Alternanza di condotte bulimiche e
condotte anoressiche nel bambino
piccolo: descrizione di un caso


(pubblicato in: Informazione in psicologia, psicoterapia, psichiatria , n. 26, Roma, 1996, pp.11-14)

Tancredi R.   * Casella C.   **





I disturbi dell'alimentazione nel bambino piccolo sono stati soprattutto studiati sul versante dell'anoressia. Sul versante opposto viene descritta una iperfagia abituale (1) che può portare ad obesità, come conseguenza di abitudini alimentari familiari o come condotta legata a conflitti psicologici. Viene fatto cenno ad accessi bulimici veri e propri che apparirebbero come risposta a stress emozionali non meglio specificati in bambini con vari tipi di strutture mentali.
Non si trova invece in letteratura la descrizione nel bambino dell'alternanza fra condotte bulimiche e condotte anoressiche attualmente considerata una variante dell'Anoressia mentale. La definizione del disturbo di tipo bulimico sembra d'altra parte escludere di per sé il bambino piccolo. Infatti fra i criteri per la diagnosi previsti da tutti i sistemi classificativi (DSM IV (2), ICD 10 (3), CFTMEA (4) sono compresi componenti soggettive ed ideative non attribuibili al bambino piccolo (sensazione di perdita del controllo sul proprio comportamento alimentare, eccessiva preoccupazione a riguardo della forma e del peso corporeo).
Ci sembra pertanto di un certo interesse descrivere il caso di un bambino di 4 anni arrivato alla nostra osservazione con una sintomatologia caratterizzata da alternanza di condotte anoressiche e bulimiche. Prima di descrivere il caso è opportuno descrivere il setting nel quale il bambino è stato osservato. Si tratta di un setting congiunto madre/bambino in cui il colloquio è condotto utilizzando la tecnica della consultazione terapeutica messa a punto dalla scuola di Ginevra. (5) (6) Si tratta di una tecnica che si colloca nell'ambito delle psicoterapie di ispirazione psicoanalitica, la cui originalità è data dal rivolgersi alla diade madre-bambino. Il presupposto teorico è che il neonato è oggetto di proiezioni genitoriali, in particolare materne, che producono un effetto "incarnazione" nel bambino di oggetti interni dei genitori stessi. Ogni proiezione sul bambino comporta l'identificazione del bambino stesso con l'aspetto proiettato e si accompagna ad una identificazione dei genitori con una immagine genitoriale complementare alla proiezione. Le interazioni tra il neonato ed i suoi familiari sono modellate in profondità da questo gioco di identificazione proiettive e controidentificazione complementari, sostenute da rappresentazioni collegate al passato dei genitori, di immagini genitoriali, di fratelli, di nonni, di se stessi in quanto bambini. Lo studio di tali fenomeni ha raggiunto nel tempo un tale livello di complessità da dar luogo a vere e proprie classificazioni del funzionamento genitoriale in base al tipo di identificazione proiettiva e controidentificazione complementare prevalenti. (7) Le psicoterapie madre-bambino che si ispirano a questo modello hanno perlopiù durata breve e si sono dimostrate efficaci non solo nel risolvere durevolmente il sintomo del bambino, ma anche nell'influire sulla organizzazione della sua personalità, purché siano rispettati alcuni criteri di identificazione e controindicazione che sono stati chiaramente definiti (8).
A. è un bambino di 4 anni e mezzo. Minuto, i lineamenti delicati, sembra più piccolo della sua età. Si muove nella stanza con una circospezione che rasenta la goffaggine.. Parla tra sé sommessamente. Viene portato in consultazione per un disturbo dell'alimentazione che fin dalla prima seduta la madre descrive dettagliatamente, nel modo in cui siamo abituati a sentir descrivere la sintomatologia delle adolescenti anoressico-bulimiche: A. alterna periodi in cui rifiuta qualsiasi cibo a periodi in cui si abbuffa e poi vomita, mettendosi le dita in gola. E' diventato talmente bravo a procurarsi il vomito che talvolta non necessita neanche più dell'espediente delle dita. Nell'ultimo periodo prevale nettamente la sintomatologia anoressica ed è su questa che si accentra l'attenzione nelle prime sedute. La madre fa risalire le origini del rifiuto del cibo alle fasi precoci dello sviluppo di A.: fin dalla nascita aveva presentato un grave eczema, gli accertamenti pediatrici avevano identificato come causa di questo un'allergia alimentare ed era stata indicata una dieta restrittiva. Da quel momento A. aveva cominciato a rifiutare il cibo. L'insorgere della sintomatologia bulimica era stato più tardivo, prima dell'esordio del disturbo alimentare A. aveva presentato encopresi ritentiva secondaria, che era scomparsa al momento della comparsa del vomito. A. ha un fratello più grande di qualche anno. Dall'epoca della gravidanza di A. la madre aveva cominciato a presentare episodi di bronchite asmatica di natura allergica, e nella sua mente si era fatta strada l'ipotesi che fosse stato A. a "passarle" l'allergia.. Si ritiene convinta, inoltre, che A. pensi che è la mamma che non gli vuole dare da mangiare, a causa della dieta a cui lei lo ha da sempre sottoposto.
Sempre nella prima seduta la madre racconta la sua storia: a causa del lavoro del proprio padre, cuoco, tutto il nucleo familiare si era trasferito in Inghilterra quando lei e il fratello, minore di lei di 4 anni, erano ancora piccoli. La madre nega che ci sia stata gelosia da parte sua nei confronti del fratello o che ci sia stata una disparità di trattamento da parte dei genitori, ma ricorda che il fratello minore passava più tempo di lei col padre. L'immagine che lei ha del fratello è di una persona dall'intelligenza più vivace della sua, nonostante la minore età: era riuscito a prendere la patente prima di lei, riusciva in molte cose prima e meglio di lei. La prima ipotesi interpretativa viene formulata a partire dal valore di richiamo che il sintomo anoressico di A. ha sul nonno che, come cuoco, ha una vera cultura del cibo: il sintomo anoressico sembra avere la funzione di avvicinare il nonno alla madre, come a risarcirla della assenza che sentiva di aver patito durante l'infanzia. Questa formulazione consente alla madre di dare libera espressione al risentimento nei confronti del proprio padre. All'inizio della seconda seduta A. rovista nella borsa della mamma, prende un pacco di biscotti e chiede di poterne avere uno. La madre dopo aver chiesto il permesso alla terapeuta per far mangiare il bambino, dice che l'ultimo periodo è uno di quelli in cui A. mangia continuamente, però non vomita. Durante la seduta A. mangia voracemente riempiendosi la bocca di biscotti. Il ricordo della madre torna al periodo trascorso in Inghilterra: là suo padre, rimasto per un po' di tempo solo coi figli, preparava per loro "con l'anima e il cuore" delle abbondanti colazioni. Sembra che la madre stabilisca una equazione amore-cibo e la gelosia per il fratello può essere derivata dal fatto che dopo aver ricevuto anima e cuore con le colazioni ha sentito di essere rimasta in disparte rispetto ad una maggiore vicinanza stabilitasi tra il fratello e il padre. Si va definendo un parallelismo sempre più netto tra il rapporto che la madre ha avuto con il fratello, e l'immagine che ha dei propri figli: il fratello le faceva rabbia perché pur essendo più giovane era più sveglio di lei, ora le sembra sorprendente la capacità di A. di manovrare il videoregistratore, cosa che il fratello maggiore non sa ancora fare, conclude che il fratello di A. "subisce sempre" e lo descrive come un "frignone", come "una femminuccia".
La signora ricorda ancora che in adolescenza (è un po' confusa riguardo al preciso susseguirsi dei fatti) dopo un periodo in cui aveva a lungo "fatto cose strane" per attirare l'attenzione del padre era stata portata per questo da uno "strizzacervelli", successivamente era venuta in Italia da sola per una vacanza durante la quale aveva conosciuto il marito. Aveva voluto sposarsi nonostante il padre non fosse molto contento, ma era rimasta delusa dal fatto che il padre stesso non avesse insistito per trattenerla in Inghilterra. La signora recupera questi ricordi dopo aver parlato con la propria madre, trattandosi di eventi da lei quasi totalmente rimossi. Nella terapeuta si fa strada l'ipotesi che la madre abbia avuto in adolescenza un disturbo alimentare analogo a quello di A.. In effetti a domande dirette in merito la madre risponde affermativamente: c'era stato un forte dimagrimento in breve tempo, le mestruazioni erano scomparse, l'apporto alimentare si era ridotto, l'attività della danza era stata incentivata. Le risposte sono affermative ma costituisce a malapena da monosillabi. Questa madre che aveva descritto molto minuziosamente il disturbo alimentare di A. non sembra capace di fare altrettanto con la propria sintomatologia. E' come se il suo pensiero perdesse fluidità e si inceppasse addentrandosi in quest'area. Alla luce di questo viene da ripensare alle colazioni abbondanti preparate dal padre come ad episodi bulimici della signora, e al fatto che abitualmente il padre preparava da mangiare per gli altri ma non per lei. E' probabile che, essendo il cibo una metafora incestuosa del padre, la signora abbia sentito di doverlo rifiutare, nonostante in lei questo attivasse una grande avidità. La signora ha vissuto la nascita del proprio fratello minore come perdita di amore o almeno come minaccia di perdita dell'amore dell'oggetto. Sembra essere questo che le ha fatto pensare che la nascita del secondo figlio avrebbe potuto privare il più grande (-femminuccia) del proprio amore, così come era capitato a lei figlia maggiore femmina. Con A. ha partorito un bambino investito di ambivalenza ab initio, ambivalenza che ha trovato espressione nelle manifestazioni allergiche neonatali. Tutto questo ha generato in lei sentimenti di colpa e di essere una madre incapace di nutrire bene il figlio se non al prezzo di una forzatura. Mentre la madre parla del proprio figlio maggiore "femminuccia", A. costruisce una torre e se la mette tra le gambe. Per il resto il suo gioco è piuttosto povero; si limita a sequenze ripetitive in cui lo squalo e il coccodrillo mordono dei personaggi contenuti nella scatola dei giochi. Rimasto solo con la terapeuta fa invece un gioco più complesso in cui dei super-eroi si spostano da una torre al wc ed infine si siedono a tavola. In questa sequenza è rappresentata in modo quasi grafico la regressione da un livello fallico-genitale ad un livello orale. Sembra che A. viva il suo essere maschio come una potenza fallica avida che può essere pericolosa per la madre e che, quindi, lo spinge alla regressione, prima anale e poi orale. Il vomito, così come la defecazione, ha il significato di eliminare la potenza fallico-anale accumulata mangiando in modo bulimico. La madre da parte sua teme di essere sedotta dal figlio minore così come suo padre era stato sedotto dal fratello secondogenito e si difende da questa paura pensando ad A. come ad un bambino handicappato e dicendo che le fa pena. Non c'è pericolo di essere sedotti da qualcuno che risveglia sentimenti di pena, neppure se di quest'ultimo si idealizzano alcuni aspetti come le capacità intellettive considerate superiori a quelle del fratello. Andando avanti nella terapia il consiglio del pediatra di reintrodurre un cucchiaino di pomodoro nella dieta di A. suscita nella signora un moto di sollievo. Questo permette alla terapeuta di mostrarle con quanta colpa lei avesse vissuto le restrizioni alimentari nei confronti del bambino. A questo punto la madre dà libera espressione ai sentimenti di rifiuto per A. nel corso della gravidanza in ragione della preoccupazione del primo figlio, al suo desiderio di avere una femminuccia, alla delusione per un figlio maschio a cui peraltro ha scelto di dare un nome che in Inghilterra è femminile. L'entrare in contatto in modo così diretto con l'ambivalenza nei confronti del figlio sembra qualcosa di difficilmente sopportabile per la madre: una crisi di asma molto grave le impedisce di recarsi all'appuntamento successivo. Il riattivarsi della sintomatologia asmatica che era cominciata in gravidanza può essere visto tuttavia anche come l'espressione di un movimento reintroiettivo della madre che riprende su di sé le proiezioni fatte sul bambino. Infatti nella seduta successiva molti cambiamenti sono evidenti: appena entrato nella stanza A. chiede alla madre di dargli da mangiare ma la madre dice che non ha nulla nella borsa, ha smesso di portare con sé il cibo e di fermarsi con A. nei panifici per fargli mangiare qualcosa. E' possibile ora per lei dare delle regole al comportamento alimentare del bambino senza sentirsi deprivante. Riconosce che il suo atteggiamento è cambiato grazie alla elaborazione di alcune sue problematiche nel corso della terapia e che questo ha provocato una modificazione nel comportamento di A.. Il bambino ora le sembra sicuro di sé, coraggioso, tenace e lei può parlare con orgoglio senza l'angoscia di essere sedotta, delle caratteristiche maschili del suo bambino. A. si muove nella stanza in modo effettivamente più sicuro, parla a voce più alta e chiede in modo deciso di poter giocare con "l'omino duro". La terapeuta gli offre il cow boy con cui il bambino avvia un gioco in cui si rappresenta un duello chiaramente fallico: A. può ora abbordare la conflittualità edipica senza temere nessuna catastrofe.
Conclusioni
Il caso da noi descritto appare di grande interesse in quanto testimonia la possibilità dell'esistenza di un disturbo caratterizzato da alternanza di condotte anoressiche e bulimiche in età prescolare. Un secondo motivo di interesse è rappresentato dalla presenza in un maschietto di un disturbo di gran lunga prevalente nel sesso femminile. A tale proposito particolarmente suggestiva sembra l'ipotesi che tale disturbo sia collegato ad una difficoltà di acquisizione dell'identità di genere legata alla qualità delle proiezioni materne: se il bambino sarà maschio la madre ne sarà sedotta e non si occuperà più del figlio maggiore allo stesso modo in cui suo padre non si è più occupato di lei dopo la nascita del fratello minore: la fantasia incestuosa sembra inoltre essere la riedizione di analoga fantasia più antica, vissuta dalla madre nei confronti del proprio padre. A causa dell'ambivalenza nei confronti del bambino la madre vive con colpa la necessità di imporre restrizioni alimentari a causa dell'allergia: il cibo è un equivalente dell'amore materno, negare il cibo al bambino significa negargli l'amore e comporta la necessità di permettere e incoraggiare le abbuffate del bambino a scopo compensatorio. Ad un altro livello è evidente il posto che occupa il sintomo del bambino nell'economia materna: l'anoressia della madre in adolescenza può essere letta come un sintomo istero-fobico sostenuto da fantasmi edipici incestuosi; al bambino verrebbe invece fatta agire la componente bulimica del disturbo con il suo significato di soddisfazione della pulsione incestuosa. Nella descrizione della madre quando A. vomitava era più calmo: si può pensare che nella fantasia materna il vomito calmi perché equivalente isterico dell'orgasmo. L'insieme di queste considerazioni porta a riflettere sulla natura interrelazionale di gran parte dei disturbi psichici nel bambino piccolo e a sottolineare l'insufficienza dei sistemi nosologici tradizionali per approcciare la psichiatria della prima e della seconda infanzia. Un adeguato studio dei disturbi psichici in questa fascia di età sembra potersi fare solo utilizzando modelli che comprendono aspetti descrittivi, intrapsichici e interpersonali.

*  Ricercatore IRCCS Stella Maris, Pisa

**  Specializzanda in Neuropsichiatria Infantile, Università degli studi di Pisa


BIBLIOGRAFIA

  1. Mazet P., Stoleru S. (1991), Psicopatologia del neonato e della prima infanzia, Masson S.P.A., Milano.
  2. American Psychiatric Association (1994), Diagnostic and Statistical Manual of mental Disorders, Fourth Edition., Washington, DC.
  3. World Health Organisation (1992), The ICD 10 Classification of Mental and Behavioural Disorders: Clinical descriptions and diagnostic guideline., Trad. It. Masson, Milano.
  4. Misés R., Jeammet Ph. (1988), Classification française des troubles mentaux de l'enfant et de l'adolescent., Psychiatrie de l'Enfant, Vol. XXXI.
  5. Cramer B. (1974), Interventions therapeutiques brèves avec parents et enfants, Psychiatrie de l'Enfant, Vol. XVII, 1, 53-118.
  6. Palacio-Espasa F., Manzano J. (1982), La consultation thérapeutique de très jeunes enfants et de leur mères., Psychiatrie de l'Enfant, Vol. XXV, 1, 5-26.
  7. Cramer B. Palacio-Espasa F. (1994), Le psicoterapie madre-bambino, Metodologia e studi clinici, Masson S.p.A., Milano.
  8. Palacio-Espasa F. (1984), Indications et contre-indications des approches psychothérapeutiques brèves des enfants d'age préscolaire et leurs parents., Neuropsychiatr Enfants et Adolescents, 12, 591-609.