Problemi della fecondazione
artificiale in Italia e all'estero.


Gli orizzonti del dibattito bioetico.

Francesca Oppedisano* - Piero Quattrocchi**

Pubblicato in: Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria, n° 28/29, giugno-dicembre 1996, pagg. 9 - 16




La bioetica nasce, negli anni sessanta, in seguito al grande sviluppo delle discipline biomediche, che in pochi decenni compiono progressi straordinari, rendendo possibili cose un tempo impensabili.

In particolare è stato l'incontro di due nuove tecnologie, l'ingegneria genetica e il concepimento in vitro, che ha conferito all'uomo poteri finora a lui sconosciuti.

Orizzonti affascinanti si aprono alla biotecnologia e, insieme, nascono nuovi grandi problemi. Il fatto che l'uomo sia in grado, oggi, di intervenire sui suoi costituenti genetici, manipolandoli e trasformandoli, pone angoscianti interrogativi alle coscienze (Mori, 1990).

Da un lato ci sono coloro che non vogliono discostarsi da ciò che è naturale nel timore che i cambiamenti possano portare a delle conseguenze disastrose. Dall'altro lato ci sono coloro che invece ritengono che sia lecito sperimentare tutto lo sperimentabile, sulla base dell'idea che il pericolo più grande per l'umanità sia quello di vedere arrestato il proprio sviluppo (Castiglione, 1989).

In realtà qualsiasi scoperta scientifica può essere utilizzata sia in senso positivo che in senso negativo: ciò che conta è fissare chiaramente gli scopi per i quali si intende usarla, e provvedere ad un sistema di controllo. E proprio a tal fine i valori di pluralismo, spirito critico e libera discussione, che la bioetica ha il compito di sviluppare, possono assumere un ruolo di primaria importanza.

Il primo problema sollevato dall'ingegneria genetica ed in particolare dalle "Nuove Tecnologie Riproduttive" è quindi di tipo etico o morale: ora che siamo in grado di procreare artificialmente si tratta di stabilire se sia moralmente lecito farlo.

Sotto il profilo morale non c'è dubbio che l'obiettivo della terapia genetica sia positivo: l'obiettivo, infatti, è quello di curare le malattie genetiche a livello del gene, o correggendolo o sostituendolo, e si pone a vantaggio dell'uomo nella lotta contro la malattia. E' necessario, però, considerare, al di là dell'obiettivo positivo, la modalità concreta d'intervento: certamente è del tutto inammissibile servirsi, per la ricerca, di embrioni umani.

Dal punto di vista della morale emerge l'idea che non ci siano più doveri assoluti, cioè doveri che non ammettono mai nessuna eccezione; per cui in gran parte delle riflessioni filosofiche si dà per scontato o che i doveri dipendono dalle buone conseguenze derivanti dall'azione, oppure che tutti i doveri siano doveri prima facie, cioè doveri che pur valendo di per sé ammettono eccezioni in caso di conflitto con altri doveri.

Ciò significa che ha cessato di essere indiscusso un fondamentale principio morale, quello che Mori chiama il "Principio di sacralità della vita umana" (Psv), cioè il principio che ingiunge il rispetto assoluto del finalismo intrinseco dei processi biologici umani. L'abbandono di questo principio comporta un profondo cambiamento culturale e segna l'affermazione di una diversa prospettiva etica: si passa della "Etica della sacralità della vita" a una "Etica della qualità della vita", in cui il criterio fondamentale non è più l'obbedienza a un dovere assoluto, ma è la considerazione del benessere degli individui coinvolti ed il rispetto delle scelte individuali.

Poiché in questa prospettiva è venuta meno la gerarchia fissa dei doveri che vede al primo posto il dovere assoluto, il grande problema diventa, da questo punto di vista, quello di individuare una gerarchia dei doveri che, nelle circostanze storiche attuali, garantisca un adeguato livello di qualità della vita.

L'applicazione dei principi morali diventa, da questo punto di vista ancora più problematica, giacché spesso ci si trova di fronte a paradossi o ad intuizioni morali confliggenti. Peraltro questa situazione di perplessità morale accresce l'interesse per la bioetica, la quale rappresenta una sorta di "supplemento di riflessione" che sembra indispensabile per giungere ad avere una prospettiva morale che sia interamente coerente; in particolare essa è la riflessione richiesta per l'elaborazione di un nuovo "codice morale" - senza assoluti - per quanto riguarda l'ambito medico biologico (Mori, 1993).

Tuttavia, l'elaborazione di un codice morale non è l'unico obiettivo essenziale, oggi molti ricercano in campo bioetico la fissazione di norme; senza dubbio alcune norme sono auspicabili, ma più essenziale ancora è lo sviluppo di una capacità di giudizio etico in cui ci si abitui al confronto sereno dei valori e all'assunzione di scelte secondo coscienza responsabile.

In sostanza, dunque, quella che ci pare auspicabile per la bioetica è un'etica della pluralità dei valori, un'etica che punti, più che sull'emanazione di norme, sulla costituzione di un autentico ethos, frutto di meditata adesione collettiva ad una costellazione di valori seriamente esplicitata e responsabilmente assunta.

Regole emananti da un tale ethos saranno allora spontanee e nello stesso tempo efficaci, mentre in mancanza di esso saranno difficilmente raggiungibili e di molto difficile applicazione. Come avvertiva Vico: "non sono le buone leggi che fanno i buoni uomini, ma i buoni uomini che fanno le buone leggi". La bioetica ci pone oggi ad una svolta storica in cui ritroviamo la saggezza di questa massima (Agazzi, 1990).

Mentre da un lato lo sviluppo delle tecniche in oggetto è visto con favore per alleviare le sofferenze connesse ad una sempre più ampia diffusione della sterilità, da un altro lato affiorano molti problemi sui quali le opinioni divergono notevolmente, in particolare i problemi vertono sulla questione della tutela dell'embrione umano.

In particolare il punto cui si riconnettono tutte le problematiche relative alla "procreazione assistita" è il problema dell'inizio della vita umana.

Il mondo cattolico sostiene che tale "inizio" debba essere fissato al momento stesso del concepimento, Monsignor Dionigi Tettamanzi afferma, infatti, che l'embrione umano, e sin dall'inizio della sua esistenza, è persona umana, sicché è inviolabile nel diritto alla vita ed esige un rispetto assoluto e incondizionato (Tettamanzi, 1986).

Questa affermazione porta a concludere che la distruzione di embrioni costituisca un vero e proprio omicidio, cioè un atto con cui si uccide ingiustificatamente una persona. La forza di questa obiezione sta nel fatto che l'omicidio è vietato dal "Non uccidere!", principio che è fondamentale in ogni moralità.

La chiesa cattolica ha preso posizione per la prima volta sui problemi della fecondazione assistita nel marzo 1987 con un documento su Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, conosciuto con il nome del suo redattore, il cardinale Ratzinger, prefetto della congregazione per la dottrina della fede.

Il documento prende espressamente posizione sull'inseminazione artificiale sia omologa che eterologa, e sulla fecondazione artificiale omologa in vitro. Tali pratiche sono tutte vietate sulla base del principio di inscindibilità della procreazione dal rapporto sessuale "La fedeltà degli sposi, nell'unità del matrimonio, comporta il reciproco rispetto del loro diritto a diventare padre e madre soltanto l'uno attraverso l'altro". Questo passo può considerarsi il ragionamento chiave del documento.

In particolare l'inseminazione artificiale eterologa è considerata contraria all'unità del matrimonio, alla dignità degli sposi, alla vocazione propria dei genitori e al diritto del figlio a essere concepito e messo al mondo nel matrimonio. Il desiderio di avere un figlio, l'amore tra gli sposi che aspirano ad ovviare a una sterilità non altrimenti superabile, costituiscono motivazioni comprensibili; ma le intenzioni soggettivamente buone non rendono l'inseminazione artificiale eterologa né conforme alle proprietà oggettive e inalienabili del matrimonio né rispettosa dei diritti del figlio e degli sposi.

La fecondazione artificiale omologa in vitro è considerata del pari illecita e contrastante con la dignità della procreazione e dell'unione coniugale. Essa, infatti, in genere implica la distruzione di embrioni umani, ma anche ove questo non accadesse, la FIVET attua la dissociazione dei gesti che sono destinati alla fecondazione umana dall'atto coniugale. Il concepimento in vitro è il risultato dell'azione tecnica che presiede alla fecondazione e che priva quindi la procreazione umana della dignità che le è propria e connaturale.

Infine, l'inseminazione artificiale omologa all'interno del matrimonio non può essere ammessa, salvo il caso in cui il mezzo tecnico risulti non sostitutivo dell'atto coniugale, ma si configuri come una facilitazione ed un aiuto affinché esso raggiunga il suo scopo naturale.

Più di recente Papa Giovanni Paolo II, nell'enciclica "Evangelium Vitae", ribadisce che le varie tecniche di riproduzione artificiale sono moralmente inaccettabili, dal momento che dissociano la procreazione dal contesto integralmente umano dell'atto coniugale, ed aggiunge che, data l'alta percentuale di insuccesso, queste tecniche aprono la porta a nuovi attentati contro la vita. "L'embrione infatti, è esposto al rischio di morte entro tempi brevissimi; inoltre, vengono prodotti talvolta embrioni in numero superiore a quello necessario per l'impianto nel grembo della donna e questi cosiddetti "embrioni soprannumerari" vengono poi soppressi o utilizzati per ricerche che, con il pretesto del progresso scientifico o medico, in realtà riducono la vita umana a semplice "materiale biologico" di cui poter liberamente disporre" (Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, Capitolo I, 14).

Il punto di vista della morale laica nei confronti di quella cattolica trova una sua rappresentazione nel pensiero di Maurizio Mori, il quale non si limita a contraddire le argomentazioni cattoliche sul problema dell'inseminazione e della fecondazione artificiale, ma avanza una proposta precisa, indicando le condizioni minime per essere persona: l'individualità e la razionalità.

Mori afferma che, secondo i dati biologici, dopo la fecondazione il prodotto del concepimento non presenta ancora la relazione di subordinazione delle parti al tutto richiesta dall'individualità: infatti fino a circa 14 giorni dal concepimento il processo vitale è ancora totipotente, cioè se diviso dà origine a diversi individui completi e non muore; inoltre nei primi giorni la natura del processo è stocastica, cioè indeterminata e imprevedibile, per cui non possiamo sapere se nel suo sviluppo il processo vitale continuerà in modo unitario dando origine ad un solo individuo o si dividerà dando origine a due gemelli.

Tutti questi fattori ci portano a dire che nelle prime due settimane il processo vitale non è ancora individuo. Proprio per sottolineare questo aspetto si è proposto il termine "pre-embrione".

Nei primi giorni l'embrione non può essere considerato persona perché non soddisfa neanche le condizioni minime per avere la razionalità, visto che le conoscenze scientifiche ci assicurano che la corteccia celebrale si sviluppa solo parecchi giorni dopo il concepimento.

Secondo l'analisi svolta da Mori si potrebbe concludere che, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, l'embrione, e a maggior ragione il pre-embrione, non è affatto una persona; quindi l'illiceità della distruzione di embrioni, e della stessa fecondazione artificiale, non può essere giustificata dal "Non uccidere!", ma deve esserlo da qualche altro principio.

L'unico principio in grado di giustificare l'illiceità della fecondazione assistita in ogni sua forma è quel "Principio di Sacralità della Vita" di cui si accennava sopra. Questo infatti è un principio morale assoluto, per cui o viene accettato integralmente, oppure lo si disintegra. Il Psv ingiunge il divieto assoluto di interferire col finalismo intrinseco del processo riproduttivo, per cui l'aborto, gli atti di distruzione di embrioni, ed anche la fecondazione artificiale in vivo sono interventi in sé illeciti perché costituiscono un'indebita interferenza con la teleologia del processo riproduttivo naturale.

Se invece rifiutiamo tale principio dobbiamo compiere un "salto gestaltico" e ragionare partendo da un nuovo punto di vista, avendo cura di non lasciarci fuorviare dalle "sopravvivenze" derivanti dal Psv che continuano ad insinuarsi nella nuova prospettiva (Mori, 1995).

Come afferma Giovanna Melandri, dobbiamo incamminarci nel labirinto della bioetica senza convinzioni perentorie, come "stranieri morali", incardinando il dibattito bioetico nell'esperienza soggettiva dei cittadini e investendo tutta la società degli interrogativi del nostro tempo; solo così sarà possibile ottenere leggi sagge in campo bioetico (Melandri, 1995).

Riteniamo quindi che la legge, in uno Stato fondato sul pluralismo, non possa imporre a tutti i cittadini i principi di una confessione religiosa, sia pure quella assolutamente prevalente, quando essi siano fondati su argomentazioni proprie ed esclusive di chi a quella confessione aderisce. Inoltre anche sul piano dei contenuti, l'impostazione della Chiesa Cattolica, pur degna del più profondo rispetto, non sembra praticabile: non vi è infatti alcuna ragione costituzionale che possa impedire ad una coppia sterile l'accesso a tecniche di fecondazione assistita. E, d'altra parte, è del tutto evidente che imporre limiti di questo genere comporterebbe un'incentivazione della clandestinità, il ricorso all'utilizzazione di strutture aventi sedi in altri Paesi, un freno alla ricerca nazionale e ad un uso consapevole e responsabile delle proprie capacità procreative.

Inoltre, una bioetica laica fondata sulla logica del pluralismo dovrà presentare un alto grado di flessibilità, dovrà esprimere una normazione che sia in grado di adattarsi ad un settore in continua evoluzione, e dovrà anche essere pronta a tornare su pronunciamenti che il legislatore in queste materie non può avere la pretesa di disciplinare una volta per tutte.

Nel legittimo pluralismo delle idee il legislatore dovrà prendere atto che la procreazione artificiale è già ampiamente attuata in regime di completa liceità; che il desiderio di avere un figlio è certamente nobile e spesso motivato da generosità; che, infine, la disciplina dovrà ispirarsi a valori che non siano tutti sullo stesso piano, quanto alla loro importanza e alla loro certezza e condivisibilità.

Il dibattito culturale in corso sulla fecondazione assistita ed i primi interventi legislativi

In Italia non esiste una legge ad hoc sulla inseminazione e fecondazione artificiale. L'unico atto ufficiale del governo consiste in una circolare del ministero della sanità del 1° marzo 1985 -La circolare Degan- sui limiti e le condizioni di legittimità dei servizi per l'inseminazione artificiale nell'ambito del Servizio sanitario nazionale. Nonostante la continua e perdurante richiesta di predisporre una adeguata normativa, fino ad oggi oltre a questa circolare non si è avuto nulla.

In ragione della pienezza della tutela del nascituro da famiglia legittima, ed in analogia con il criterio di garanzia stabilito per l'adozione dalla legge n.184/1983 (art.6), il diritto a chiedere consensualmente il superamento dell'infertilità mediante determinate metodiche di inseminazione artificiale è riconosciuto solamente ad una coppia di coniugi non separati: questo è dunque il quadro normativo di riferimento delineato dalla circolare Degan.

Le esigenze giuridiche di tutela della vita comportano, inoltre, che venga in ogni caso esclusa la fecondazione di ovociti in numero eccedente quello destinato all'immediato impianto in utero, né sia ammessa la conservazione di embrioni a scopo di utilizzazione industriale od anche di mera ricerca o di impianto differito.

Per quel che concerne la delimitazione delle metodiche di inseminazione artificiali ammissibili, allo stato della legislazione, si afferma nella circolare che solo le tecniche che utilizzano i gameti della coppia consentono di realizzare il desiderio genitoriale della medesima senza incertezze sulla paternità e sulla maternità del nascituro, e che quindi non è ammissibile che il servizio sanitario pubblico offra la prestazione dell'inseminazione artificiale eterologa, soprattutto in assenza di garanzie del riconoscimento della paternità e della maternità naturale del nascituro da parte dei genitori biologici non legati da rapporto di coniugio.

Queste argomentazioni si fondano su un principio di ordine pubblico a base del vigente diritto di famiglia, per cui fondamento essenziale del rapporto di filiazione è quello della derivazione biologica; per questa ragione non può ritenersi consentito dalla legge il trasferimento del patrimonio genetico, di carattere personalissimo, di un soggetto estraneo alla coppia per consentire a questa di attribuirsi come biologicamente proprio un figlio ottenuto con il patrimonio genetico altrui (Circolare Degan, 1988).

La nostra impressione nei confronti di questa circolare è che si sia limitata ad aggirare l'ostacolo senza indicare una vera possibilità di soluzione dei numerosi problemi che nascono intorno alle tecniche di fecondazione assistita.

La circolare Degan si basa sulla convinzione che la legge si debba far portatrice di una morale e di valori etici considerati giusti dalla maggioranza dei cittadini. Questo ragionamento, però, non giustifica la diversità di disciplina fra i laboratori medici privati ed il Servizio sanitario nazionale. Se ammettessimo infatti che l'inseminazione artificiale eterologa fosse lesiva dei diritti fondamentali dell'uomo, allora una legge, regolarmente approvata dal Parlamento, che la vietasse su tutto il territorio nazionale, apparirebbe coerente ed indicherebbe ai cittadini quali siano i valori considerati meritevoli di tutela dall'Ordinamento.

La distinzione fra centri pubblici e privati attuata dalla circolare Degan, invece provoca, a parer nostro, un'ingiusta discriminazione fra ceti sociali. La circolare, lasciando ai cittadini la "libertà" di ricorrere ai laboratori medici privati per effettuare l'inseminazione artificiale eterologa, non si è preoccupata di tutelare questa libertà, e ciò ha provocato quel fenomeno detto della "provetta selvaggia", cioè centri medici privati che effettuano pratiche di fecondazione assistita senza nessun controllo da parte dello Stato - ancora oggi non è stato possibile per il Ministero della Sanità effettuare anche solo un censimento dei centri privati, in assenza di parametri medico-sanitari ai quali questi centri debbano attenersi, con conseguenze rischiose per la salute della donna, e assoluta libertà nel fissare il prezzo del trattamento medico da parte dei centri privati.

Le conseguenze di questo enorme vuoto legislativo sono evidenti: se una coppia sterile vuole ricorrere all'inseminazione artificiale eterologa per avere un figlio può farlo, a suo rischio e pericolo, rivolgendosi ad un centro medico privato, pagando spesso cifre considerevoli; se non ha la possibilità di pagare non avrà nessun aiuto dallo Stato e dovrà rinunciare ad avere il figlio. La legge allora, anziché comporre i conflitti presenti nella società, diventa causa essa stessa di squilibri sociali, tanto più che è statisticamente provato che sono soprattutto le famiglie meno abbienti a soffrire per l'impossibilità di avere dei figli. Nelle famiglie disagiate, infatti, il figlio viene vissuto spesso come uno status symbol e l'impossibilità ad averne uno provoca nella coppia più frustrazione che nelle famiglie benestanti, nelle quali la mancanza di un figlio viene compensata da altri interessi, come il lavoro, i viaggi, i beni di consumo.

Nell'esperienza italiana è ormai pacifico che l'attuale situazione di vuoto legislativo debba evolvere verso una sia pur minimale regolamentazione. Il problema più spinoso sembra perciò essere non tanto quello della opportunità o meno di una disciplina legislativa delle nuove tecniche riproduttive, quanto piuttosto quello del tipo di disciplina che si ritiene desiderabile.

La formulazione di un'efficace regola giuridica infatti presuppone tre condizioni: conoscenza completa delle questioni che s'intendono disciplinare, adeguatezza della cultura del legislatore alla cultura di quel determinato settore, chiarezza degli obiettivi finali. Spesso, però, le applicazioni del giurista sulla fattispecie si traduce in una rincorsa ai fatti, ai valori, alle tecniche in costante movimento: il che dà luogo ad una sostanziale inadeguatezza della disciplina alle esigenze sociali, dovuta soprattutto a motivi strutturali.

Per Rodotà i problemi esistenti nel settore delle nuove tecnologie riproduttive sono, in buona parte, quelli tipici dell'incidenza delle varie tecnologie nella sfera dei diritti individuali, e comunque nella sfera delle persone, con importanti questioni legate alla capacità di controllo sociale di questi fenomeni. Rodotà ritiene che l'impegno dei giuristi debba essere in primo luogo quello di individuare le questioni che possono essere risolte con gli strumenti già disponibili, affinché si possano mettere a fuoco i problemi che effettivamente rimarrebbero aperti qualora mancasse un intervento legislativo (Rodotà, 1989).

D'altra parte, afferma ancora Rodotà, il disagio del legislatore è dovuto alla necessità di indicare principi capaci di adattarsi al continuo cambiamento scientifico e tecnologico; inoltre sia le tecnologie del controllo delle nascite, sia quelle della riproduzione artificiale, hanno determinato la separazione tra sfera della sessualità e sfera della riproduzione, modificando profondamente il quadro di riferimento del giurista. In tutto il mondo Occidentale -poi- sono in continuo aumento le famiglie monoparentali, ed infine si sta consolidando la tendenza a mettere l'accento sulla paternità e la maternità "responsabili", un dato, questo, esaltato al massimo da una tecnologia che sottolinea proprio l'elemento di scelta e di volontarietà della procreazione.

In sostanza ci troviamo in una situazione che dà rilievo agli elementi della libertà e della responsabilità, come mai era avvenuto in precedenza, e non dobbiamo neppure dimenticare che dall'applicazione delle tecniche di fecondazione artificiale eterologa discendono tutta una serie di problemi ai quali l'ordinamento, oggi, non è in grado di rispondere con una disciplina adeguata. Questi riguardano, ad esempio, la maternità surrogata, il problema del disconoscimento di paternità e il diritto a conoscere la propria origine, il timore che le tecniche di fecondazione artificiale vengano usate per fini eugenetici o selettivi, i limiti alle manipolazioni genetiche e la tutela dell'embrione umano, la regolamentazione della donazione, conservazione e cessione di gameti ed embrioni, ed ancora la questione della fecondazione post-mortem o il caso della donna single che intenda sottoporsi ad inseminazione con donatore.

Il legislatore dovrebbe fare una legge che si limiti a disciplinare le conseguenze che derivano dal ricorso alle tecniche ormai consolidate, senza voler imporre una scelta preliminare, senza cioè selezionare, sancendo la liceità o illiceità di determinate tecniche.

Recentemente sono state presentate al Parlamento Italiano, da parte dei maggiori schieramenti politici, un gran numero di proposte di legge in materia di procreazione assistita, che hanno variamente tentato di disciplinare i più importanti problemi che sorgono intorno all'inseminazione ed alla fecondazione artificiale.

Il punto di vista cattolico è rispettato dalla proposta di legge dell'on. Fuscagni (n°1978), che ammette le tecniche di inseminazione e di fecondazione artificiale solo quando, favorendo l'aspirazione alla prole, costituiscono supporto e completamento alla procreazione, in quanto facilitano e non sostituiscono l'atto naturale.

Questa proposta di legge inoltre, come quella del sen. Casellati, ammettendo solo l'inseminazione artificiale omologa, cioè con i gameti provenienti da entrambi i coniugi, esclude di conseguenza tutte le metodiche di inseminazione e fecondazione artificiale eterologa e quindi, implicitamente, il ricorso alla maternità surrogata, la figura del donatore anonimo e l'inseminazione a beneficio di persone singole. L'embrione umano, infine, è considerato persona umana, ed è pienamente tutelato dall'ordinamento fin dall'istante del concepimento, sia esso naturale o frutto delle tecniche di fecondazione assistita.

L'orientamento di queste proposte di legge, che possiamo definire "repressivo", è quello di vietare determinate pratiche sociali perché considerate di segno fortemente negativo. Il rischio che si corre è quello di imporre dei modelli che non siano condivisi dalla maggioranza, provocando un pericoloso distacco fra i cittadini e la norma, vista come qualcosa di astratto e distante, e di conseguenza un'incentivazione della clandestinità, il ricorso all'utilizzazione di strutture aventi sedi in altri Paesi, ed una progressiva, e pericolosa, delegittimazione della legge nazionale.

Inoltre, escludere tutte le pratiche di inseminazione artificiale diverse dall'inseminazione omologa, provocherebbe una inevitabile discriminazione di tutte quelle migliaia di bambini che sono nati, e che continueranno a nascere, con l'inseminazione artificiale eterologa, i quali si troverebbero privi di protezione giuridica nei confronti di un possibile disconoscimento di paternità, e di tutte quelle donne che, pur di avere un figlio, rischieranno la propria salute in strutture mediche clandestine, o in altri Paesi, senza nessuna tutela da parte del Servizio sanitario nazionale.

Il punto di vista della morale laica è stato variamente interpretato dalle proposte di legge sulla fecondazione assistita. Da una parte ci sono coloro che lasciano la massima libertà alla donna sia per quanto riguarda l'accesso alle tecniche di procreazione assistita, sia per quanto riguarda la destinazione o le modalità di utilizzazione degli embrioni. In quest'ambito si inseriscono le proposte di legge dell'on. Chiaromonte (n°1043), e dell'on. Melandri (n°1124), in particolare quest'ultima, rispettando la libertà di scelta della donna, individua nella donna sterile il soggetto avente diritto all'accesso alle tecniche di riproduzione assistita, e pone molta attenzione alla salute della donna, in quanto primariamente coinvolta e comunque sempre oggetto di manipolazione corporea, e dei nascituri, il cui benessere è assunto come principio fondamentale.

Giovanna Melandri ritiene che le tecniche di fecondazione assistita si possano considerare una delle risposte che la società offre alla risoluzione dei problemi di sterilità. Per questo la proposta di legge che ha presentato insieme ad altri parlamentari progressisti non muove dai casi limite che puntualmente riempiono le pagine di cronaca, ed è invece principalmente finalizzata a tutelare sul piano giuridico e sanitario quelle migliaia di donne e di uomini con problemi di sterilità ed i loro futuri figli.

Un diverso punto di vista è quello sostenuto da coloro che affermano che, in una materia delicata come quella delle tecniche di riproduzione assistita, occorre che i limiti vengano posti dal legislatore, affinché sia contemperata la libertà individuale con le ragioni della coesistenza sociale. La proposta di legge dell'on. Mazzucca (n°1879) si inserisce in questo filone e ciò è evidente quando pone l'accento sulla necessità di controlli e verifiche, da parte del Ministero della sanità, delle strutture che attuano le terapie di procreazione assistita; inoltre in questa proposta di legge si prevedono anche sanzioni pesanti in caso di violazione dei divieti che riguardano la sperimentazione sugli embrioni, la selezione per fini razziali o la maternità di sostituzione.

Siamo d'accordo con Diana Vincenzi Amato quando afferma che non sempre il legislatore abbia il dovere di intervenire dando vita ad una norma giuridica; il suo è un invito a non correre dietro alle novità della scienza ed alle casistiche marginali in un'ansia di sistematizzazione che rischia di essere ansia di protagonismo. Il diritto si matura lentamente e la saggezza, ed un'esperienza a lungo praticata, sono presupposti indispensabili per la validità di ogni innovazione (Vincenzi Amato, 1989).

Cenni di legislazione in materia di inseminazione e fecondazione artificiale all'estero

Tutti i Parlamenti europei, anche quelli elogiati per la loro capacità e rapidità di decisione, sono molto prudenti e molto lenti quando devono affrontare problemi di bioetica; ciò che contraddistingue in negativo il nostro Parlamento è, secondo Rodotà, non tanto la pochezza della disciplina legislativa, quanto l'assenza di un lavoro sistematico e pubblico di riflessione su questi temi (Rodotà, 1993).

Alcuni sostengono che noi potremmo approfittare delle esperienze degli altri Paesi, vista l'esistenza di un dibattito internazionale così ricco, ma non dobbiamo dimenticare che vi sono differenze di cultura, di sistema istituzionale, di livello della ricerca che impongono una particolare attenzione alla nostra situazione specifica.

Le maggiori difficoltà, per il giurista ed il legislatore, nascono dal fatto che viviamo in un tempo nel quale la ricerca di punti comuni di riferimento appare particolarmente faticosa per la mancanza di valori condivisi e per il carattere marcatamente pluralistico ormai assunto dalle nostre organizzazioni sociali.

La Francia, insieme agli Stati Uniti, è probabilmente il Paese in cui vi è stato il più grande dibattito pubblico sul tema, insistentemente favorito dalle istituzioni.

Nel giugno 1994 la Francia ha emanato la legge n. 94-653 che nel titolo I relativo al "rispetto del corpo umano", dopo aver affermato che "La legge assicura il primato della persona, vieta ogni attentato alla dignità di quest'ultima e garantisce il rispetto di ogni essere umano fin dall'inizio della vita", enuncia i due principi generali sui quali si fonda la tutela giuridica del corpo umano: l'inviolabilità e l'indisponibilità, che garantiscono il rispetto della dignità della persona e l'integrità del patrimonio genetico.

Nello stesso giorno è stata emanata, sempre in Francia, la legge 94-654 sulla donazione di organi e la procreazione assistita, la quale stabilisce che la procreazione assistita debba avere come unico fine quello di ovviare alla sterilità di coppia o di evitare la trasmissione al figlio di una malattia di particolare gravità. I componenti la coppia, inoltre, devono essere entrambi viventi, in età per procreare, sposati o conviventi da almeno due anni e consenzienti in via preventiva all'inseminazione artificiale o alla fecondazione in vitro.

Per quanto riguarda l'inseminazione artificiale con donatore la legge stabilisce che possa essere praticata solo quando la procreazione assistita all'interno della coppia non abbia avuto successo, inoltre pone come principi la gratuità del dono dei gameti e degli embrioni, l'anonimato del donatore ed il consenso scritto di quest'ultimo oltre che della coppia ricevente.

La legge, infine, vieta il concepimento e l'utilizzazione di embrioni umani per fini commerciali o di ricerca ed ogni forma di sperimentazione sull'embrione. A titolo eccezionale è ammesso che una coppia possa autorizzare lo studio di propri embrioni, ma solo per fini medici e sempre che tali studi non comportino danni all'embrione (Legge 94-954 , Francia 1994).

La legislazione inglese presenta spesso elementi di novità rispetto ad altri Paesi che hanno affrontato il problema delle tecniche di fecondazione assistita, ad esempio non tutela pienamente il figlio nato in seguito ad inseminazione artificiale, neppure all'interno della coppia sposata. Infatti il consenso del marito all'inseminazione artificiale della moglie è considerato costitutivo del rapporto di filiazione, e l'eventuale dissenso di questi priva il bambino dello status di figlio legittimo nonostante la sussistenza del legame genetico.

Inoltre in Inghilterra le tecniche di procreazione assistita non sono precluse alle donne sole, ma è esplicitamente previsto che, qualora il bambino non abbia un padre legale, si dovrà prestare particolare attenzione alla capacità della futura madre di soddisfare i bisogni del bambino durante la sua infanzia, e se il caso, accertare che vi sia un'altra persona nella cerchia familiare e sociale della futura madre che sia disposta ed in grado di condividere la responsabilità di soddisfare tali bisogni e di allevare, mantenere, educare il bambino (Legge sulla fecondazione umana e l'embriologia, Regno Unito 1990, Codice deontologico dell'ente per la fecondazione umana ed embriologia, Regno Unito 1992).

Per quanto riguarda la sperimentazione sugli embrioni, il Regno Unito è stato l'unico Paese ad ammettere la possibilità di creare l'embrione per esigenze scientifiche. La decisione presa dalla Camera dei Comuni inglese, che permette gli esperimenti sugli embrioni umani entro il limite di quattordici giorni dalla fecondazione, ha suscitato l'immediata reazione delle associazioni impegnate nella tutela del diritto alla vita, ed il richiamo del cardinale Hume, primate cattolico inglese, per il quale gli inglesi "hanno perso la tradizionale visione cristiana della santità della vita umana".

La tutela giuridica offerta all'embrione è, dunque, una tutela limitata, che deve affievolirsi e cedere se in contrasto con le esigenze del progresso scientifico e del trattamento terapeutico della sterilità. In questo contesto la tesi della distinzioneontologica fra l'embrione prima o dopo il 14° giorno del suo sviluppo sembra, più che altro, uno strumento utile per consentire la ricerca scientifica sul prodotto del concepimento umano, al di fuori del corpo materno. La stessa Mary Warnock, che ha presieduto in Inghilterra la commissione di inchiesta sulla fecondazione umana e l'embriologia, in una ampia intervista rilasciata a La Repubblica, ha affermato prima che "l'embrione (appartiene) al genere umano e che (è) vivo" ed ha poi ammesso che "considerare il pre-embrione un tessuto e non un individuo è una scelta sofferta ma che offre indubbi vantaggi sul piano scientifico..." (Warnock, 1991).

L'atteggiamento della Germania nei confronti delle tecniche di procreazione assistita è significativo. In questo Paese, infatti, più che in qualunque altro, si avverte, per le vicende storiche che lo hanno contraddistinto, il rischio della manipolazione dell'uomo. La legge tedesca, emanata dopo il rapporto Benda ed un'inchiesta parlamentare sui rischi dell'ingegneria genetica, è molto prudente, e considera meritevole di tutela l'embrione umano, vietando qualsiasi sperimentazione, per qualsiasi fine, su di esso (Legge sulla tutela degli embrioni, Germania Federale, 1990).

Una difformità di orientamento della Germania Federale rispetto, ad esempio, all'Inghilterra, è presente anche nell'impiego dei mezzi di produzione giuridica, tenuto conto che le stesse modalità di attuazione delle tecnologie procreative possono essere disciplinate con legge penale per una diretta ed efficace protezione degli interessi sottesi alla fattispecie o demandate semplicemente alle disposizioni di un codice deontologico la cui violazione provoca reazioni molto attenuate da parte dell'ordinamento.

Mentre l'art.1 della legge federale tedesca considera un illecito penale l'infrazione del divieto di trasferire nel corpo di una donna più di tre embrioni sanzionandola con una pena detentiva fino a 3 anni, la legge inglese (art.25) configura la stessa fattispecie come una semplice trasgressione alle direttive dell'Ente preposto alla fecondazione assistita, che può essere discrezionalmente apprezzata soltanto in sede di rinnovo delle autorizzazioni alla effettuazione di trattamenti terapeutici.

Possiamo osservare che, sia nella predisposizione degli strumenti di controllo, sia nelle soluzioni di diritto positivo adottate, si registrano significative differenze fra i Paesi oggetto della comparazione, anche se questi appartengono all'area dell'Europa comunitaria. Le cause della diversità di indirizzo e di disciplina probabilmente derivano dal carattere di rottura e di sfida che le tecnologie procreative hanno rappresentato nei confronti del pensiero giuridico tradizionale e dei modelli legali esistenti.

* Dottore in legge.
** Docente di Bioetica - Facoltà di medicina II Università di Roma "Tor Vergata"



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