Paolo Aldo Rossi Filosofia della Scienza Università di Genova

 

Cibernetica, significato e biologia*

 

 

Il mutamento terminologico, nell'ambito della denominazione delle scienze umane, da "teorie del comportamento" a "teorie dell'interazione", non è avvenuto senza ragione ed è coinciso con un radicale mutamento concettuale nel modo di impostare il problema della caratterizzazione dell'identità dell'uomo che fosse ad un tempo "scientifica" e specifica. Il punto di svolta che ha determinato tale modificazione può essere collocato nell'utilizzazione di una "modellistica" basata sugli schemi concettuali della teoria della comunicazione.

Che il problema dell'identità dell'uomo sia un tipico problema filosofico e che, come tale, possa far correre alle scienze umane il rischio di trasformarsi inavvertitamente, in filosofie morali è obiezione troppo nota per non dover essere tenuta in considerazione, e basterà ricordarne come esempio la formulazione notissima di E. Nagel: "Gran parte della 'teoria sociale' è filosofia morale o sociale piuttosto che scienza sociale ed è costituita in larga parte da riflessioni sulla natura dell'uomo,… mentre in nessun settore della ricerca sociale esiste un corpo di leggi generali ben fondate paragonabili alle teorie delle scienze naturali quanto a vastità di potere esplicativo o a capacità di formulare predizioni precise e degne di fiducia"[1].

Questa impostazione è sintomatica di quello stato di cose per cui le discussioni circa la possibilità di impostare adeguatamente le scienze dell'uomo (medicina, psicologia, sociologia, storia …) si collocano, quasi sempre, a livello di "costruzione delle teorie" dimenticando che questo problema è subordinato a quello preliminare della "formazione dei concetti". Con ciò non si vuole certo affermare che nelle scienze umane non si sia operato alcun lavoro preliminare di formazione dei concetti, ma solo che tale lavoro è avvenuto in modo, quasi esclusivamente, implicito: o assumendo, senza adeguata analisi del loro significato, alcuni predicati-base o prendendoli a prestito da altre discipline senza tener conto dell'indispensabile cautela metodologica che impone di considerare la fondamentale natura contestuale di questi termini ed il rischio dell'equivocità, inevitabilmente connesso a simili "prestiti" di termini predicativi

Nel primo caso si sono dati per scontati, volta per volta, i risultati delle varie antropologie filosofiche e, nel secondo, s'è giocato sul terreno del riduzionismo.

Quel che è certo, comunque, è che le scienze umane in ogni caso hanno finito con l'assentire ad una antropologia filosofica costruendola esse stesse (in questo senso ha ragione il Nagel a parlare di "riflessioni generali sulla natura dell'uomo") o assumendo l’aforisma democriteo: "L'uomo è quello che sappiamo", interessandosi poi solo al suo "operare". In altri termini, si è affermato o che l'operare consegue dall'essere (ma non ci si è sforzati adeguatamente nel chiarire la natura di tale "essere" e le connessioni di questa col suo operare), oppure che l'operare coincide esattamente con l'essere. Nel primo caso, si è giocata la determinazione della natura dell'uomo su predicati di tipo mentale o fisico nel senso o del monismo, sia materialista che spiritualista, o delle varie forme dualistiche (di cui solo quelle affermanti l'irriducibilità ultima di una classe di predicati all'altra possono essere, a buon diritto, rubricate come dualistiche); nel secondo caso, pur nell'apparente disinteresse per la natura dell'uomo, lo si è di fatto determinato come una "scatola nera" giungendo, sia pur inconsapevolmente, a sostenere un'affermazione dogmatica del tipo che la natura di tale scatola nera coincide con la sfera delle sue manifestazioni comportamentali.

Questo stato di cose altro non è, in definitiva, che la proiezione di quel necessario requisito di cui ogni teoria scientifica deve godere, ossia di essere un linguaggio che parla di un universo di "oggetti". Nel caso delle scienze dell'uomo, quindi, l'insieme dei predicati-base che sono serviti alla costituzione del "loro universo d'oggetti" è coinciso esattamente con l'insieme di quei predicati che sono stati usati, nella storia del problema antropologico, per la determinazione dell'identità dell'uomo.

E necessario accennare brevemente la funzione svolta dal problema della determinazione dell'identità dell'uomo nella costruzione delle scienze umane, al fine di ricalibrare meglio quel problema che appare oggi primario, ossia quello di un'esatta "costruzione delle teorie", premessa indispensabile per applicare ad esse la logica della spiegazione scientifica.

L'annosa diatriba, nell'ambito della metodologia delle scienze umane, fra i difensori del modello della legge di sussunzione ed i negatori di tale modello si innesta sul terreno della polemica fra materialismo e mentalismo e basterà tenere presente, quale significativo esempio in proposito le profonde radici idealistiche dello storicismo e quelle altrettanto profonde dei materialismo positivistico. Se poi si tengono presenti anche i grandi punti di disaccordo fra la gnoseologia idealistica e quella positivistica, si coglieranno con particolare facilita le ragioni della dicotomia, ancora oggi esistente, fra le differenti costruzioni delle scienze dell'uomo. La continuazione della linea di pensiero diltheyana raggiunge, via via, la consapevolezza che la differenza fra il nomotetico e l'idiografico si installa come differenza fra nessi di causa e nessi di significato o, in altri termini, fra segni fisici sedimentati e causalmente connessi e linguaggio vivente, vita psichica attiva.

La differenza fra natura e società è riportata cioè alla più arcaica radice del concetto di causa: quella in cui essa significa, ancora prima che generazione di eventi (modello positivistico), norma dell'azione e fine da raggiungere (modello idealistico). In tal modo, entrambe le concezioni potranno rivendicare la loro patente di scientificità e richiamarsi addirittura, ciascuna secondo il suo proprium, al paradigma della spiegazione causale, quindi, che quest'ultima osservazione introduca un'obiezione decisiva contro la posizione di coloro che vorrebbero togliere alle scienze dell'uomo la patente del "rigore scientifico" basandosi esclusivamente sulla dichiarazione che solo le scienze della natura possono ammettere tra i loro strumenti esplicativi l'uso della spiegazione causale. In ogni caso senza voler scomodare una tipica tematica filosofica, qual'è quella della fondazione ed analisi storico-strutturale del concetto di causa, già ad una immediata osservazione epistemologica sulla struttura della scienza ci si accorge come la prospettiva del "rigore", ormai codificata nello schema: dati - ipotesi esplicative - verifica, "non privilegi in linea di diritto alcuna scienza".

Nel momento in cui si comprende questo fatto, si capisce per davvero che la strada maestra che apre alle dottrine sull'uomo, l'orizzonte della scientificità, passa attraverso la fissazione dei criteri operativi di oggettivazione o in altre parole attraverso l'esplicitazione dell'insieme dei predicati-base che costituiscono l'universo d'oggetti di quella determinata scienza. Peculiare, sotto questo aspetto è il problema posto dall'osservazione che l'uomo è allo stesso tempo soggetto ed oggetto della ricerca. Nel momento in cui, pero, si chiarisce tale presunta aporia, distinguendo l'uomo cosa dall'uomo oggetto e di conseguenza si supera l'obiezione dell'alterazione del dato attraverso l'osservazione, questo impone per davvero la fissazione dei criteri operativi per la determinazione dell'oggetto uomo, diversamente l'obiezione resterebbe e diverrebbe decisiva.

Va comunque osservato che i criteri operativi, elaborati dalle varie teorie antropologiche, per la determinazione dei predicati - base su cui definire l'uomo, pur non contravvenendo alla esigenza di una corretta opera di formazione dei concetti, restano metodologicamente utili finché operano nel campo dell'antropologia filosofica, mentre mostrano la loro povertà quando vengono passati di peso alle scienze del comportamento. L'inspiegabilità di certi fenomeni, nelle scienze umane, credo sia da addebitarsi alla ristrettezza del campo di osservazione o per meglio dire al fatto che l'universo d'oggetti della teoria non era abbastanza ampio da includervi anche il contesto in cui il fenomeno si era verificato. Questo appare chiaro proprio nel campo dell'antropologia filosofica dove l'individuo viene considerato come una monade, o in altri termini viene determinato nel seguente modo: si isolano delle particolari attività (talvolta anche soltanto comportamenti) esibite dall'uomo e ci si occupa della natura di tale condizione. In senso esteso ci si preoccupa della natura dell'individuo uomo, oggettivato mediante quei predicati, tipici della filosofia della mente. L'estensione dell'universo d'oggetti dell'antropologia filosofica, che in senso lato include solo manifestazioni di proprietà ed attributi dell'individuo singolo, ad un universo di oggetti che include anche gli effetti di tali proprietà ed attributi su quelle di altri individui e, cosa fondamentale, anche l'intero contesto entro il quale tali effetti avvengono, porta necessariamente in primo piano il problema del vincolo veicolo di tali manifestazioni: la comunicazione. E in questo senso che il mutamento terminologico da scienze del comportamento a scienze dell'interazione può e deve essere motivato e tale motivazione va necessariamente ricondotta ad una interpretazione dei risultati della teoria dell'informazione che tenga conto, oltre che dell'orizzonte sintattico e semantico, anche e precipuamente di quello pragmatico.

Userò, infatti, nel corso di queste pagine, i termini comportamento e comunicazione come se fossero sinonimi, seguendo in ciò una tipica lettura cibernetica: quella, cioè, che vuole ogni comportamento come una trasmissione, da parte del soggetto che si comporta di un messaggio o configurazione di segnali, esprimente il particolare stato in cui tale soggetto si trova in quel momento. Intenderò invece per interazione qualcosa di più e cioè non solo l'invio di una configurazione di segni da parte dell'emittente o per meglio dire le azioni del comportamento, ma anche la modificazione della sintassi e della semantica del ricevente prodotte dall'emittente e l'intera modificazione del contesto interpersonale, o dell'intero ambiente in cui avviene la comunicazione.

A questo la più tipica delle teorie del comportamento, il behaviorismo, non ha mezzo di arrivare.

Da un lato il comportamentismo analizza il comportamento come un quid che fa parte della natura del soggetto individuale e non della natura dell'intero contesto entro cui avviene e secondariamente il rapporto retroattivo, tipico della catena interattiva, sta fuori portata della metodologia behaviorista. A questo riguardo, la più peculiare delle ipotesi behavioriste sulla natura dell'uomo, il modello dell'equazione uomo-automa, proposta da quelle scuole macchiniste che si rifanno all'ipotesi di Turing, è stata dimostrata incapace di descrivere il comportamento di un automa e quindi, a maggior ragione, il comportamento dell'uomo, anche quando si fosse dato per dimostrato che ogni comportamento animale è un comportamento automatico. La dimostrazione completa di questo fatto è ottenuta dal Nelson[2] portando di peso il linguaggio del behaviorismo in una teoria descrittiva del comportamento delle macchine di Turing. A grandi linee il procedimento del Nelson consiste nell'analizzare se sia sostenibile la posizione behaviorista che esclude dal proprio linguaggio il riferimento agli stati interni di un automa, quando questi siano eliminabili per esplicita definizione o per sentenza di riduzione in termini di stimolo-risposta o in altri termini osservativi. Dall'esame di tutte le possibilità che si presentano emerge che gli stati interni non sono riconducibili nè alle variabili intervenienti, nè alle variabili disposizionali semplici o complesse, nè sono definibili univocamente nei termini fisici o biologici. Allo stesso tempo, un linguaggio, tanto povero di termini teorici e che non contiene termini per stati interni, non riesce a descrivere neppure il comportamento di un trasduttore finito, che poi è la macchina di Turing più semplice, proprio perché non riesce ad esprimere il feedback.

Il passaggio quindi, da una teoria del comportamento ad una teoria dell'interazione può essere vista come una modificazione concettuale della teoria della comunicazione ottenuta spostando il «punto di vista» dal rapporto trasmettitore-segno e ricevitore-segno al rapporto trasmettitore-ricevitore in quanto mediato dalla comunicazione.

Una tale modificazione del «punto di vista» comporta una modificazione degli schemi concettuali con cui interpretare i risultati del calcolo dell'informazione o meglio di quella teoria formalizzata che solitamente viene denominata: «teoria matematica dell'informazione».

 

In questa analisi la teoria formale consiste dei seguenti elementi:

 

a) Due insiemi di numeri:

 

S = {s1,......... sn} ed R= {r1............... rm} i quali soddisfano alle seguenti condizioni:

 

 

b) Due funzioni: f (si, rj) e g (si, rj) dove si Î S ed rj Î R le quali soddisfano alle seguenti condizioni:

 

       

 

In tale teoria formale vengono sviluppate:

 

1) Le proprietà e le relazioni del logaritmo negativo dei numeri:

 

               si, rj, f(si, rj), g(si, rj),

 

2) Le medie ponderate di numeri quali:

         

 

3) I limiti a cui queste medie tendono quando n ed m vanno all'infinito.

 

Se ora interpretiamo: sj come la frequenza relativa delle emissioni dell'i-esimo segnale scelto fra tutti i segnali che sono a disposizione di una certa stazione trasmittente, rj come la frequenza relativa delle ricezioni del j-esimo segnale, preso tra i segnali che arrivano ad una certa stazione ricevente, (sj, rj) e g (sj, rj) come la frequenza relativa condizionale fra gli s j e gli r j, diremo di aver interpretato il nostro calcolo nei termini di una teoria statistica: la cosiddetta teoria matematica delle comunicazioni. Se ora, invece, prendiamo due insiemi esaustivi di eventi: H = {hi ... hn} e K = {ki.... km} tali che data una certa evidenza E, accadano esattamente uno ed uno solo degli n h j e m k j ed interpretiamo s j come la probabilità logica o grado di conferma degli h j su E ed r j come il grado di conferma dei k j su E , - log s i come la misura del contenuto di h i,   come la misura del contenuto medio degli eventi, (similmente possiamo interpretare -log rj  e  diremo di aver interpretato il nostro calcolo nei termini di una teoria logico-induttiva: la cosiddetta teoria semantica dell'informazione.

Se infine interpretiamo S ed R rispettivamente come l'insieme dei possibili stati-comportamento della matrice di probabilità condizionale del trasmettitore e del ricevitore, s i ed r j rispettivamente come l'i-esimo comportamento e j-esimo comportamento della catena comunicativa, e f(si, rj), g (si, rj) come funzioni selettive che estraggono un certo messaggio (o comportamento) dell'insieme degli stati delle matrici S ed R, diremo di aver interpretato il nostro calcolo nei termini di una teoria del comportamento: la cosiddetta teoria pragmatica dell'informazione.

 

Ovviamente, in ognuna di queste teorie potrebbero essere sviluppate nozioni come quella di rumore, ridondanza, capacità del canale, codice, efficienza della codificazione...

Detto ciò potrebbe valere la pena di esprimere, a livello meta comunicazionale, alcune fondamentali proprietà del rapporto interattivo. Tale rapporto gode di una proprietà ovvia e banale, ma fondamentale, e cioè che la comunicazione non ha un suo opposto o in altri termini che è impossibile non comunicare. Questo fatto davvero palmare è una proprietà troppo generale, in quanto ci costringe ad affermare che la comunicazione ha comunque luogo, sia che tra i termini della catena informativa vi sia o meno comprensione, consapevolezza di comunicare, efficacia dell'atto intenzionale ecc., tanto che il termine «comunicazione» verrebbe a designare un generico contesto entro il quale avvengono i fenomeni e sarebbe quindi pleonastico dell'espressione «ambito delle manifestazioni fenomeniche».

Analoga situazione si è prodotta nel caso della comunicazione shannoniana, in cui l'estrema distillazione del termine lo ha reso sinonimo del concetto matematico di probabilità. A questo livello non si riesce quindi a denotare il rapporto fra la sfera del fenomenico e quella del fenomenologico. E proprio questo, pero, il problema che riveste per noi l'interesse primario, in quanto ripropone da un lato il problema dell'identità dell'uomo e dall'altro il problema del rapporto fra il conoscere ed il fare.

Ci troviamo quindi costretti a procedere nell'analisi esprimendo un ulteriore asserto metacomunicazionale, fornito di alta evidenza fenomenologica: <Ogni comunicazione Si presenta sempre sotto il duplice aspetto di notizia (informazione) e di comando (determinante della condotta)>. In altri termini, ogni comunicazione si presenta come un rapporto dialettico fra il conoscere e l'agire ossia fra l'organizzazione dei dati e la determinazione della condotta.

Questo fatto riveste una notevole importanza metodologica e cioè ci impone di continuare l'analisi e chiarire quali rapporti intercorrono fra il continuo flusso di segnali ineluttabilità della comunicazione e la loro organizzazione in messaggi (notizie) ed i rapporti che intercorrono fra le notizie e le modificazioni che queste impongono al contesto in genere ed ogni elemento del contesto in particolare e cioè sull'intero flusso di segnali e non su di una particolare configurazione.

Dire questo significa, a grandi linee, trattare il problema della relazione fra gli aspetti sintattici, semantici e pragmatici della comunicazione.

Già fin dal 1949 C.E. Shannon e N. Weaver[3], in analogia alla sistemazione morrisiana della semiotica in sintassi, semantica e pragmatica, classifico l'intero campo della teoria della comunicazione in tre parti:

a)  il problema tecnico (correttezza della trasmissione)

b)  il problema semantico (in senso lato il rapporto fra insieme di segnali e configurazione del

messaggio)

c)   il problema effettuale (le interazioni comportamentali provocate dal messaggio, fra ricevitore e trasmettitore).

Per lungo tempo solo l'aspetto a) è stato considerato in grado di venire teorizzato mediante un'opportuna teoria matematica: la teoria dell'informazione. In effetti, tale teoria non ha rappresentato solo la formalizzazione del problema tecnologico della trasmissione dei segnali, ma ha svolto un fondamentale ruolo teoretico nella costruzione della scienza contemporanea ed a tal fine basterebbe solo ricordare la funzione della nozione matematica di informazione in termodinamica, in biologia, in statistica e fondamentalmente in cibernetica.

In tale panorama concettuale né il problema b) né il problema c) hanno avuto diritto di cittadinanza, fintantoché la cibernetica non si è posta come «teoria della comunicazione nell'animale e nella macchina». Ora l'applicazione della teoria matematica delle comunicazioni al comportamento comunicativo, o più semplicemente al comportamento, implica sia la trattazione del problema del riferimento dei segni ai propri designati, sia la trattazione dell'interazione fra i membri appartenenti alla catena comunicativa. Riguardo al problema semantico si assiste a due opposte tendenze: o l'abbandono di ogni pretesa di trattare con il significato, o la pretesa che il problema fosse già risolto all'interno della teoria statistica dell'informazione.

La prima posizione viene sostenuta dai teorici puri dell'informazione che partono dalla consapevolezza di quello che è l'universo d'oggetti della teoria, universo a cui il concetto di significato non appartiene; gli aggettivi usati da C.E.Shannon.., ad es.. riguardo il rapporto fra il problema del significato e la teoria statistica della comunicazione sono «vago, pericoloso, soggettivo».

In un primo tempo afferma la misurabilità della quantità di significato di un messaggio, proponendo come criterio semantico l'imprevedibilità: quanto più un messaggio è imprevedibile, tanto più è significante: l'emergenza dell'irregolare nella regolarità è il suo criterio semantico o in altri termini la significanza è rilevata nello stagliarsi di una struttura su di un insieme omogeneo.

D'altro canto N.Wiener[4], ben consapevole che la condizione essenziale dell'utilità dei modelli cibernetici, da lui proposti per la determinazione dell'identità dell'uomo, passa attraverso la dimensione semantica del linguaggio, prende effettivamente in considerazione il problema del significato e sembra voler tener distinti gli aspetti semantici da quelli sintattici e pragmatici.

La sempre maggior definizione nel rapporto di diversificazione dall'omogeneo, produce una gerarchia di strutture sempre più significanti. L'impostazione di questo discorso, fuori dal luogo comune: «più originale: più significante» deve tener conto del rapporto trasmettitore-ricevitore. Il trasmettitore, sapendo in anticipo quel che vuol dire, può organizzare il suo pensiero mediante le leggi della logica; il ricevitore, al contrario, tentando di immaginare quel che ascolterà non cercherà di descrivere la propria conoscenza, ma la propria ignoranza rifacendosi alle leggi del caso.

Ovviamente, costui non sarà impressionato dalla conferma della propria ignoranza, ma dalla novità della propria conoscenza. Sotto questo aspetto, per N.Wiener, la teoria dell'informazione diviene il sinonimo della fenomenologia della conoscenza. La conoscenza del proprio stato di equilibrio, poi, confrontata ad un progetto teleologico verso il futuro (il mantenimento di tale equilibrio in situazione di instabilità continua), funge da progetto di condotta e quindi da determinante dell'azione.

Chi si inserisce fra queste due posizioni sono alcuni epistemologi[5], che propongono l'interpretazione del calcolo della teoria statistica della comunicazione sull'universo d'oggetti della logica induttiva, o per meglio dire sull'aspetto logico o keinesiano piuttosto che su quello frequentista del calcolo delle probabilità, formulando quella che verrà detta: teoria semantica dell'informazione.

A grandi linee, questa teoria è espressa in un metalinguaggio di un osservatore esterno alla catena comunicativa e considera un messaggio come costruito da proposizioni atomiche che asseriscono che un particolare individuo, di un insieme finito di individui, gode di un insieme finito di particolari proprietà.

L'interpretazione della probabilità come estensione dell'implicazione necessaria porta a considerare l'informazione come una proprietà logico-operativa del linguaggio e cioè a porre l'accento sulle probabilità ammesse dalle risorse espressive del linguaggio, piuttosto che alla probabilità dell'accadere dell'evento espresso in quel linguaggio. L'interpretazione, infine, del calcolo dell'informazione sull'aspetto soggettivistico della probabilità apre le porte alla trattazione di una teoria pragmatica dell'informazione, la quale diviene «la logica del grado di credenza e delle sue possibili modifiche alla luce dell'esperienza». Le funzioni selettive che estraggono un messaggio (rappresentazione di uno stato comportamentale) da un insieme di messaggi (insieme delle rappresentazioni dei possibili stati comportamentali), proposte da D.Mackay[6] sono la prima quantificazione del problema pragmatico.

Ci si potrebbe domandare ora come si potrebbe impostare quel problema dei rapporti fra sintassi, semantica e pragmatica, con il quale abbiamo aperto quest'ultima parte del nostro discorso.

In definitiva il duplice aspetto di ogni informazione: notizia e comando, con il conseguente circuito retroattivo, sembra rappresentare non soltanto lo schema concettuale più utile per unificare la nostra tripartizione, ma anche per impostare il problema dell'interazione. In tale problema il concetto filosofico di intenzionalità gioca un ruolo determinante, sia nel suo aspetto gnoseologico della identità intenzionale fra soggetto ed oggetto, che in quello morale della motivazione alla realizzazione dell'atto pratico.

La cibernetica inizia là dove cessa la fisica.

La frontiera fra le due discipline viene innalzata nel punto in cui si opera una estensione del sistema concettuale della meccanica classica mediante l'uso delle nozioni di feedback e informazione. Il sistema fisico viene concepito come caratteristico per il suo flusso di energia ed inviato senza ritorno. Il sistema cibernetico viene concepito come caratteristico per il feedback: ad ogni informazione si ha un ritorno che permette di regolare in qualche modo il flusso dell'informazione seguente.

Storicamente tale sistema coincide con l'apparire della vita sulla terra; a livello biologico e sin dalle più elementari forme di vita si verifica uno scambio con l'ambiente circostante, e tale sistema di scambio esige un meccanismo operativo di complessità crescente in accordo con l'evoluzione stessa.

In qualsiasi passo dell'evoluzione si registra, rispetto al precedente, il risultato di un volume maggiore di comunicazione dal quale un crescente dominio della natura. Fondamentale, a tal fine un principio di organizzazione e controllo dell'informazione, costrutto che per la sua stessa ampiezza merita un esame epistemologico.

Ammettiamo che a livello fisico non vi sia un ritorno e che l'emissione si effettua nel senso dell'energia e non dell'informazione. In tal caso un oggetto, diciamo un atomo A, potrebbe emettere una particella nucleare che raggiunto un altro oggetto, diciamo un atomo B, ne provocherebbe una modificazione, l'oggetto A non ricevendo informazione di ritorno, avrebbe emesso semplicemente energia.

Due osservazioni sono fondamentali: in primo luogo, in linguaggio cibernetico ogni oggetto del mondo empirico che possa divenire soggetto di qualsiasi comportamento può essere descritto come una macchina (sia naturale che artificiale). In secondo luogo, qualsiasi emissione di informazione produce necessariamente un ritorno, sia pur attraverso la modificazione del contesto-ambiente. E necessario approfondire tali osservazioni. Per quel che riguarda il concetto di macchina e ammettendo la classica distinzione «macchina puramente energetica» e «macchina cibernetica o informazionale» si dovrebbe concludere che nella prima l'azione si riduce a puro flusso di energia non controllata da qualsiasi meccanismo di ritorno, e nella seconda vi sarebbero sistematicamente tali meccanismi atti a regolare il comportamento ad ogni istante, grazie all'informazione ricevuta in tal modo.

In tale prospettiva la macchina energetica sarebbe quindi atta ad operare energia e si ispirerebbe a modelli fisici, mentre la macchina cibernetica ispirata a modelli biologici, sarebbe rivolta alla manipolazione ed al controllo dell'informazione. L'uso della energia fisica in tali macchine, pur esistendo verrebbe ridotta a semplice attività strumentale. Il dato fisico diverrebbe puro segnale atto a scatenare questa o quella condotta e come segnale, interpretato e decodificato da qualche organo.

Ma è appunto questa scissione del dato fisico, della macchina energetica, del flusso stesso dell'energia, da un lato rispetto al fatto governato dal feedback, dall'altro rispetto alla macchina cibernetica e al flusso dell'informazione, che dovrebbe essere oggetto di riflessione.

Non costante l'accettazione universale di tale dicotomia, un simile salto concepito come discreto, offre innumerevoli dati che porterebbero a concepirlo come un sistema di variazioni continue, anche se sistematicamente soggette a momenti effettivamente discreti, coincidenti con una progressiva organizzazione dell'informazione stessa.

Nel caso dell'oggetto A, che invia energia all'oggetto B, si può supporre l'inesistenza di un feedback, ma bisogna ammettere una comunicazione. Qualsiasi macchina che emette informazione la emette sotto forma di segnale. Spetta alla macchina ricevente di decodificare il segnale e conseguentemente di modificarsi e rispondere. Ora l'oggetto A invia una informazione, già codificata sotto forma di energia e che come tale viene decodificata dall'oggetto B che riceve il segnale e di conseguenza si modifica.

Questo amplifica il costrutto informazione la cui generalità potrebbe dilatarsi sino ad inglobare il costrutto di energia, di per sé già dotato di ampia generalità.

L'energia potrebbe ridursi ad una delle infinite forme di linguaggio in cui l'informazione potrebbe essere codificata, trasmessa, decodificata. Non più quindi un semplice supporto atto a canalizzare l'informazione, ma la più elementare delle forme di linguaggio.

Quel che si vuole sostenere è che è possibile eliminare l'esistenza qualitativa fra «canale» e «messaggio» e fra «segno» e «significato» alla stessa stregua che fra «contenuto» e «forma» in logica, ove la reversibilità diviene evidente a seconda della posizione relativa che ora l'uno ora l'altro possono assumere.

Essenziale è capire che il significato dell'informazione ad ogni connessione e sconnessione si scinde in una duplice dicotomia: rispetto all'oggetto di segnale significante e di messaggio significato (in cui il segnale è il veicolo o canale del messaggio stesso) e rispetto al soggetto (sia il ricevente che l'emittente) di codificazione e decodificazione.

In tal modo l'informazione si riveste in maniera proteiforme, d'accordo con le successive possibilità di codificazione e decodificazione delle diverse macchine naturali o artificiali - capaci di trasmetterle o di riceverle.

Un segno-canale è sempre codificato e decodificato secondo successive connessioni o sconnessioni e ad ogni salto ciò che a livello precedente era semantema diviene segno. In tal modo l'informazione stessa si trascende continuamente nella sua dinamica.

E' essenziale però comprendere che tali salti pur avendo valore discreto effettivo - a misura che corrispondono a strutture definite e definibili secondo sistemi auto regolabili (scrittura, voce, linguaggio, rappresentazione...) si effettuano in modo unitario in senso fenomenologico.

Secondo N.Wiener ciò che qualifica l'essere vivente nei confronti della natura è che a differenza di questa nel vivente vi è una tendenza verso l'informazione, l'organizzazione e non verso l'entropia, il disordine. Così dagli esseri inferiori, dai protofiti ai protozoi fino alle specie più elevate ciò che caratterizza l'evoluzione stessa è il flusso crescente di informazione come sistema di organizzazione reversibile atto ad acquisire crescente autocontrollo di ritorno fino a raggiungere quella forma di piena reversibilità che è il pensiero cosciente. In tal modo l'omogeneità (o meglio la tendenza a) del mondo fisico è superata da esseri capaci di manipolare l'informazione emessa e ricevuta nel senso di modificare continuamente l'ambiente e modificarsi al medesimo tempo grazie ad un ritorno continuo dell'informazione, sviluppando organi di ricezione e trasmissione sempre più complessi e programmando comportamenti sempre più adeguati. Se l'evoluzione della specie è il risultato di un aumento progressivo del sistema di circolazione della informazione, ciò che rende possibile tale aumento è un processo accumulativo per cui la informazione può passare da una generazione all'altra sotto forma di un programma fissato per gradi successivi filogeneticamente: ogni grado corrisponde ad un acquisto, ad un dominio nell'organizzazione della informazione.

Consideriamo tale programma per l'aspetto di ontogeneticamente  innato.

Interessante a questo riguardo è la costruzione di un vero linguaggio in cui le lettere sono da un lato le 4 strutture fondamentali degli acidi nucleici A.G.C.T (Adenina, Guanina, Citosina, Timina) nell'ADN e AGCU (uracile invece di timina) nell'ARN, e dall'altro i venti radicali aminoacidi. L'acido ribonucleico diviene quindi un canale atto a trasportare l'informazione contenuta e contenibile in un gene.

In tal modo diviene possibile fissare in una primordiale scrittura l'esperienza e trasmetterla attraverso un sistema organizzato che è la macromolecola, punto di partenza verso la cellula viva; ma tanto la macromolecola, quanto la cellula che gli succederà, trasmettono una esperienza che è in fondo un sistema di organizzazione ossia di informazione che sono riuscite a creare su una base di energia fisica, la quale a questo punto diviene canale rispetto ad una forma di significato più complesso.

La manutenzione e la regolazione di tale sistema è il fondamento dell'evoluzione biologica, e per spiegare tale evoluzione, Jacques Monod introduce un concetto prettamente cibernetico, quello di teleonomia.

La teleonomia come finalità risultante dall'ordine raggiunto costituisce il principio regolatore e conservatore di questo ordine. Il finalismo che si genera non è trascendente ma è la finalità che si stabilisce nel rapporto mezzi-fini. In altri termini l'informazione stabilitasi può suscitare un sistema che la perpetua attraverso meccanismi regolatori. In tal modo la teleonomia corrisponde ad un progetto interno capace di determinare il comportamento di una macchina secondo un sistema di circolazione dell'informazione. L'importanza di un simile principio sia a livello cognitivo che evolutivo dell'individuo e della specie è di per sè evidente.

In primo luogo è facile comprendere che in ragione di simile principio si opera una conservazione della regolarità informazionale che si è potuto stabilire: in tal modo le associazioni a livello molecolare che il Monod descrive, una volta prodottasi per semplice casualità fissano rapporti e valenze che regolano le associazioni successive e funzionano da feedback embrionali atti a riconoscere le sostanze con cui entrano in contatto, e a discriminare la possibilità di stabilire ulteriori rapporti. A ciò si deve il linguaggio del codice genetico già menzionato, scritto in lettere di radicali chimici, e capace di agire similmente ad un programma che determina i passi successivi. In tal senso compete all'acido ribonucleico trascrivere attraverso i radicali di basi azotate combinati coi radicali aminoacidi, un vero programma. A tale programma si deve, fra l'altro, in ogni essere vivente, un sistema capace di regolare la sintesi degli enzimi e in genere, la sequenza delle strutture proteiche globulari. In tutto ciò l'invariante fondamentale a livello biologico si rivela l'ADN, latore biochimico di una capacità specifica: la replica, stabilita mediante due sequenze doppie identiche, traducibili in ARN, principio essenziale del gene ereditario.

Tale regolarità teleonomica è quindi informazionale nel senso che ogni passo è riconoscimento del significato implicito in ogni rapporto e, allo stesso tempo, creazione di un significato attribuito ad ogni rapporto. Si può dire che ogni significato è la regolarità stessa del principio invariante che si è stabilito e tende a perpetuarsi. Vale a dire un evento storico. Una volta acquisita la regolarità questa agisce come significato trasmissibile. Su questa origine storica del significato come punto d'incrocio del variabile e dell'invariante ho già discusso altra volta.

Su questa base si può cercare di riprendere in considerazione quella determinazione della informazione come organizzazione dei dati e determinante della condotta.

Un tal determinante è già riscontrabile al di sotto delle strutture biochimiche. Si evolve secondo il principio della classificazione sia di ordine tecnico per cui il circuito dell'informazione inizialmente limitato al riconoscimento della segnalazione diviene più complesso e dotato di regolatori atti a controllare l'informazione stessa, filtrandola, conservandola sotto forma di codici memoria,  combinandola e via dicendo, sia di ordine funzionale il che risponde ad un progressivo aumento degli obiettivi della condotta evolvente, con il conseguente sdoppiamento progressivo dei significati che, moltiplicandosi si sovrappongono. Tutta l'evoluzione è suscettibile di una descrizione di tal genere.

Sin dalla macromolecola al protofito, al protozoo, ciò che si sviluppa sono i circuiti di informazione, interni ed esterni, che moltiplicano le situazioni significative atte ad esser percepite, e conseguentemente la risposta che ne risulta, cioè l'informazione emessa. Quanto minore è l'organizzazione e quindi il sistema sintattico e semantico della struttura informativa tanto più immediata, diretta e semplice è la risposta. Col procedere dell'evoluzione si verifica un crescente sviluppo della macchina nel senso di una complessificazione di tipo piramidale e conseguente aumento dei processi di mediazione delle codificazioni e decodificazioni intermediarie che si interpongono a guisa di canali-segnali fino alla decodificazione finale. E in tal senso che l'apparente automaticità di una risposta istintiva di un invertebrato può costituire già un sistema oltremodo complesso, in cui parecchi circuiti cibernetici si riscontrano ordinati in senso verticale nell'intento di corrispondere ad una regolarità di significato fissata nel codice genetico. Col progredire della complessificazione le prospettive di significato si sovrappongono non solo in verticale, ma pure in senso orizzontale: l'ampiezza crescente della informazione abbracciata non riesce più ad essere contenuta in un unico programma di risposta finale. L'alternativa della decisione si impone gradualmente alla rigidità delle risposte, il che corrisponde ad un aumento progressivo di alternativa nella decodificazione finale del significato sempre più vasto e sempre più complesso. A questo punto la condotta passa da un registro automatico ed istintivo ad una scelta soggetta ad un processo ulteriore di comparazione e decisione. Il passaggio graduale da un sistema chiuso in cui l'informazione emessa ad ogni istante è una funzione diretta di una decodificazione univoca dell'informazione ricevuta, ad un sistema aperto in cui l'informazione ricevuta è suscettibile di una decodificazione multipla e conseguentemente di una decisione che implica una risposta variabile anziché fissa, rappresenta la transizione dall'istinto all'intelligenza.

Questa considerazione della conoscenza e della attività decisoria che ne consegue è fondamentale per poter analizzare il passaggio da un comportamento in una teleonomia rigidamente automatica ad una forma di comportamento progettivo in una teleonomia plastica non automatica.

L'uso progettivo dell'informazione è pure determinante della stessa informazione che può anche venire ricostruita a ritroso da un lato ed emessa non solo sotto forma di messaggio ma anche sotto forma di programma generatore d'informazione. E a questo punto che il significato si può tradurre in esperienza soggettiva. L esperienza del significato del proprio significare rappresentato dalla funzione intenzionale della coscienza traduce la possibilità non solo di ricevere l'informazione e manipolarla ma di riconoscere sé stessi come sede di questa manipolazione.

Se il costrutto informazione e la rispettiva teoria si rivelano feconde per una maggior comprensione dei processi conoscitivi, la dinamica del significato (e la sua genesi e storia percorse con l'informazione) si dimostra altrettanto utile per capire le caratteristiche della coscienza. In special modo la caratteristica rappresentativa e quella strategica.

Ambedue le caratteristiche si ricollegano all'attività di simulazione o analogica. Dato che il principio teorico della cibernetica si fonda sul ritorno dell'informazione ed essendo questa l'espressione di una data forma di organizzazione, che, quando viene appresa o si fissa, diviene significato, è chiaro che il suo stesso flusso si determina secondo strutture che via via si consolidano in senso teleonomico. Ogni struttura originariamente latrice di un significato ad un dato livello si caratterizza per un sistema di rapporti. Tali rapporti si determinano come una sequenza di passi informazionali che fissandosi acquistano organizzazione e significato. Il diacronico del processo diviene struttura sincronica e come tale ripetibile. E tali strutture sono suscettibili di ridiventare passi e quindi elementi in processi, strutture di più alto livello.

In tale concezione, ad un tempo orizzontale e verticale dell'informazione, si stabilisce un continuo equilibrio di variazione ed invarianza per cui il significato va costruendosi secondo codici ad un tempo paralleli e gerarchici che offrono la base per l'organizzazione piramidale di successivi sistemi semantici che permettono di codificare l'informazione ad ogni momento, inglobando i livelli inferiori come canali-segnali rispetto alla forma finale di condotta operata.

Un fondamento del comportamento simulato o riproduzione consiste nel fatto che la ripetizione non si effettua per identità ma trattenendo solo alcuni elementi che corrispondono a funzioni invarianti del comportamento riprodotto. Tali invarianti debbono rivestirsi di un significato critico rispetto al sistema semantico che regge la decodificazione finale.

Ciò che costituisce l'atto cognitivo è la riproduzione di una data struttura di rapporti entro un linguaggio determinato dalla natura stessa del soggetto. Atto isomorfico non identico, strutturale e non composito, significativo e non meccanico. E quando si giunge per gradi a decodificare il significato stesso della operazione analogica in sè si ha la coscienza che diviene in tal momento capace di generare nuovi codici, sistemi semantici e di segnalazione.

La trasformazione stessa dell'informazione che fin dalla sua origine pareva sdoppiata in significante e significato, ha quindi raggiunto la piena reversibilità. E pure divenuta trasferibile in qualsiasi dimensione ivi compresa la produzione e proiezione all'esterno di programmi e linguaggi.

E' qui che il modello bio-psicologico, a mio avviso, interviene.

 

Di solito l'esergo, proprio per sua natura, va messo all'inizio di un discorso. Io preferisco usarlo al termine:

 

- Non posso dirti quale sia la morale di tutto ciò, ma tra un minuto forse me ne ricorderò

- Forse non c'è - s'arrischiò a dire Alice.

E no, cara - disse la Duchessa - tutte le cose hanno una morale, basta saperla trovare.

E la morale è questa: preoccuparti del significato e le parole si metteranno a posto da sole.

 

 



* Dedico questa Introduzione al mio allievo ed amico  Pier Paolo Pracca

[1] E. Nagel, La struttura della scienza, Feltrinelli, Milano, 1968, cap. XIII et XIV

[2] R.J.Nelson, Behaviorism is false?, in "The Journal of Philosophy", 14, 1969, pp. 417-452

 

[3] C.E. SHANNON, W. WEAVER, The Mathematical Theory of Communication, Un. of Illinois Press, Urbana 1949.

[4] N Wiener, The Human Use of Human Beings, Houghton Miffin Co., Boston, 1950, trad. it. Introduzione alla cibernetica, Boringhieri, Torino, 1966, p.119. Cibernetica, Il Saggiatore, Milano, 1968, Dio & Golem Co., Boringhieri, Torino, 1969

[5] J. BAR-HILLEL, An Examination of Information Theory, “Philosophy of Science”, 1955. p. 97

[6] D. MAC KAY, The place of meaning in the teory of information, “B.J.P.S.”, 1953. p. 215


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