Anoressia e santità in S. Caterina da Siena

(pubblicato in: Informazione in psicologia, psicoterapia, psichiatria, n. 26, Roma, 1996, pp.3-10)

Mario Reda

Direttore dell'istituto di Psicologia generale e clinica dell'Università degli Studi di Siena

Giuseppe Sacco

Docente della Scuola di specializzazione in Psicologia clinica dell'Univ. degli Studi di Siena





L'anoressia mentale è un atteggiamento diagnosticabile in base ad alcuni elementi fondamentali:
1) insorgenza in età adolescenziale;
2) mancanza di appetito accompagnata da una evidente perdita di peso;
3) atteggiamento distorto e avverso nel confronto del cibo, del mangiare o del peso, che non tiene conto né della fame, né dei rimproveri, degli incoraggiamenti o delle minacce: per esempio:
a) rifiuto di riconoscersi ammalato e di aver bisogno di mangiare;
b) evidente soddisfazione nel perdere peso con la chiara dimostrazione che il rifiuto del cibo procura piacere;
c) desiderio di un aspetto estremamente esile del proprio corpo, con l'evidente convinzione della gratificazione causata dal raggiungimento e dal mantenimento di questa condizione;
d) anomala manipolazione e incetta di cibo;
4) almeno due delle seguenti manifestazioni:
a) amenorrea,
b) lanugo (capelli fini e morbidi),
c) bradicardia,
d) periodi di iperattività,
e) episodi di bulimia (fame insaziabile),
f) vomito (può essere autoprovocato) (da J. P. Feighmer, 1 972).

Aggiungeremo inoltre una confusione nel riconoscimento della temperatura esterna (uso di vestiti pesanti d'estate e leggerissimi d'inverno) e una confusione nel riconoscimento e nella gestione degli stimoli sessuali (alternanza di periodi di refrattarietà totale e periodi di promiscuità). La frequenza di questa patologia è in costante aumento negli ultimi anni. Tuttavia, per ritrovare l'anoressia mentale nella storia, dobbiamo ritornare al Medioevo dove si può parlare di una vera "epidemia" di quella che venne definita la "santa anoressia". Prenderemo in considerazione questo periodo storico con l'esempio della più rappresentativa delle sante anoressiche, S. Caterina da Siena, per poi soffermarci su alcune analogie con le attuali forme di anoressia. Il corpo della donna nel Medioevo

Nel Medioevo il controllo, le rinunce e le torture al proprio corpo erano intese non tanto come rigetto del fisico, ma come modalità di accesso al divino. Gradualmente le manifestazioni di rinuncia al proprio corpo divennero una peculiarità delle donne, per cui questo periodo è stato definito quello delle "Sante anoressiche". Vediamo di capire il perché evidenziando alcuni punti fondamentali:


1) il corpo della donna veniva vissuto come espressione di attributi sessuali, come le forme arcuate e il seno prominente, che si pensava fossero autoprodotte, mentre il corpo maschile era "forgiato da Dio" dall'esterno. Questa supposizione era confermata dall'estrema predisposizione del corpo della donna a manifestare cambiamenti sia in senso di chiusura o limitazione, come la facilità alla trance, alla levitazione, ai blocchi catatonici e alla evidente predisposizione molto rapida all'ascetismo e all'anoressia, che di apertura o produzione spontanea, come la lattazione e la essudazione di sangue, le stigmate (presenti in almeno 15 sante medievali, con sanguinamento al momento di assumere l'eucarestia; mentre nei santi sono comparse nella storia solo in S. Francesco e Padre Pio) e, infine, la conservazione del corpo dopo la morte.
Soffermandoci specificamente sull'anoressia come caratteristica di santità, essa compare nel 1200 e termina nel 1500 quando Teresa d'Avila (santa spagnola che partecipò con forza mistica e spirituale alla riforma cattolica, rinvigorendo interi ordini religiosi) cominciò ad usare costantemente un ramoscello d'ulivo per indurre il vomito e liberare totalmente lo stomaco, onde poter accogliere degnamente l'ostia consacrata che divenne la sua unica fonte di sostentamento. Da un'indagine condotta da Rudolph Bell su 170 sante italiane del Medioevo, la metà presenta una caratteristica anoressia.


2) Anche i vissuti e le espressioni emotive delle donne venivano censurati. Le emozioni provate venivano considerate dalle sante medievali come esperienze mistiche derivanti dall'incontro con Dio. Margherita da Faenza, Angela da Foligno, Margherita da Olingt si paragonavano ad un esile arbusto con cinque rami, che rappresentavano i cinque sensi, che potevano fiorire solo grazie ad un ruscello (rappresentante il Cristo) che animava tutta la loro sensorialità, compresa l'attivazione sessuale.


3) L'anoressia e le altre manifestazioni corporee diventano nel Medioevo l'unica possibilità per la donna di affermare il proprio potere nel ruolo sociale, mistico-religioso. Una donna era destinata a sposarsi con chi era designato dalla famiglia di origine, oppure ad entrare in un convento di clausura. In tal caso, però, non poteva studiare e non acquisiva il potere clericale di parlare in pubblico e predicare. Solo una rinuncia eclatante al proprio corpo permette alla donna di favorire, trasmettere e viversi le sensazioni e i desideri come manifestazione di fede ed espressione religiosa. La "Santa anoressica" trova così una possibile conferma nel proprio ruolo di potere mistico, attraverso la possibilità di convincere della sua santità i confessori spirituali a cui veniva affidata e a cui non cedeva, come non aveva ceduto alla famiglia, quando le veniva richiesto di guarire riprendendo a nutrirsi. L'anoressia, insieme alla flagellazione ed altre sofferenze corporali, diventa il mezzo per avviare alla santità la donna il cui corpo era simbolo di lussuria, debolezza e irrazionalità.

 
L'esperienza mistica

Tra tutte le esperienze trascendentali quella mistica è probabilmente una delle più forti e a più forte coinvolgimento emotivo. Ciò è dimostrato dalle numerose descrizioni di esperienze di questo tipo riportate nella letteratura di vario genere sull'argomento (si veda ad est W. James, 1958). Nonostante tali esperienze vengano spesso descritte in modo unico e indefinito, esse mostrano delle caratteristiche di base comuni che possono essere riassunte dalla sensazione di estasi e di contatto con un'essenza cosmico-universale (Bharati, 1976). Quest'ultima viene spesso considerata di natura soprannaturale o paranormale, fatto questo comprensibile anche alla luce delle caratteristiche travolgenti dell'esperienza stessa, che viene spesso accompagnata dalla sensazione di "uscire fuori dal corpo", da visioni, da automatismi motori e sensoriali, da percezioni ed immagini insolite, da altre sensazioni trascendentali. Non possiamo in questa sede tentare un'analisi approfondita di un fenomeno così complesso come l'esperienza mistica, in particolare delle condizioni e dei presupposti che la facilitano e la promuovono. Tuttavia, ai fini del nostro discorso, vogliamo brevemente elencare alcune delle condizioni generali che sembrano facilitare e/o favorire l'esperienza mistica.


1) In molte esperienze mistiche si possono osservare degli antecedenti fisici prodotti da assunzioni di sostanze, dall'iper o ipoventilazione, dal digiuno, dalla febbre, dall'eccitamento, dalla fatica e dalla deprivazione sensoriale.


2) Un ulteriore aspetto che precede l'esperienza mistica è costituito dagli stati alterati di attenzione. Emozioni estatiche e immagini inconsapevoli possono salire a livello di consapevolezza, modificando le modalità di attenzione ordinaria, come per est avviene negli stati di sonnolenza, negli stati onirici, nei sogni ad occhi aperti, o nelle fantasie, etc.


3) Altri antecedenti di molte esperienze mistiche sono le situazioni di privazione e frustrazione. Esse fanno parte, come è noto, delle grandi tradizioni mistiche, spesso spinte all'estremo nella ricerca dell'illuminazione mistica (per est, nella tradizione cristiana, Gesù prima di partire per la sua missione di maestro e pastore delle anime, trascorre 40 giorni di digiuno nel deserto; oppure, in Oriente, L'Induismo Tantrico che propugna un'attività sessuale che omette o pospone indefinitamente l'orgasmo).


Consideriamo adesso, schematicamente, in cosa consiste l'esperienza mistica e quali sono alcuni dei suoi effetti e conseguenti.

1) Il primo effetto a cui abbiamo già accennato è lo stato di estasi che viene descritto secondo varie modalità (Laski, 1961). Le sensazioni estatiche sono intimamente connesse con sensazioni di soddisfazione, di dissolvimento dei problemi quotidiani e di una visione positiva della vita.


2) Un altro effetto dell'esperienza mistica è costituito da quello che abbiamo definito "sensazione di comunione cosmica universale" nella bontà e nella verità. Questo può rispondere al desiderio di molte persone di sentirsi in "comunione con un'essenza universale", spesso identificata con Dio.


3) Un altro effetto importante dell'esperienza mistica è costituito dalle modificazioni percettive, emotive e comportamentali. Spesso vi sono implicati meccanismi di inibizione o assuefazione verso gli stimoli sensoriali comuni, come conseguenza dello svolgimento del flusso attentivo verso il proprio mondo interiore. In certi casi, questo "distacco" o isolamento verso l'esterno può essere così spinto da mostrare addirittura insensibilità verso stimoli altrimenti ritenuti dolorosi (Underhill, 1972). Vogliamo sottolineare in questo contesto il fatto che tale stato alterato di coscienza può, tra l'altro, permettere l'emergere di informazioni ancora non elaborate, specialmente di tipo emotivo, relative al sé ma anche al mondo esterno, rinforzando così, ulteriormente, la percezione della sensazione estatica. Questo può, in buona parte, spiegare anche le caratteristiche speciali mostrate da alcuni mistici, come per est la capacità di comprendere il prossimo, alcune capacità di "guarire" certe malattie o malesseri, o capacità di "leggere" eventi futuri o reinterpretare eventi passati, etc..
Tutto ciò viene spesso. interpretato in chiave soprannaturale, mentre, secondo noi, non ci sarebbe bisogno di scomodare il divino, ma soltanto di conoscersi meglio e comprendere il proprio funzionamento psichico. Non cioè dubbio che molti mistici hanno appreso delle abilità non comuni di cogliere ed elaborare quelle informazioni su di sé e sugli altri, spostando e modulando adeguatamente i loro processi attentivo-percettivi attraverso una pratica meditativo-concentrativa complessa e costante.


4) Delle volte le esperienze mistiche sono accompagnate da sensazioni extra-corporali o di levitazione che sono probabilmente connesse con i meccanismi di assuefazione, deprivazione e inibizione sensoriale, causate da lunghi periodi di preghiera e meditazione.


5) Un altro effetto frequente dell'esperienza mistica è costituito dalle modificazioni di tipo fisiologico che variano e si differenziano ampiamente, da caso a caso (Laski, ib.). Tra questi cambiamenti sono stati segnalati i seguenti: rallentamento della frequenza cardiaca; modificazione del ritmo respiratorio; modificazione della temperatura corporea; modificazioni dei ritmi cerebrali, etc.. Pur dovendo riconoscere che cioè ancora molto da studiare e comprendere su questi fenomeni, si può ragionevolmente ipotizzare che alcune trasformazioni fisiologiche che si verificano durante l'esperienza mistica, potrebbero anche facilitare la guarigione da alcune malattie, in particolare quelle cosiddette psicosomatiche e a base isterica, secondo il meccanismo dell'alleviamento dello stress fisiologico (James, ib.; Underhill, ib.).


6) Un ultimo effetto dell'esperienza mistica, che ci interessa sottolineare, è costituito dalla ristrutturazione cognitivo-esistenziale che conduce molti mistici alla scoperta di nuovi significati della vita, con la messa in atto di strategie comportamentali del tutto nuove e sconvolgenti (si veda, ad est, oltre il caso di S. Caterina da Siena, quello di S. Francesco d'Assisi, di S. Teresa d'Avila, etc.).

L'esperienza mistica veniva vissuta e descritta in modo diverso tra donne e uomini. I mistici come Bernardo da Clairvaux (autore de "Il Sermone sul Corpo di Cristo") descrivono l'esperienza mistica in forma personale e teorica, utilizzando come lingua il latino, al cui studio avevano accesso solo gli ecclesiastici uomini, mentre le sante come Beatrice di Nazareth e Gertrude di Deft, riportano in dialetto vernacolo "La mia esperienza mistica", ricca di particolari autoriferiti ed espressi in un linguaggio che evidenzia l'esperienza e la partecipazione personale. Cosi, la sofferenza corporale assume diverso significato, a seconda se veniva agita da uomini o donne. Un esempio eclatante è il famoso miracolo di Valburga del IX sec., riportato costantemente come racconto popolare nel periodo medievale. Un uomo ed una donna sofferenti di disturbo alimentare con anoressia e vomito, vengono portati davanti alla santa reliquia: all'uomo appaiono tre suore che lo curano dalla sua riluttanza per il cibo, offrendogli pazientemente un calice e riuscendo amorevolmente a fargli riprendere la nutrizione. Per la donna, invece, il miracolo consisteva nel perseverare nell'anoressia guarendo dalla voracità delle crisi bulimiche ricorrenti, e resistendo divinamente al cibo mantenendo l'astinenza per ben tre anni! Dopodiché sopraggiunse la morte e l'assunzione al Cielo.



Santa Caterina da Siena

È in questo contesto di vita medievale che va considerata la storia di S. Caterina. Ne tracceremo rapidamente alcune fasi salienti tra le tante significative, per esporre poi alcune considerazioni utili per meglio comprendere le analogie con le problematiche delle anoressiche attuali. Caterina nasce nel 1347 nella numerosa famiglia (la madre Lapa avrà 25 gravidanze, di cui la metà portate a termine) di Jacopo Benincasa, tintore. La madre, donna di carattere molto deciso e pratico, atea, di grande forza fisica (morirà intorno ai 100 anni) ha da sempre con Caterina un rapporto fortemente competitivo e intrusivo. Il legame intenso con Caterina pare dovuto al fatto che fu l'unica figlia ad essere da lei allattata, dopo che la gemella di Caterina mori subito dopo il parto. Caterina accetta ben preso una sfida che durerà tutta la vita, col desiderio di essere capita e di farsi confermare dalla madre nelle sue scelte: "Ho desiderato di un desiderio grande di vedervi madre vera non solo del mio corpo ma anche della mia anima. Penso che se voi amaste la mia anima più del mio corpo, ogni esagerata tenerezza in voi morrebbe e non soffrireste tanto di essere privata della mia presenza corporea. Al contrario ne trarreste consolazione, poiché, pensando che si tratta dell'onore di Dio, vorreste sopportare questa pena". A sette anni, dopo la visione del Cristo, mentre ritornava a casa da una visita alla sorella Bonaventura "sposa infelice di un ricco tintore rozzo e brutale" (Uboldi, 1995) decide di "togliere a questa carne ogni altra carne, per quanto ne sia possibile". All'insistenza della madre per farla mangiare inizia a gettare di nascosto la carne sotto al tavolo. Come sostiene Bell (1987) questa conflittualità con la madre segnala come "Caterina, pur essendo ancora una bambina cominciava già a sviluppare la capacità di attingere la propria forza interiore soltanto dalla sua personale relazione con Dio" (pag. 44). Aggiungeremo che era sempre presente l'attesa che la madre Lapa le dimostrasse fiducia e una comprensione verso questa sua "scelta" religiosa che tuttavia non veniva minimamente considerata. A 12 anni infatti si verifica l'ennesimo intenso scontro tra Caterina e Lapa che la preparava all'esordio in pubblico come "signorina". Con l'aiuto della sorella Bonaventura, a cui Caterina era molto affezionata, riesce a farle lavare il viso e truccarla e a tingere e arricciare i capelli biondi. Caterina è combattuta tra [tessere una brava figlia e sorella o ribellarsi. Finge, come poi sosterrà, di accettare, conservando di nascosto all'interno i suoi voti e il suo progetto di verginità, sui quali organizza la sua adolescenza. A 15 anni troviamo una svolta significativa. La sorella Bonaventura muore di parto: Lapa, che come sempre si occupa della gestione della famiglia, discute apertamente della possibilità che Caterina sposi il vedovo della sorella che da ricco tintore poteva garantire l'economia di tutta la famiglia Benincasa. La conflittualità divenne estremamente intensa, aggravata dai sensi di colpa per la morte anche della sorella Nanna, più piccola di un anno, per cui Caterina viene ulteriormente proposta come "sostituta" di Bonaventura. E in questa circostanza che si verifica quello che verrebbe attualmente definito lo "scompenso anoressico". "Rafforzata dal patto personale con Dio, Caterina sortì una battaglia contro la famiglia" (Bell, op. cit., p. 50). Perde metà del proprio peso e si oppone alle insistenze di Lapa con un digiuno che conferma la propria dedizione a Dio e la rinuncia alla propria "corporeità". Nemmeno l'intervento di Don Tommaso della Fonte, il parroco confessore da cui i genitori la inviarono (da notare l'analogia con l'invio allo psichiatra nelle situazioni attuali) riesce a far desistere Caterina. Alle ingiunzioni in nome di Dio di riassumere cibo almeno una volta al giorno, di Don Tommaso, Caterina inizia a vomitare di fronte a qualsiasi tentativo: "Dio non mi fa mangiare per correggere il vizio della gola. Prego perché mi rifaccia mangiare ma così è la Sua volontà per la mia espiazione". Don Tommaso è incerto se definirla santa o matta. Il dubbio che si tratti di possessione demoniaca è alimentato dal fatto che all'impressionante dimagrimento corrisponde una iperattività e una grande forza fisica e mentale che fanno continuare Caterina nella sua determinazione: "Vi ho già dato sufficiente testimonianza delle ragioni che mi guidano, affinché voi le possiate comprendere, ma per rispetto nei confronti vostri non ne ho ancora parlato. Oggi, tuttavia, romperò il mio silenzio e intendo aprirvi il mio cuore e dichiararvi senza tema di smentite che la mia decisione è presa. Non data da ieri e l'ho rispettata finora senza cedimenti o rimpianti.... Oggi sarebbe più facile rendere una pietra molle come cera che strapparmi dal cuore questa determinazione. Perdete il vostro tempo a combatterla. Vi consiglio di abbandonare ogni maneggio riguardante il mio matrimonio terreno, perché su questo punto non avrete da me obbedienza alcuna, poiché è a Dio che debbo obbedienza piuttosto che agli uomini. Se poi vorrete consentirmi di continuare a vivere in questa casa, fate di me la vostra umile serva, sarò felice di prestarmi al mio meglio. Se invece mi allontanerete da voi a causa del mio voto, non cambierete per questo il mio intendimento. Il mio Sposo è sufficientemente ricco e potente da non privarmi di nulla, da provvedere alla mia persona". Dopo due anni di braccio di ferro con la famiglia è il padre Jacopo a prendere finalmente posizione (per la prima volta si definisce opponendosi alla moglie sempre dominante in famiglia). "Compi liberamente il tuo voto, e fai che lo Spirito Santo ti aiuti... Che nessuno più tormenti la nostra figlia amatissima. Che serva in pace il suo Sposo". Caterina si rinchiude nella sua piccola cella e inizia a flagellarsi, non si nutre e non dorme tra la rabbia e la disperazione della madre che pur non potendo opporsi più di tanto conferma la sua incomprensione. Anche gli amici di famiglia, influenzati da Lapa, la ritengono matta o stregata alimentando i dubbi sulla sua identità. Caterina continua la sua battaglia per essere riconosciuta all'interno della famiglia. Anziché rinchiudersi in convento riesce ad entrare, malgrado la sua giovane età, nell'ordine delle Mantellate. È un ordine militante per cui può avere un suo ruolo nell'assistere i malati presso l'Ospedale di S. Maria della Scala, pur restando in famiglia. Vi riesce attraverso uno "stratagemma" di "morte apparente" facendosi promettere l'ingresso nell'Ordine dei Priori Domenicani sul letto di morte. Il giorno dopo "guarisce" di colpo e si reca all'ospedale per assistere i bisognosi. A 21 anni Caterina perde il padre Jacopo che muore assistito costantemente dalla figlia. Anche le emozioni di dolore vengono lette come esterne a sé e come segno di Dio: "Jacopo Benincasa rende l'anima a Dio. In quello stesso istante, quasi ad esaudire la preghiera di Caterina, un dolore intenso, come di ferita l'assale al fianco laddove il Cristo è stato colpito dalla lancia del centurione romano. È in tal modo, convinta che il padre sia assunto alla gloria dei cieli, che Caterina riceve gli ospiti alla veglia funebre, con un sorriso sul volto, in contrasto con i pianti e i lamenti degli altri" (Uboldi, 1995). Dopo la morte di Jacopo la famiglia Benincasa si disgrega e Caterina è costretta temporaneamente ad allontanarsi da Siena. Ella allarga il suo campo di battaglia e si dedica alla Chiesa: Il suo obiettivo è il ritorno del Papa Gregorio XI da Avignone a Roma. Continua quindi a pensare "così tanto alla salvezza degli uomini che non ha tempo per pensare a se stessa o a toccare alcun nutrimento terreno". Assume tutti i giorni l'eucarestia continuando costantemente il digiuno: "Per non dare scandalo prendeva talvolta un poco d'insalata e un po'‚ di legumi crudi e di frutta e li masticava, poi si voltava per sputarli. E se per caso ne inghiottiva anche un solo minuzzolo, lo stomaco non le dava requie finché non l'avesse rigettato: e quei vomiti le davano tanta pena che le facevano gonfiare tutto il volto. In tali casi si appartava con una delle amiche e si stuzzicava la gola con uno stelo di finocchio o con una piuma d'oca, fino a che non si fosse sbarazzata di quanto avesse inghiottito. E questo chiamava "fare giustizia". "Andiamo a fare giustizia di questa miserrima peccatrice", soleva dire. Difende il nuovo Papa Urbano V contro lo scisma avignonese di Clemente VII sempre con una militanza energica e decisa contro chi vuole opporsi. Più penitenza e più digiuno sono la sua forza e le modalità per far valere le sue ragioni. Continuano però le resistenze a capire e condividere la sua lotta. Il ritorno e gli atteggiamenti del Papa e degli altri ecclesiastici sono per lei alternanza di speranza e fonte di profonda delusione. Aumentano in Caterina i dubbi e con essi il digiuno che si fa sempre più intenso. Decide di non alimentarsi più, implorando che le sia concesso di "Caricarsi sulle spalle gli errori e i mali della Chiesa e di coloro che la governano" e contemporaneamente si dichiara colpevole per non aver saputo rispondere sempre come doveva a ciò che il Cristo si aspettava da lei. Il pensiero di essere delusa dagli altri, o essere lei a deludere Dio aumenta i suoi conflitti e accentua l'anoressia. Per tre mesi si rinchiude in cella nutrendosi solo di qualche goccia d'acqua, col dubbio che la sua vita possa essere stata costellata da una serie di errori. Dubbio con cui muore (il 29 aprile 1380 a 33 anni!) nell'incertezza del senso del suo olocausto. Tant'è che alla presenza della madre Lapa accorsa da Siena a Roma per riconoscerla e benedirla, si rivolge a Dio "Tu mi chiami, o Signore, che io venga a te! E io vengo. Non per mio merito ma solo per tua misericordia".


Conclusioni

La "santa anoressia" è stata interpretata come una risposta alla struttura sociale e patriarcale del cattolicesimo Medievale. Per quanto riguarda S. Caterina la scelta avvenne nell'adolescenza, in un periodo cioè di opposizione ad una famiglia che sembra ripetere gli stereotipi attuali. Una figura materna forte, competitiva che vuole guidare la figlia verso un ruolo sociale altamente apprezzabile. Un padre periferico che lascia dirigere la moglie ed è in questo senso deludente per la figliola. La "santa anoressia" diviene l'unica maniera per autonomizzarsi ed uscire da un destino segnato dalla famiglia e dalla società. Per perseguire questo obiettivo bisogna impegnare però, tutte le proprie forze e non pensare ad altro (nemmeno a se stessi) durante tutta la propria vita. Rimane tuttavia il desiderio di essere riconosciuto in questa ribellione. Così è stato anche per Caterina: sempre lì lì per essere confermata e riconosciuta, ma mai del tutto: sempre in lotta per farsi capire oscillando tra illusioni e delusioni. Dal mettersi costantemente in dubbio trae la propria forza e la costanza per continuare la sua iperattiva missione religiosa. Le possibili disconferme vengono così evitate non confrontandosi con gli altri ma solo con Dio. Dio solo non la può deludere e solo con Lui è consentito lasciarsi andare alle emozioni più intense. Da Lui riceve dopo non poche "messe alla prova" la garanzia di non essere mai delusa e abbandonata. In tutto questo si inserisce la necessità costante di controllo totale del proprio corpo. Cedere al cibo è come cedere al peccato, deludere Dio, perdere tutto il proprio potere faticosamente guadagnato, annullare un senso di identità conquistato attraverso l'opposizione alle regole familiari. Poco importa allora se non ci si sente capiti (nel Medioevo come ai nostri giorni). L'incomprensione diventa la spinta a proseguire. La sfida continua, un modo per confermare il proprio senso d'identità. Così Caterina conquista la più che meritata Santità, il titolo di Dottore della Chiesa, di Patrona d'Italia e d'Europa. Il periodo delle sante anoressiche ha però breve durata. Già nel secolo XVI la Chiesa non tollera più l'ascetismo e le anoressiche vengono etichettate come streghe e inviate al rogo. Nel 1636 Richard Marton descrive un primo caso di anoressia nella "Phtisiologia: or a Treatise of Consumptions" La rivoluzione del ruolo e la ricerca di un'identità sociale provoca atteggiamenti anoressici nelle donne, specie di ceto sociale più impegnato. Il Baglivi esperto in fisica medica e detentore della Cattedra di Teoria Medica all'Università di Roma La Sapienza, agli inizi del 1700 parla della disaffezione nel confronto del cibo che si presenta in giovani donne inquiete in amore e contrastate dalle loro famiglie. La cura proposta è di incoraggiare la guarigione spontanea del paziente con l'aiuto di un medico che abbia la lingua sciolta e sia maestro nell'arte della persuasione" (si pensi che oggi si tende a ritornare all'idea organicistica e alle terapie biochimiche!). Nel 1364 Gull conia il termine di "anorexia nervosa". Oggi l'anoressia si presenta nelle scuole medie superiori con un'incidenza di 1/200 individui, nelle scuole di ballo la statistica parla di due casi di anoressia per ogni 10 partecipanti. Le statistiche riguardano anche la prognosi. A 10 anni dall'insorgenza il 7% delle anoressiche muore, il 23% circa guarisce, il 70% si cronicizza nelle cosiddette "sindromi grasso-magro"! I confessori dell'anima non sembrano poter fare più di tanto coi propri pazienti: gli psichiatri biochimici cercano invano rimedi farmacologici a qualcosa per loro ancora più misterioso. Storie come quella di S. Caterina possono aiutare a capire chi è ancora alla ricerca di una propria identità e a differenza delle sante anoressiche, evita ancora di confrontarsi con la realtà per il terrore di poter sbagliare.

Bibliografia essenziale

 

Bell R, La Santa Anoressia, Laterza, Bari 1987


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Laski M. Ecstasy, University of Indiana Press, Bloomington 1961


Neher A, The Psichology of Trascendence. Prentice - Hall Inc.. Englewood Cliffs, New Jersey 1980


Uboldi R.. Caterina da Siena, Ed. Camunia, Siena 1995


Underhill E, Mysticism, World/Meridian, New York 1972


Walter Bynum C., The female Body and Religious Practice in the Later Middle Ages, in Feher M. (Ed), Fragments for a history of the human body Part one, Mi Press. 1989