ATTENZIONE FLUTTUANTE

Ovvero il terapeuta in stato di Flusso/Riflessività.

Michele Cavallo & Sergio Stagnitta  *

Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria", n° 22, maggio agosto 1994, pagg. 22-28




Delle ali e un altro apparato per respirare che ci permettessero di attraversare l’immensità degli spazi, ci sarebbero inutili, perché se salissimo su Marte o Venere conservando gli stessi sensi, questi rivestirebbero dello stesso aspetto delle cose della Terra tutto quello che potremo vedere. L’unico vero viaggio, l’unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri cento occhi, vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, vedere i cento universi che ciascuno vede, che ciascuno è.

 

Proust "La prigioniera"

 

L’attenzione fluttuante.

Immaginiamo di essere davanti a un quadro mai visto prima: la nostra percezione è intellettuale, in quanto il quadro vuol dire qualcosa, ‘significa’, ma esso è anche ‘oscuro’. E’ contemporaneamente significativo e non-significativo, impressivo e riflessivo; così, ci troviamo nella condizione di chi deve abbandonare le proprie conoscenze categoriali per poter accogliere l'esperienza del nuovo e, allo stesso tempo, essere conscio dell'emozione evocata, altrimenti non c'è conoscenza.

Il terapeuta si trova nella medesima difficoltà di non poter leggere le emozioni o le sensazioni del paziente filtrandole attraverso i propri vissuti, perché così facendo produrrebbe una selezione delle informazioni in favore di quelle che egli ritiene, secondo la sua esperienza, più significative e degne di essere analizzate.

Questa difficoltà è stata affrontata per la prima volta da Freud in Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico.

Freud, così come altri analisti dopo di lui, avvertiva il pericolo di confondere molte idee o associazioni proposte dal paziente con le proprie associazioni, ricordi o desideri.

"Infatti, non appena ci si propone di mantenere tesa la propria attenzione a un determinato livello, si comincia anche a operare una selezione del materiale offerto; se ci si concentra con particolare intensità su un brano, se ne trascura in compenso un altro e si seguono nella scelta le proprie aspettative o le proprie inclinazioni." (Freud, p. 533)

La tecnica per affrontare questa difficoltà "consiste semplicemente nel non voler prendere nota di nulla in particolare e nel porgere a tutto ciò che ci capita di ascoltare la medesima "attenzione fluttuante"." (ivi, pp. 532-533)

L’atteggiamento corretto da tenere in terapia è quello di essere il più "neutrali" possibile. Si tratta di sviluppare un atteggiamento di "ascolto non focalizzato", che rappresenta il primo passo al di là della più comune "attenzione imparziale", insegnata agli analisti per cogliere il significato complessivo delle comunicazioni del paziente. P. Casement nell’illustrare questa situazione dice: "Quando, nel corso di una seduta, ho l’impressione di iniziare a capire ciò che mi viene detto, mi è utile - per evitare pregiudizi - astrarre dapprima i temi riconoscibili, e tenerli provvisoriamente separati dal contesto generale; se prendo in considerazione questi ultimi basandomi sul concetto di simmetria inconscia, vengo facilitato nel mettere in rilievo i diversi possibili significati che possono emergere in seguito." (p. 36)

Ai fini dell’interpretazione "I clinici dovrebbero trovare il modo di fornire interpretazioni senza contaminarle con ipotesi che hanno già in mente; è inoltre importante non prevenire le possibili esperienze dei pazienti, interrompendone il processo di presa di coscienza, o anticipando ciò che non hanno ancora provato. Qualora seguano questi principi, i terapeuti si troveranno spesso a non avere a disposizione materiale sufficiente per fare una interpretazione vera e propria." (ivi, p. 43) Per Casement il prerequisito di un corretto ascolto psicoanalitico è la capacità del terapeuta di tollerare la frustrazione dovuta all’assenza di una interpretazione da riferire al paziente.

L’ascolto, in analisi, implica la capacità del terapeuta di vivere empaticamente la relazione, condividere cioè pienamente i bisogni, le sensazioni e i pensieri del paziente (assorbimento empatico). Nello stesso tempo il terapeuta deve attivamente distanziarsi dalla relazione e osservarla dall’esterno, da una prospettiva che gli consenta di iscrivere gli atteggiamenti – intesi nella loro accezione più ampia – in una "griglia" di riferimento teorica grazie alla quale egli raggiunge la comprensione (consapevolezza).

La difficoltà accennata da Freud, ma mai in realtà risolta compiutamente, è stata ripresa successivamente solo da Th. Reik che ha usato la dizione di "attenzione liberamente fluttuante", e da W. Bion. Pur avendo lo stesso statuto teorico e la stessa rilevanza terapeutica delle "libere associazioni", l'attenzione fluttuante è stata quasi rimossa dagli psicoanalisti. Eppure questa tecnica per il terapeuta è il necessario complemento alle "associazioni libere"(il terapeuta deve porsi in uno ‘stato’ di ascolto vigile ma fluttuante per poter cogliere in profondità i contenuti che emergono dalle associazioni).

 

L'ASCOLTO

"La comprensione presuppone una capacità di ascolto, che ha come fondamento una osservazione partecipante e come obiettivo l'atteggiamento e la pratica dell'empatia. R. Barthes nel suo articolo Ascolto distingue: un ascolto comune agli animali e all'uomo, esercizio della facoltà fisiologica di udire, manifestazione di un allarme, rivolto verso gli indizi; un ascolto propriamente umano, come decifrazione di segni; infine, un terzo livello rivolto verso la significanza stessa del parlare, e di cui è un importante attualizzazione l'ascolto psicoanalitico. Questo si realizza in una comunicazione da inconscio a inconscio, consiste in un ascolto non selettivo, realizzato rivolgendo, secondo le parole di Freud, "a tutto ciò che ci capita di ascoltare la medesima attenzione fluttuante". Tale ascolto, aperto a tutte le forme di polisemia […], perviene al riconoscimento del desiderio dell'altro, riconoscimento che non potrà avvenire nella neutralità di un atteggiamento da naturalisti: "riconoscere questo desiderio implica addentrarvisi, precipitarvi, condividerlo. L'ascolto esisterà solo a patto di accettare questo rischio," poiché "il paziente non è un oggetto scientifico di fronte al quale l'analista, dall'alto della sua poltrona, possa premunirsi di oggettività." Questo, come abbiamo già detto, non significa mancanza di un metodo e di una teoria, ma la peculiarità di un ascolto che consisterà "proprio in questo andirivieni che connette la neutralità e l'intervento, la sospensione del giudizio e la teoria".

(Venturini, 1993, p. 1.44-1.45)

 

Assenza di memoria e desiderio.

Bion riprendendo il concetto freudiano di "attenzione fluttuante" ha dato alcuni suggerimenti su come deve essere l’assetto mentale dell’analista: "ho dato questo suggerimento: scarta la tua memoria, scarta il tempo futuro del tuo desiderio; dimenticali entrambi, sia quello che sapevi sia quello che vuoi, in modo da lasciare spazio ad una nuova idea. Forse sta fluttuando nella stanza in cerca di dimora un pensiero, un’idea che nessuno reclama…" (Bion, in Letture bioniane, p. 252)

L’assenza di memoria e di desiderio è il prerequisito di ogni procedimento volto alla conoscenza. Seguendo un rigido assetto mentale l’analista non fa altro che riportare in terapia se stesso con il proprio bagaglio cognitivo ed emotivo, se ne deduce che in una tale condizione non c’è posto per "l’altro" (il paziente).

"Se la sua mente è preoccupata di ciò che è detto o non è detto o di ciò che egli spera o non spera, egli non può consentire che emerga l’esperienza e soprattutto quell’aspetto dell’esperienza che è qualcosa di più del suono della voce del paziente o della vista dei suoi atteggiamenti. " (Bion, p. 59)

Il consiglio di considerare il paziente come se lo si vedesse per la prima volta implica la possibilità di avventurarsi nel qui-ed-ora della seduta con la mente libera e sgombra da ogni pregiudizio.

QUI-ED-ORA: IL FLUSSO DI CONSAPEVOLEZZA NELLA TERAPIA GESTALT

Questo concetto ha assunto un’importanza fondamentale nella terapia della Gestalt. Come ha sottolineato C Naranjo "la Semplice Attenzione si occupa solo del presente. Insegna quello che molti hanno dimenticato: vivere in piena consapevolezza nel Qui e Ora. Ci insegna ad affrontare il presente, senza cercare di fuggire nei pensieri sul passato o sul futuro. […] Questo significa che la persona comincia ad avere una visione oggettiva della corrente di pensieri, impressioni, sensazioni ed esperienze che scorrono costantemente attraverso la mente. Invece di cercare di controllarla e di interferire con essa, la lascia semplicemente fluire come vuole. Ma, mentre la coscienza normalmente si lascia trascinare dal flusso, in questo caso la cosa importante è osservare il flusso senza esserne trascinati.

Questo è uno stato in cui… una persona semplicemente accetta le esperienze come vengono, da una parte senza interferire con esse e dall’altra senza identificarsi con essa. La persona non le giudica, né fa teorie su di esse, né cerca di controllarle o di interferire con esse; ma le lascia libere di essere esattamente quelle che sono." (Naranjo, pp. 31-33)

 

Bion postula l’esistenza di una memoria onirica in cui, invece di focalizzare l’attenzione o concentrarsi su di un dato evento, il terapeuta deve lasciare i pensieri liberi di fluttuare nella propria mente, così come nel sogno le immagini si alternano senza una sequenza ben definita. Adottando questo atteggiamento il terapeuta deve avere una grande capacità di sopportare la frustrazione dovuta alla non immediata comprensione degli eventi sviluppati in analisi e, conseguentemente, la forza per non cadere nella tentazione di utilizzare facili interpretazioni; tutto questo è possibile solo attraverso un "atto di fede" nel processo analitico. "Tale "atto di fede" è da considerarsi non come un’abdicazione acritica al trascendente e al soprannaturale né come un punto di vista religioso (quale può intendersi nell’accezione comune del termine), ma come un assetto mentale peculiare al procedimento scientifico, che permette all’analista di sviluppare quella funzione della personalità, l’intuizione, attraverso cui diventa possibile "captare" gli stati emotivi "in fieri"." (P. Fadda, in Letture bioniane, p. 199)

L’atto di fede consente la sospensione del giudizio grazie alla quale l’Io del clinico è libero di muoversi tra sé e il paziente, tra il pensiero e le emozioni. Riuscendo a superare i confini che separano il proprio pensiero cosciente (razionale) da quello inconscio (irrazionale, guidato dal processo primario), l’analista è libero di accedere ad un ascolto in stato di rêverie, e nello stesso tempo, è capace di tenere sotto controllo le emozioni.

 

LA SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO

Epoché: ‘sospensione dell'assenso’, è un'emozione e una stasi del pensiero discorsivo, conduce al silenzio del non asserire (aphasía).

Tecnica che troviamo già enunciata nella filosofia degli Scettici come principio di ogni conoscere epoché perì pánton; che consente di raggiungere l'imperturbabilità, il distacco da paura e desiderio (ataraxía). Husserl riprende il termine epoché e parla di "riduzione epochizzante", "sospensione del mondo". Anche nella cultura orientale troviamo concezioni simili, nel buddhismo abbiamo tecniche della ‘sospensione’ attraverso la meditazione, in cui la concentrazione dell'attenzione realizza la trascendenza dell'ego e apre a una nuova forma di attenzione-consapevolezza.

 

 

 

Lo stato di flusso/riflessività.

Flusso.

‘Flusso’ deriva dal termine latino affluxum (participio passato di affluere): scorrere, fluire. ‘Fluttuare’ da fluere, ‘fluire’; ‘fluttuante’: mosso dai flutti, dal vento, ondeggiante, instabile, soggetto a variazioni; è opposto a ‘consolidato’.

Il termine ‘flusso’ è stato introdotto, nell'accezione psicologica, da William James, nella sua celebre opera Principi di psicologia.

James introducendo il concetto di flusso di pensiero intendeva sostenere che il pensiero è verosimilmente continuo.

Sebbene noi razionalmente percepiamo delle pause, cioè dei punti di interruzione che sembrano appunto indicarci un distacco dai pensieri precedenti, in realtà tutto ciò è una rappresentazione cosciente di una realtà ben diversa.

In sostanza James vuol dire che il nostro pensiero è un processo continuo formato da momenti di elaborazione e momenti in cui questa elaborazione, attraverso il linguaggio simbolico, acquista una forma e si rivela agli altri nella comunicazione.

"Quando diamo un occhiata generale alla meravigliosa corrente della nostra coscienza, ciò che ci colpisce prima è la diversa velocità che mostrano le diverse parti di essa. Simile alla vita di un uccello, essa sembra essere un'alternativa di voli e di riposi. […] I punti di riposo sono ordinariamente occupati da immagini sensoriali, che hanno la particolarità di restare vive per essere contemplate dalla mente durante un tempo indefinito, senza mutarsi; i punti che corrispondono ai voli, invece, sono occupati da pensieri di relazioni, statiche o dinamiche, che si formano per la maggior parte fra i fatti considerati nei periodi di relativo riposo." (W. James, pp. 192-193)

Le "libere associazioni" e la loro controparte: "l’attenzione fluttuante", trovano origine proprio in questa modalità primaria del funzionamento del pensiero.

Metaforicamente questo pensiero potrebbe essere espresso con l'immagine di un fiume che scorre e da cui la nostra consapevolezza non fa altro che attingere dell’acqua, mediante secchi o altri recipienti più o meno grandi, portando sulla terra ferma una parte di quel fiume. La nostra conoscenza è limitata in quei recipienti, ma essa fa parte di un tutto che inesorabilmente "scorre", "fluisce".

Analogamente M. Csikszentmihalyi, in anni più recenti, si è dedicato all'analisi del flusso di coscienza nello studio delle motivazioni.

Secondo Csikszentmihalyi lo stato di flusso viene percepito quando le intenzioni di un individuo non sono in conflitto tra di loro; quando, cioè, una persona è libera di investire la sua energia psichica verso degli scopi congruenti con il resto delle intenzioni.

Il conflitto potenzialmente inibisce lo stato di flusso; solo quando l'energia psichica scorre, fluisce liberamente, noi possiamo parlare di esperienza gratificante.

"Ogni esperienza conscia si trova lungo una linea continua che va dalla uniformità monotona, da un lato, alla diversità piacevole al centro, ed infine, al caos ansiogeno all'estremo. E' nelle zone piacevoli intermedie di esperienza che l'attenzione di una persona è pienamente effettiva. Questo stato ottimale di coinvolgimento con l'esperienza, o flusso, è in contrasto con gli estremi della noia e dell'ansietà, che possono essere considerati come stati di attenzione alienata. L'attenzione alienata rappresenta uno spreco di energia psichica perché essa viene consumata senza contribuire al processo di coltivazione. [nel senso dato da Csikszentmihalyi di "attendere a qualche cosa" o "prefiggersi qualche scopo"]. " (Csikszentmihalyi, p. 156)

L'elemento fondamentale di questo processo, affinché si possa parlare di flusso, è il bisogno di instaurare un equilibrio, un'armonia tra ciò che Csikszentmihalyi definisce: sé personale, sé sociale e sé cosmico.

Il concetto di stato di flusso è stato ripreso dall'antropologo Victor Turner che lo ha articolato in base a sei qualità che ci permettono di riconoscere una persona in stato di flusso . In particolare egli lo ha riferito all'esperienza dell'attore teatrale e rituale (ma secondo noi può essere esteso anche alla situazione del terapeuta).

Vediamo quali sono queste sei qualità:

"a) L'esperienza della fusione tra azione e coscienza: nel flusso non c'è dualismo; un attore può essere conscio di ciò che stà facendo, ma non può essere conscio di essere conscio; se questo accade, si crea una frattura nel ritmo del comportamento o in quello della coscienza. La autoconsapevolezza lo fa incespicare. Se lo si guarda dall'esterno il ‘flusso’ si trasforma in ‘non flusso’ o in ‘anti-flusso’, il piacere cede il posto ai problemi, alle preoccupazioni, all'ansietà.

b) Questa fusione di azione e coscienza è resa possibile da un concentrarsi dell'attenzione su un campo di stimoli limitato. La coscienza deve essere ristretta, intensificata, orientata su un centro d'attenzione limitato. [...] Nei giochi organizzati essa è prodotta da regole formali e da motivazioni come la competitività. Dobbiamo attenerci ad un insieme limitato di norme. […]

c) Un'altra caratteristica del 'flusso' è la perdita dell'io. Il sé che normalmente è l'intermediario fra le azioni di un individuo e quelle di un altro, diventa del tutto irrilevante: l'attore è immerso nel flusso, accetta come circolanti le regole che sono tali anche per gli altri attori, perciò non ha bisogno di contrattare con il sé ciò che si deve o non si deve fare. [...] Il flusso si protende verso la natura e gli altri uomini, in quella che Csikszentmihalyi definisce una intuizione dell'unità, della solidarietà, della pienezza e dell'accettazione. Nell'esperienza del flusso il soggetto sente che tutti gli uomini, e addirittura tutte le cose, costituiscono un'unità. […]

d) Una persona che è nel flusso si sente padrona delle proprie azioni e del proprio ambiente. [...] L'autocontrollo scaccia la preoccupazione e la paura. Persino quando il pericolo è reale, come nelle scalate alpinistiche, quando inizia il momento del flusso e l'attività è avviata, i piaceri del flusso superano abbondantemente le sensazioni di pericolo e di difficoltà.

e) Il flusso contiene di solito esigenze d'azione non contraddittorie, coerenti, e offre alle azioni di un individuo un feedback chiaro e univoco. [...] Giunti alla fine del ciclo di azioni culturalmente predeterminate si saprà se si è agito bene oppure no.

In alcuni casi il pubblico o la critica hanno un'importante voce in capitolo, ma, per il vero professionista, il verdetto finale è quello che egli stesso formulerà retrospettivamente. […]

f) Infine, il flusso è 'autotelico', cioè non sembra di aver bisogno di finalità o ricompense esterne. Stare nel flusso è godere della massima felicità possibile per un essere umano: non importa quali siano le regole o gli stimoli particolari che lo hanno fatto scattare, è indifferente che si tratti di una partita a scacchi oppure di una riunione religiosa. " (Turner, pp. 106-107)

Il flusso, inoltre, in quanto esperienza soggettiva, è unico e irripetibile.

 

La riflessività.

Per considerare il flusso nella sua totalità bisogna analizzare il concetto di riflessività. Non bisogna considerare la riflessività come una entità a sé, o come un processo che avviene in contrapposizione al flusso, bensì il suo complemento, in una relazione apparentemente contraddittoria, antinomica, paradossale.

La riflessività è quello stato che ci impone sempre una certa presenza cosciente, una valutazione critica delle situazioni, e che quindi ci rende, allo stesso tempo, insieme al flusso, soggetto e oggetto dell'azione. Dal punto di vista fenomenologico, del vissuto soggettivo, la contemporaneità dei due processi risulta coerente e non paradossale (simmetria inconscia). Si esperisce una fusione di ‘abbandono’ al flusso della coscienza e contemporaneamente di ‘consapevolezza’.

 

Il terapeuta nello stato di flusso/riflessività

Il flusso, così come l’attenzione fluttuante, può essere visto come:

– stato (della coscienza);

– processo (modalità di funzionamento della mente);

– vissuto (esperienza soggettiva).

Il flusso inteso come vissuto è "la sensazione olistica presente quando agiamo in uno stato di coinvolgimento totale (ed è) una condizione in cui un'azione segue all'altra secondo una logica interna che sembra procedere senza bisogno di interventi consapevoli da parte nostra. [...] Ciò che esperiamo è un flusso unitario da un momento a quello successivo, in cui si attenua la distinzione fra il soggetto e il suo ambiente, fra stimolo e risposta, fra presente, passato e futuro. " (Mac Aloon e Csikszentmihalyi, in Turner, p. 105)

Come stato di coscienza va riferito ad una particolare ristrutturazione dell’attenzione.

Tentiamo di rappresentare questa articolazione delle diverse fasi di organizzazione dell’attenzione che conduce allo stato di flusso/riflessività. In questo schema possiamo distinguere una fase di induzione (a) e una fase di esperienza stabilizzata (b), che rappresenta più propriamente lo stato di flusso/riflessività.

 

Schema 1

 

Ruolo dell'attenzione nel processo di induzione e di stabilizzazione dello stato di flusso.

a) Processo induttivo. Per processo induttivo intendiamo la tecnica che permette di entrare in uno stato di flusso. Le diverse tecniche induttive hanno, in generale, una stessa metodologia: quella, di concentrare l'attenzione su un campo di stimoli limitato.

b) Stato di flusso/riflessività. Superata la barriera, entrati cioè in stato di flusso, l'attenzione segue il processo inverso, è come se la coscienza si aprisse a 360°.

 

Seguendo le idee suggerite dall'etnodrammaturgo Richard Schechner, possiamo ipotizzare che il terapeuta nel setting analitico, come l'attore in teatro, viva in uno stato liminale - in una fluttuazione tra il flusso e la riflessività - descrivibile come una linea immaginaria che divide due stati ben definiti: "essere al di qua" e "non essere al di qua". Il terapeuta vive su questa linea immaginaria e mai egli è totalmente il terapeuta o totalmente il non-terapeuta (così come il teatro: è finzione, ma anche non-finzione). Questo stato di sospensione è descritto da Schechner in riferimento alla situazione dell’attore: "Tutte le vere performance condividono questa qualità del non e non-non. Olivier non è Amleto, ma non è neanche non-Amleto: la rappresentazione oscilla fra la negazione del personaggio impersonato (io sono io) e l'altra negazione di non essere lui (io sono Amleto). " (Schechner, p. 182)

Nel teatro questa antinomia è stata affrontata da Diderot che, nel tardo settecento, ha trattato il problema della partecipazione emotiva dell'attore sulla scena definiva la recitazione come una verità paradossale.

Anche il terapeuta si trova inevitabilmente preso in questa condizione paradossale.

 

FLUSSO/RIFLESSIVITA' NELL'ATTORE

"… io comincio ogni rappresentazione senza prefiggermi nulla - che poi è la cosa più difficile da imparare. Io non mi preparo a sentire alcunché né mi dico: "Ieri sera questa scena è stata straordinaria, cercherò di ripeterla", voglio solo essere ricettivo a ciò che potrà accadere. Mi sento pronto a tutto, se soltanto sono padrone della mia partitura, cosciente che, anche se percepisco poco, simile al bicchiere che contiene la fiamma, la struttura elaborata durante mesi e mesi mi sarà d'aiuto. Quando poi arriva la sera in cui riesco a splendere, brillare, vivere, esprimermi, capisco che tutto ciò è accaduto proprio in virtù dell'imprevisto. E' vero che la partitura rimane la stessa, ma tutto è diverso perché io sono diverso" (Shechner, 1984, p. 184)

Come una candela accesa contenuta in un bicchiere, l'attore può muoversi liberamente, ma solo all'interno di una struttura rigida e ben definita. I due processi, flusso-riflessività, non sono separati o isolati. Il rischio, sempre presente, in ogni forma artistica è quello di rimanere imbrigliati nelle maglie dei segni, della tecnica e del linguaggio cosciente. L’unica possibilità d’uscita da questa prigione culturale è data da una coscienza trasparente da un "io" allargato, che emancipandosi da una coscienza troppo razionale si immerga in uno stato di ‘coscienza aperta’, intuitiva.

 

Fino ad ora abbiamo visto come lo stato di flusso caratterizza quella particolare condizione del terapeuta e dell’attore, che si trovano entrambi a dover ristrutturare il sistema attentivo per essere in sintonia col proprio mondo interno e con l’altro da sé. La ri-strutturazione del sistema attentivo serve all’attore per mettere in risonanza i diversi piani dell’esperienza (il mondo interno, il personaggio, l’interazione col pubblico). Per il terapeuta ristrutturare il sistema attentivo serve per mettere in risonanza il suo mondo interno (pensiero ed emozioni) con quello del paziente.

"Quanto più [i terapeuti] sono liberi di risonare alle sconosciute "chiavi" o alla dissonante "armonia" altrui, tanto più aumenta in loro la ricettività agli spunti interattivi inconsci, spesso cruciali per la comprensione del paziente." (Casement, p. 85)

L’Io del terapeuta si trova introdotto in uno stato di smarrimento: di colpo vengono meno le coordinate spaziali, temporali, sociali, relazionali, culturali-teoriche, che normalmente stabilizzano la percezione della propria identità. Questo stato confusionale è il primo momento di quel processo di ‘trasformazione dell’identità’ in "stato di flusso".

Il flusso diventa una forza che riduce e sottrae, proiettando l’Io in una dimensione "fluttuante", mobile; è una dimensione esperienziale "altra": un vero e proprio stato di abbandono in una dimensione sconosciuta.

Lo stato di flusso è una dimensione nella quale si abbandona un Io rigido legato a memoria e desideri, a favore di un Io più fluido, abbandonato al vissuto del fluire. Come osserva C. Tart, ci troviamo in un altro stato di coscienza, rispetto a quello ordinario, che è caratterizzato da un proprio pensiero, da una logica propria, da un tempo proprio, da un linguaggio proprio, da una memoria specifica di quello stato.

Il passaggio è regolato da una sorta di silenzio interiore. Il silenzio consente di fermare l’ordine in cui gli eventi si presentano: è la realizzazione dell’ hic-et-nunc.

Così ogni evento è nuovo, non è già iscritto in una trama di senso che ne pregiudica la comprensione empatica: si aderisce incondizionatamente a ciò che l’altro ci offre.

La modificazione dell’identità e della coscienza del terapeuta dipende dunque dalla esperienza di riduzione e sottrazione dell’Io.

Per Tart l'uomo "non può avere un ‘Io’ permanente ed unico. Il suo ‘io’ cambia velocemente come i suoi pensieri, i suoi sentimenti, i suoi umori, ed egli commette un errore profondo quando si considera come se fosse sempre una sola e stessa persona; in realtà egli è sempre una persona differente; non è mai quello che era un momento prima. L'uomo non ha un ‘Io’ permanente ed immutabile. […] L'uomo è una pluralità." Una volta che il terapeuta si identifica nel suo ruolo il risultante stato di identità stabilizza il suo stato di coscienza rendendolo impermeabile alle risonanze con l'altro "L'identità conduce a una percezione selettiva per rendere le percezioni congruenti con lo stato di identità che domina al momento. Alcuni tipi di percezione che possono attivare altri stati di identità vengono rimossi." (pp. 173 e 179)

Casement a questo proposito mette in primo piano la capacità del terapeuta di poter stabilire un rapporto empatico con il paziente per poter meglio comprenderne le peculiari caratteristiche. Casement mette in luce come questa capacità empatica, di vivere in prima persona le esperienze del paziente, possa essere realizzata attraverso quella che egli stesso ha definito: risonanza del terapeuta al paziente. Egli puntualizza come spesso ciascuno di noi non è in grado di sperimentare emozioni diverse da quelle che ordinariamente utilizza. "È necessario che la risonanza inconscia copra la più vasta gamma possibile di emozioni: il clinico non deve ridursi alle proprie esperienze, al proprio modo di essere e di sentire [abituale]; ognuno di noi, probabilmente ha in sé il potenziale per provare tutti i sentimenti e vibrare in modo empatico di fronte a qualsiasi esperienza, per quanto strana o aliena possa apparire al nostro sé conscio; ma in presenza di aree di rimozione o di persistente disconoscimento si avranno sempre livelli di emozioni sordi ad ogni stimolo, difficili da evocare." (Casement, p. 84)

Casement parla di "aree di rimozione" che non permettono al terapeuta di poter affrontare liberamente tutte le esperienze offerte dal paziente. È utile, quindi, seguire una corretta terapia personale capace di stabilire un contatto con il maggior numero di vissuti possibili (emozioni, sensazioni, fantasie). Se, come discusso finora, l’attenzione fluttuante rappresenta una tecnica sottesa ad ogni intervento psicoterapeutico, allora non è possibile trascurare questo aspetto nella formazione clinica. Da qui la necessità di prevedere nell’iter formativo uno specifico training sull’autoinduzione e gestione dello stato di coscienza flusso/riflessività. Tale apprendimento renderà il terapeuta capace di utilizzare proficuamente la tecnica dell’attenzione fluttuante.

Il terapeuta, come il poeta, potrà dire: "Ho creato in me varie personalità, creo personalità costantemente. Ogni sogno mio, appena che appare sognato, si incarna in un’altra persona che possa sognarlo, ma non io. (Pessoa, p. 30)

E ancora: "Sentire tutto in tutte le maniere, vivere tutto da tutte le parti, essere la stessa cosa in tutti i modi possibili allo stesso tempo …" (Pessoa, p. 16)

 

Per riassumere, proponiamo uno schema sinottico in cui i concetti emersi in questo breve lavoro, sono ‘ordinati’ e associati alle due fasi dell'unico processo: flusso/riflessività.

Flusso - Riflessività
Caos - Ordine
Abbandono - Consapevolezza
Silenzio - Parola
Ascolto - Interpretazione
Epoché - Scelta
O - K

Abbiamo qualcosa da imparare dal disordine? Dalla moltiplicazione? Dal silenzio? Dall’abbandono?

Forse le parole di Pessoa possono indirizzarci verso una possibile risposta: "Mi sono moltiplicato per sentirmi, per sentire ho dovuto sentire tutto, sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi…" (Pessoa, p. 15).

 

 

*  Psicologi

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

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