inusualità del trattamento, al tipo di procedure da utilizzare, ai tempi del trattamento, al coinvolgimento di terze persone in una sfera tanto intima (medici, donatore), alle probabilità di successo, che a volte sono esigue (nella FIVET non oltre il 15%), e quindi alla prospettiva di un eventuale fallimento.

Il percorso di riproduzione assistita, con il suo rituale complesso, l'alta frequenza dei controlli, il grande numero di variabili (vissute come incontrollabili) che sembrano condizionarne l'esito esaspera l'attesa e sottolinea, ad ogni intervento, la perdita, simbolica o reale, che la frustrazione del desiderio di un figlio comporta (Graziottin et al., 1993). Inoltre l'attenzione ossessiva ai propri processi corporei, indotta dalla medicalizzazione, ingenera paure e tensioni che possono alterare i parametri fisiologici. Può, per esempio, verificarsi anovulazione in donne in trattamento di inseminazione artificiale e difficoltà da parte dell'uomo di produrre il seme quando richiesto dai medici, o alterazione dei valori seminali (Dennerstein e Morse, 1988).

Come è stato sottolineato da Link (1986), l'infertilità non può essere trattata al pari di ogni altra "malattia", in quanto va a toccare l'essenza della femminilità e della mascolinità e l'intrusività fisica e psicologica che accompagna il trattamento può mettere in discussione l'immagine di sé e dar luogo a squilibri emozionali e psicosessuali.

In particolare, le tecniche con maggiori implicazioni psicologiche e morali, sono l'inseminazione artificiale eterologa, e la FIVET. La GIFT, che prevede l'incontro dei gameti dei due partner, precedentemente manipolati, nella loro sede naturale cioè nelle tube materne, sembra comportare minori problematiche morali, pur essendo, al pari delle altre, altamente stressante, a causa delle lunghe e invasive procedure (Simonelli, 1987).

Sebbene stia crescendo, in ambito clinico la consapevolezza dello stress implicito nel percorso di riproduzione assistita, la ricerca psicologica in questo ambito è allo stadio iniziale e i dati disponibili sono ancora insufficienti e incerti.

Un dato che sembra emergere è che le coppie che si sottopongono ad un concepimento indotto siano quelle più solidali e con maggiore ottimismo e determinazione personale. Ciò probabilmente è dovuto al fatto che coloro che si risolvono per tale decisione hanno avuto modo di elaborare e superare le difficoltà inerenti alle fasi precedenti e di saggiare la consistenza della propria motivazione (Venturini et al., 1986).

Alcune ricerche hanno tentato di misurare il profilo psicologico delle donne in pre-trattamento FIVET e dei loro partners, e di studiare i successivi effetti psicologici dell'iter terapeutico. In generale, nelle donne sono state riscontrate caratteristiche di ambizione, creatività, indipendenza, forza dell'Io, buona tolleranza allo stress, estroversione e autostima. A fronte di ciò è stato rilevato un alto livello di ansia di stato e di tratto (Dennerstein e Morse, 1988; D'Ambrogio et al, 1993; Callan e Hennnessey, 1988). Freeman (1985) ha trovato soltanto nel 20% dei soggetti disfunzioni emotive, stress e difficoltà di personalità. Manara e Boscia (1988) hanno esaminato da un punto di vista psicodinamico donne in fase di induzione del concepimento e hanno riscontrato una carica di aggressività repressa mitigata da meccanismi di difesa quali lo spostamento e la rimozione.

Uno studio riguardante cento donne esaminate prima e dopo un tentativo fallito di fecondazione in vitro ha registrato un peggioramento nelle misure della depressione, autostima e fiducia in sé rispetto all'inizio del trattamento, inoltre ha rilevato che le donne che utilizzavano una modalità evitante di far fronte all'insuccesso riportavano un minore livello di adattamento (Hynes et al., 1992) rispetto a quelle che adottavano una modalità orientata alla risoluzione del problema.

In un'altra ricerca di tipo longitudinale (Leiblum et al., 1987) le coppie all'inizio del trattamento FIVET ritenevano che il loro matrimonio fosse migliore della media e si dichiaravano molto ottimiste sulle chances di ottenere una gravidanza (40%), a dispetto delle previsioni mediche che erano circa del 10%. Le donne riportavano punteggi più alti nelle misure della depressione rispetto ai mariti, i quali mostravano una maggiore sicurezza. In seguito al fallimento del trattamento l'umore delle coppie virava significativamente verso sentimenti di rabbia, depressione, vuoto, tristezza, colpa. In alcuni casi l'esperienza di ripetuti fallimenti dà inizio al processo di elaborazione del lutto, e all'accettazione della realtà, nella convinzione di aver fatto tutto il possibile, in altri casi prevale la disperazione e il senso di essere stati traditi dal proprio corpo (Dennerstein e Morse, 1988).

Questi dati testimoniano della grande carica emotiva coinvolta nei trattamenti e nel loro fallimento e inducono a riflettere sulla necessità di individuare quei casi in cui massicce difese, quali la negazione e la rimozione, e l'attenzione esclusiva verso la meta agognata portano ad eccessive aspettative, rendendo poi più difficile fronteggiare la delusione del fallimento, col rischio di esserne sopraffatti. In tal senso viene sottolineata l'importanza di intensificare gli sforzi da parte dei clinici nella fase preparatoria al programma, tramite una informazione più chiara e un sostegno psicologico costante, volto all'esplicitazione e all'elaborazione dell'ansia e delle paure sottostanti (Dennerstein e Morse, 1988; Callan e Hennessey, 1989).

L'esigenza di una informazione accurata e di un supporto rassicurante emerge anche nelle ricerche riguardanti i programmi di inseminazione artificiale eterologa, in cui i dubbi e le fantasie si moltiplicano in rapporto all'inclusione di un terzo estraneo, il donatore anonimo, come vettore di fertilità, che viene vissuto come una figura misteriosa, a volte benevola, a volte persecutoria e onnipotente. In tal senso è stata registrata una pressante richiesta di informazione sul conto del donatore e sulle modalità delle procedure, da parte delle coppie, e soprattutto dei mariti, volta probabilmente a razionalizzare e ridimensionare le ambivalenze e i fantasmi relativi all'utilizzo del seme di un estraneo (Micioni, 1993). Inoltre il ricorso al donatore è un evento investito di tali tabù sociali e familiari che da una indagine su 830 coppie sottoposte ad inseminazione artificiale eterologa è risultato che molte di esse l'avevano tenuto totalmente segreto a entrambe le famiglie di origine e che soltanto un uomo su 830 aveva avuto il coraggio di rivelare al proprio padre di essere il responsabile dell'infertilità (Graziottin et al., 1993).

L'AID offre alla partner femminile della coppia sterile la possibilità di vivere la maternità biologica, ma è necessaria una profonda presa di coscienza dei coniugi sui fattori in essa implicati. Sebbene le casistiche riportino dati rassicuranti sull'incidenza di alterazioni psichiche in soggetti che hanno sperimentato l'AID, i potenziali effetti negativi sul partner maschile non possono essere ignorati (Struzziero e Corbo, 1987).

Le problematiche relative al donatore di seme riportate dal partner maschile vanno quindi attentamente vagliate in quanto riconducibili a dinamiche inconsce riguardanti l'angoscia di castrazione, i conflitti edipici, la vergogna e la dialettica potenza-impotenza, che devono essere elaborate al fine di prevenire ambivalenze, sensi di colpa e di inadeguatezza verso il bambino che dovrà nascere (Venturini et al., 1986; Simonelli, 1987). Come è stato sottolineato, l'inseminazione con donatore non può rappresentare da sola la risposta all'infertilità maschile, perché, tale metodica, isolata dal contesto emotivo, può diventare un evitamento piuttosto che un trattamento del problema (Edelmann et al., 1994; Carmeli e Birembaum-Carmeli, 1994).

Appare allora desiderabile una consulenza psicologica che offra la possibilità di analizzare serenamente le fantasie e le aspettative della coppia e che identifichi precocemente i soggetti più vulnerabili in modo da metterli in condizione di affrontare i propri conflitti o di prendere la decisione più appropriata (Connolly et al., 1992).

La consulenza psicologica alle coppie infertili.

Le crescenti conoscenze intorno alle implicazioni psicologiche dell'infertilità indicano come la componente medica e quella psicologica non possano essere separate, sia per ciò che riguarda la diagnosi che il trattamento. In tal senso molti clinici e ricercatori sollecitano ad un approccio olistico all'infertilità, in cui la consulenza psicologica rappresenti parte integrante dei programmi diagnostico-terapeutici.

In questo contesto la consulenza non si pone soltanto come contenimento dell'ansia e della frustrazione della coppia che arriva all'attenzione medica, né come risposta ultima, dopo il fallimento dei trattamenti medici, bensì come uno strumento di diagnosi e mezzo di prevenzione delle sequele psicologiche e psicosessuali (Link e Darling, 1986).

Sebbene gli studi su quale sia la forma più adeguata o efficace di consulenza nell'ambito dell'infertilità siano molto limitati e poco sistematici (Edelmann e Connolly, 1986; Wright, 1989), l'esperienza clinica suggerisce alcuni obiettivi e funzioni della consulenza alla coppia infertile

In primo luogo un accurato esame della situazione psicologica e relazionale (condotto sia sulla coppia che sui singoli) è opportuno per valutare la presenza di eventuali componenti psicogene e può concorrere alla definizione della diagnosi, se non addirittura a sbloccare una situazione di tensione e ansia che interferisce con la fertilità (Pasini, 1978).

In secondo luogo, un importante obiettivo della consulenza dovrebbe essere quello di minimizzare l'impatto degli eventi medici e fisici che la coppia deve affrontare, tramite una costante informazione e presa di coscienza sugli esami specialistici da fare, sulle loro finalità, nonché una serena valutazione dei risultati e dei conseguenti trattamenti. Ciò per ridurre i sentimenti di ansia, solitudine e di perdita di controllo sulla situazione esperita dai pazienti. L'informazione-educazione intorno agli aspetti medici può fornire una base per la comunicazione e il coinvolgimento di entrambi i partner. Una volta avviata la comunicazione, si può tentare di aiutarli ad esplorare gli aspetti emozionali più profondi, a confrontarsi sul desiderio di avere un figlio e sul significato della frustrazione di questo desiderio (Bresnick, 1981). L'accoglimento e il riconoscimento di sentimenti quali tristezza, rabbia, colpa, dà un senso alla sofferenza e restituisce al paziente il senso della sua integrità, minacciata dalla condizione di infertilità.

Un altro obiettivo della consulenza è quello di identificare le situazioni a rischio, selezionando per ogni singola coppia l'intervento più appropriato. Mentre per alcuni casi è sufficiente un semplice intervento supportivo, per altri può rivelarsi opportuno un trattamento psicologico più specifico. In particolare dagli studi precedentemente citati sembra che le coppie più a rischio siano quelle con infertilità inspiegata e che le donne siano l'elemento della coppia che risente di più della condizione di infertilità e dei conseguenti trattamenti (Wright, 1989, Dennerstein e Morse, 1988). In relazione alle esigenze individuate, gli approcci terapeutici indicati possono essere diversi: un trattamento psicodinamico individuale o di coppia, tecniche di rilassamento e di riduzione dello stress, terapie cognitivo-comportamentali, terapia sessuale di coppia, gruppi di sostegno, etc. (Kikendall, 1994). Il fine di questi interventi terapeutici non è di ottenere un concepimento ma piuttosto di facilitare la risoluzione della crisi di infertilità e di contenere l'insorgere di situazioni di scompenso in soggetti con potenziale psicopatologia sottostante (Bresnick, 1981).

Inoltre la consulenza può fornire un prezioso aiuto nell'affrontare i trattamenti di fecondazione assistita e il loro eventuale fallimento. In particolare il verificarsi di ripetuti fallimenti induce la coppia a confrontarsi in modo realistico con l'impossibilità di avere figli biologici e in tal caso il supporto psicologico può facilitare l'elaborazione del lutto e la reinterpretazione della situazione, che può sfociare nell'adozione o nel prefigurarsi e progettare una vita senza figli (Dennerstein e Morse, 1988; Hynes et al, 1992).

Sebbene la consulenza psicologica venga considerata dalla letteratura scientifica come un aspetto integrante del trattamento dell'infertilità, nella pratica la possibilità di fornire un tale servizio è ancora scarsa. Mentre in alcuni Paesi, quali gli Stati Uniti e la Gran Bretagna la legislazione prevede l'intervento psicologico di sostegno alle coppie infertili (Edelman e Connolly, 1986), in Italia, a causa della carente regolamentazione legislativa, manca un indirizzo comune sulle modalità di intervento e la necessità della presenza di un operatore psicologo nei centri per la sterilità, pubblici o privati, sembra non essere ancora pienamente riconosciuta, con la conseguenza che, nel migliore dei casi, la presa in carico psicologica dei pazienti è affidata al medico specialista, al quale si richiede una preparazione psicologica e sessuologica (Tavaglini e Rifelli, 1985; Capitanio e Curotto, 1993).

* Psicologa.





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