Cibernetica, significato e biologia*
Il mutamento terminologico, nell'ambito della
denominazione delle scienze umane, da "teorie del comportamento" a
"teorie dell'interazione", non è avvenuto senza ragione ed è coinciso
con un radicale mutamento concettuale nel modo di impostare il problema della
caratterizzazione dell'identità dell'uomo che fosse ad un tempo
"scientifica" e specifica. Il punto di svolta che ha determinato tale
modificazione può essere collocato nell'utilizzazione di una
"modellistica" basata sugli schemi concettuali della teoria della
comunicazione.
Che il problema dell'identità
dell'uomo sia un tipico problema filosofico e che, come tale, possa far correre
alle scienze umane il rischio di trasformarsi inavvertitamente, in filosofie
morali è obiezione troppo nota per non dover essere tenuta in considerazione, e
basterà ricordarne come esempio la formulazione notissima di E. Nagel:
"Gran parte della 'teoria sociale' è filosofia morale o sociale piuttosto
che scienza sociale ed è costituita in larga parte da riflessioni sulla natura dell'uomo,… mentre in nessun settore della
ricerca sociale esiste un corpo di leggi generali ben fondate paragonabili alle
teorie delle scienze naturali quanto a vastità di potere esplicativo o a
capacità di formulare predizioni precise e degne di fiducia"[1].
Questa impostazione è sintomatica
di quello stato di cose per cui le discussioni circa la possibilità di
impostare adeguatamente le scienze dell'uomo (medicina, psicologia, sociologia,
storia …) si collocano, quasi sempre, a livello di "costruzione delle
teorie" dimenticando che questo problema è subordinato a quello
preliminare della "formazione dei concetti". Con ciò non si vuole
certo affermare che nelle scienze umane non si sia operato alcun lavoro
preliminare di formazione dei concetti, ma solo che tale lavoro è avvenuto in
modo, quasi esclusivamente, implicito: o assumendo, senza adeguata analisi del
loro significato, alcuni predicati-base o prendendoli a prestito da altre
discipline senza tener conto dell'indispensabile cautela metodologica che
impone di considerare la fondamentale natura contestuale di questi termini ed
il rischio dell'equivocità, inevitabilmente connesso a simili "prestiti"
di termini predicativi
Nel primo caso si sono dati per scontati, volta per
volta, i risultati delle varie antropologie filosofiche e, nel secondo, s'è
giocato sul terreno del riduzionismo.
Quel che è certo, comunque, è che le scienze umane in
ogni caso hanno finito con l'assentire ad una antropologia filosofica
costruendola esse stesse (in questo senso ha ragione il Nagel a parlare di
"riflessioni generali sulla natura
dell'uomo") o assumendo l’aforisma democriteo: "L'uomo è quello
che sappiamo", interessandosi poi solo al suo "operare". In
altri termini, si è affermato o che l'operare consegue dall'essere (ma non ci
si è sforzati adeguatamente nel chiarire la natura di tale "essere" e
le connessioni di questa col suo operare), oppure che l'operare coincide esattamente
con l'essere. Nel primo caso, si è giocata la determinazione della natura
dell'uomo su predicati di tipo mentale o fisico nel senso o del monismo, sia
materialista che spiritualista, o delle varie forme dualistiche (di cui solo
quelle affermanti l'irriducibilità ultima di una classe di predicati all'altra
possono essere, a buon diritto, rubricate come dualistiche); nel secondo caso,
pur nell'apparente disinteresse per la natura dell'uomo, lo si è di fatto
determinato come una "scatola nera" giungendo, sia pur
inconsapevolmente, a sostenere un'affermazione dogmatica del tipo che la natura
di tale scatola nera coincide con la sfera delle sue manifestazioni
comportamentali.
Questo stato di cose altro non è, in definitiva, che
la proiezione di quel necessario requisito di cui ogni teoria scientifica deve
godere, ossia di essere un linguaggio che parla di un universo di
"oggetti". Nel caso delle scienze dell'uomo, quindi, l'insieme dei
predicati-base che sono serviti alla costituzione del "loro universo
d'oggetti" è coinciso esattamente con l'insieme di quei predicati che sono
stati usati, nella storia del problema antropologico, per la determinazione
dell'identità dell'uomo.
E necessario accennare brevemente la funzione svolta
dal problema della determinazione dell'identità dell'uomo nella costruzione
delle scienze umane, al fine di ricalibrare meglio quel problema che appare
oggi primario, ossia quello di un'esatta "costruzione delle teorie",
premessa indispensabile per applicare ad esse la logica della spiegazione
scientifica.
L'annosa diatriba, nell'ambito della metodologia
delle scienze umane, fra i difensori del modello della legge di sussunzione ed
i negatori di tale modello si innesta sul terreno della polemica fra
materialismo e mentalismo e basterà tenere presente, quale significativo
esempio in proposito le profonde radici idealistiche dello storicismo e quelle
altrettanto profonde dei materialismo positivistico. Se poi si tengono presenti
anche i grandi punti di disaccordo fra la gnoseologia idealistica e quella
positivistica, si coglieranno con particolare facilita le ragioni della
dicotomia, ancora oggi esistente, fra le differenti costruzioni delle scienze
dell'uomo. La continuazione della linea di pensiero diltheyana raggiunge, via
via, la consapevolezza che la differenza fra il nomotetico e l'idiografico si
installa come differenza fra nessi di causa e nessi di significato o, in altri
termini, fra segni fisici sedimentati e causalmente connessi e linguaggio
vivente, vita psichica attiva.
La differenza fra natura e società è riportata cioè
alla più arcaica radice del concetto di causa: quella in cui essa significa,
ancora prima che generazione di eventi (modello positivistico), norma
dell'azione e fine da raggiungere (modello idealistico). In tal modo, entrambe
le concezioni potranno rivendicare la loro patente di scientificità e
richiamarsi addirittura, ciascuna secondo il suo proprium, al paradigma della
spiegazione causale, quindi, che quest'ultima osservazione introduca
un'obiezione decisiva contro la posizione di coloro che vorrebbero togliere
alle scienze dell'uomo la patente del "rigore scientifico" basandosi
esclusivamente sulla dichiarazione che solo le scienze della natura possono
ammettere tra i loro strumenti esplicativi l'uso della spiegazione causale. In
ogni caso senza voler scomodare una tipica tematica filosofica, qual'è quella
della fondazione ed analisi storico-strutturale del concetto di causa, già ad
una immediata osservazione epistemologica sulla struttura della scienza ci si
accorge come la prospettiva del "rigore", ormai codificata nello
schema: dati - ipotesi esplicative - verifica, "non privilegi in linea di
diritto alcuna scienza".
Nel momento in cui si comprende questo fatto, si
capisce per davvero che la strada maestra che apre alle dottrine sull'uomo,
l'orizzonte della scientificità, passa attraverso la fissazione dei criteri
operativi di oggettivazione o in altre parole attraverso l'esplicitazione
dell'insieme dei predicati-base che costituiscono l'universo d'oggetti di
quella determinata scienza. Peculiare, sotto questo aspetto è il problema posto
dall'osservazione che l'uomo è allo stesso tempo soggetto ed oggetto della
ricerca. Nel momento in cui, pero, si chiarisce tale presunta aporia,
distinguendo l'uomo cosa dall'uomo oggetto e di conseguenza si supera
l'obiezione dell'alterazione del dato attraverso l'osservazione, questo impone
per davvero la fissazione dei criteri operativi per la determinazione
dell'oggetto uomo, diversamente l'obiezione resterebbe e diverrebbe decisiva.
Va comunque osservato che i criteri operativi,
elaborati dalle varie teorie antropologiche, per la determinazione dei
predicati - base su cui definire l'uomo, pur non contravvenendo alla esigenza
di una corretta opera di formazione dei concetti, restano metodologicamente
utili finché operano nel campo dell'antropologia filosofica, mentre mostrano la
loro povertà quando vengono passati di peso alle scienze del comportamento.
L'inspiegabilità di certi fenomeni, nelle scienze umane, credo sia da
addebitarsi alla ristrettezza del campo di osservazione o per meglio dire al
fatto che l'universo d'oggetti della teoria non era abbastanza ampio da
includervi anche il contesto in cui il fenomeno si era verificato. Questo
appare chiaro proprio nel campo dell'antropologia filosofica dove l'individuo
viene considerato come una monade, o in altri termini viene determinato nel
seguente modo: si isolano delle particolari attività (talvolta anche soltanto
comportamenti) esibite dall'uomo e ci si occupa della natura di tale
condizione. In senso esteso ci si preoccupa della natura dell'individuo uomo,
oggettivato mediante quei predicati, tipici della filosofia della mente.
L'estensione dell'universo d'oggetti dell'antropologia filosofica, che in senso
lato include solo manifestazioni di proprietà ed attributi dell'individuo
singolo, ad un universo di oggetti che include anche gli effetti di tali
proprietà ed attributi su quelle di altri individui e, cosa fondamentale, anche
l'intero contesto entro il quale tali effetti avvengono, porta necessariamente
in primo piano il problema del vincolo veicolo di tali manifestazioni: la
comunicazione. E in questo senso che il mutamento terminologico da scienze del
comportamento a scienze dell'interazione può e deve essere motivato e tale
motivazione va necessariamente ricondotta ad una interpretazione dei risultati
della teoria dell'informazione che tenga conto, oltre che dell'orizzonte
sintattico e semantico, anche e precipuamente di quello pragmatico.
Userò, infatti, nel corso di queste pagine, i termini
comportamento e comunicazione come se fossero sinonimi, seguendo in ciò una
tipica lettura cibernetica: quella, cioè, che vuole ogni comportamento come una
trasmissione, da parte del soggetto che si comporta di un messaggio o configurazione
di segnali, esprimente il particolare stato in cui tale soggetto si trova in
quel momento. Intenderò invece per interazione qualcosa di più e cioè non solo
l'invio di una configurazione di segni da parte dell'emittente o per meglio
dire le azioni del comportamento, ma anche la modificazione della sintassi e
della semantica del ricevente prodotte dall'emittente e l'intera modificazione
del contesto interpersonale, o dell'intero ambiente in cui avviene la
comunicazione.
A questo la più tipica delle teorie del
comportamento, il behaviorismo, non ha mezzo di arrivare.
Da un lato il comportamentismo analizza il
comportamento come un quid che fa parte della natura del soggetto individuale e
non della natura dell'intero contesto entro cui avviene e secondariamente il
rapporto retroattivo, tipico della catena interattiva, sta fuori portata della
metodologia behaviorista. A questo riguardo, la più peculiare delle ipotesi
behavioriste sulla natura dell'uomo, il modello dell'equazione uomo-automa,
proposta da quelle scuole macchiniste che si rifanno all'ipotesi di Turing, è
stata dimostrata incapace di descrivere il comportamento di un automa e quindi,
a maggior ragione, il comportamento dell'uomo, anche quando si fosse dato per
dimostrato che ogni comportamento animale è un comportamento automatico. La
dimostrazione completa di questo fatto è ottenuta dal Nelson[2]
portando di peso il linguaggio del behaviorismo in una teoria descrittiva del
comportamento delle macchine di Turing. A grandi linee il procedimento del
Nelson consiste nell'analizzare se sia sostenibile la posizione behaviorista
che esclude dal proprio linguaggio il riferimento agli stati interni di un
automa, quando questi siano eliminabili per esplicita definizione o per
sentenza di riduzione in termini di stimolo-risposta o in altri termini
osservativi. Dall'esame di tutte le possibilità che si presentano emerge che
gli stati interni non sono riconducibili nè alle variabili intervenienti, nè
alle variabili disposizionali semplici o complesse, nè sono definibili
univocamente nei termini fisici o biologici. Allo stesso tempo, un linguaggio,
tanto povero di termini teorici e che non contiene termini per stati interni,
non riesce a descrivere neppure il comportamento di un trasduttore finito, che
poi è la macchina di Turing più semplice, proprio perché non riesce ad
esprimere il feedback.
Il passaggio quindi, da una teoria del comportamento
ad una teoria dell'interazione può essere vista come una modificazione
concettuale della teoria della comunicazione ottenuta spostando il «punto di
vista» dal rapporto trasmettitore-segno e ricevitore-segno al rapporto
trasmettitore-ricevitore in quanto mediato dalla comunicazione.
Una tale modificazione del «punto di vista» comporta
una modificazione degli schemi concettuali con cui interpretare i risultati del
calcolo dell'informazione o meglio di quella teoria formalizzata che
solitamente viene denominata: «teoria matematica dell'informazione».
In questa analisi la teoria formale consiste dei
seguenti elementi:
a) Due insiemi di numeri:
S = {s1,......... sn} ed R= {r1............... rm} i quali
soddisfano alle seguenti condizioni:
b) Due funzioni: f (si,
rj) e g (si, rj) dove si Î S ed rj
Î R le quali soddisfano alle seguenti condizioni:
In tale teoria formale vengono sviluppate:
1) Le proprietà e le relazioni del logaritmo negativo
dei numeri:
si, rj, f(si,
rj), g(si, rj),
2) Le medie ponderate di numeri quali:
3) I limiti a cui queste medie tendono quando n ed m
vanno all'infinito.
Se ora interpretiamo: sj
come la frequenza relativa delle emissioni dell'i-esimo segnale scelto fra
tutti i segnali che sono a disposizione di una certa stazione trasmittente, rj
come la frequenza relativa delle ricezioni del j-esimo segnale, preso tra
i segnali che arrivano ad una certa stazione ricevente, (sj, rj)
e g (sj, rj) come la frequenza relativa condizionale fra
gli s j e gli r j, diremo di aver interpretato il nostro
calcolo nei termini di una teoria statistica: la cosiddetta teoria matematica
delle comunicazioni. Se ora, invece, prendiamo due insiemi esaustivi di eventi:
H = {hi ... hn} e K = {ki.... km}
tali che data una certa evidenza E, accadano esattamente uno ed uno
solo degli n h j e m k j ed interpretiamo s j come
la probabilità logica o grado di conferma degli h j su E ed r j
come il grado di conferma dei k j su E , - log s i
come la misura del contenuto di h i, come la misura del contenuto medio degli
eventi, (similmente possiamo interpretare -log rj e diremo di aver interpretato il nostro calcolo
nei termini di una teoria logico-induttiva: la cosiddetta teoria semantica
dell'informazione.
Se infine interpretiamo S ed R rispettivamente come
l'insieme dei possibili stati-comportamento della matrice di probabilità
condizionale del trasmettitore e del ricevitore, s i ed r j
rispettivamente come l'i-esimo comportamento e j-esimo comportamento della
catena comunicativa, e f(si, rj), g (si, rj)
come funzioni selettive che estraggono un certo messaggio (o comportamento)
dell'insieme degli stati delle matrici S ed R, diremo di aver interpretato il
nostro calcolo nei termini di una teoria del comportamento: la cosiddetta teoria pragmatica dell'informazione.
Ovviamente, in ognuna di queste teorie potrebbero
essere sviluppate nozioni come quella di rumore, ridondanza, capacità del
canale, codice, efficienza della codificazione...
Detto ciò potrebbe valere la pena
di esprimere, a livello meta comunicazionale, alcune fondamentali proprietà del
rapporto interattivo. Tale rapporto gode di una proprietà ovvia e banale, ma
fondamentale, e cioè che la comunicazione non ha un suo opposto o in altri
termini che è impossibile non comunicare. Questo fatto davvero palmare è una
proprietà troppo generale, in quanto ci costringe ad affermare che la
comunicazione ha comunque luogo, sia che tra i termini della catena informativa
vi sia o meno comprensione, consapevolezza di comunicare, efficacia dell'atto
intenzionale ecc., tanto che il termine «comunicazione» verrebbe a designare un
generico contesto entro il quale avvengono i fenomeni e sarebbe quindi
pleonastico dell'espressione «ambito delle manifestazioni fenomeniche».
Analoga situazione si è prodotta nel caso della
comunicazione shannoniana, in cui
l'estrema distillazione del termine lo ha reso sinonimo del concetto matematico
di probabilità. A questo livello non si riesce quindi a denotare il rapporto
fra la sfera del fenomenico e quella del fenomenologico. E proprio questo,
pero, il problema che riveste per noi l'interesse primario, in quanto ripropone
da un lato il problema dell'identità dell'uomo e dall'altro il problema del
rapporto fra il conoscere ed il fare.
Ci troviamo quindi costretti a procedere nell'analisi
esprimendo un ulteriore asserto metacomunicazionale, fornito di alta evidenza
fenomenologica: <Ogni comunicazione Si presenta sempre sotto il duplice
aspetto di notizia (informazione) e di comando (determinante della
condotta)>. In altri termini, ogni comunicazione si presenta come un
rapporto dialettico fra il conoscere e l'agire ossia fra l'organizzazione dei
dati e la determinazione della condotta.
Questo fatto riveste una notevole importanza
metodologica e cioè ci impone di continuare l'analisi e chiarire quali rapporti
intercorrono fra il continuo flusso di segnali ineluttabilità della
comunicazione e la loro organizzazione in messaggi (notizie) ed i rapporti che
intercorrono fra le notizie e le modificazioni che queste impongono al contesto
in genere ed ogni elemento del contesto in particolare e cioè sull'intero
flusso di segnali e non su di una particolare configurazione.
Dire questo significa, a grandi linee, trattare il
problema della relazione fra gli aspetti sintattici, semantici e pragmatici
della comunicazione.
Già fin dal 1949 C.E. Shannon e N. Weaver[3],
in analogia alla sistemazione morrisiana della semiotica in sintassi, semantica
e pragmatica, classifico l'intero campo della teoria della comunicazione in
tre parti:
a) il problema tecnico (correttezza della trasmissione)
b) il problema semantico (in senso lato il rapporto fra insieme di segnali e configurazione del
messaggio)
c) il problema effettuale (le interazioni comportamentali provocate
dal messaggio, fra ricevitore e trasmettitore).
Per lungo tempo solo l'aspetto a) è stato considerato
in grado di venire teorizzato mediante un'opportuna teoria matematica: la
teoria dell'informazione. In effetti, tale teoria non ha rappresentato solo la
formalizzazione del problema tecnologico della trasmissione dei segnali, ma ha
svolto un fondamentale ruolo teoretico nella costruzione della scienza
contemporanea ed a tal fine basterebbe solo ricordare la funzione della nozione
matematica di informazione in termodinamica, in biologia, in statistica e fondamentalmente
in cibernetica.
In tale panorama concettuale né il problema b) né il
problema c) hanno avuto diritto di cittadinanza, fintantoché la cibernetica non
si è posta come «teoria della comunicazione nell'animale e nella macchina». Ora
l'applicazione della teoria matematica delle comunicazioni al comportamento
comunicativo, o più semplicemente al comportamento, implica sia la trattazione
del problema del riferimento dei segni ai propri designati, sia la trattazione
dell'interazione fra i membri appartenenti alla catena comunicativa. Riguardo
al problema semantico si assiste a due opposte tendenze: o l'abbandono di ogni
pretesa di trattare con il significato, o la pretesa che il problema fosse già
risolto all'interno della teoria statistica dell'informazione.
La prima posizione viene sostenuta dai teorici puri
dell'informazione che partono dalla consapevolezza di quello che è l'universo
d'oggetti della teoria, universo a cui il concetto di significato non
appartiene; gli aggettivi usati da C.E.Shannon.., ad es.. riguardo il rapporto
fra il problema del significato e la teoria statistica della comunicazione sono
«vago, pericoloso, soggettivo».
In un primo tempo afferma la misurabilità della
quantità di significato di un messaggio, proponendo come criterio semantico
l'imprevedibilità: quanto più un messaggio è imprevedibile, tanto più è
significante: l'emergenza dell'irregolare nella regolarità è il suo criterio
semantico o in altri termini la significanza è rilevata nello stagliarsi di una
struttura su di un insieme omogeneo.
D'altro canto N.Wiener[4], ben consapevole che la condizione
essenziale dell'utilità dei modelli cibernetici, da lui proposti per la
determinazione dell'identità dell'uomo, passa attraverso la dimensione
semantica del linguaggio, prende effettivamente in considerazione il problema
del significato e sembra voler tener distinti gli aspetti semantici da quelli
sintattici e pragmatici.
La sempre maggior definizione nel rapporto di
diversificazione dall'omogeneo, produce una gerarchia di strutture sempre più
significanti. L'impostazione di questo discorso, fuori dal luogo comune: «più
originale: più significante» deve tener conto del rapporto
trasmettitore-ricevitore. Il trasmettitore, sapendo in anticipo quel che vuol
dire, può organizzare il suo pensiero mediante le leggi della logica; il
ricevitore, al contrario, tentando di immaginare quel che ascolterà non
cercherà di descrivere la propria conoscenza, ma la propria ignoranza
rifacendosi alle leggi del caso.
Ovviamente, costui non sarà impressionato dalla
conferma della propria ignoranza, ma dalla novità della propria conoscenza.
Sotto questo aspetto, per N.Wiener, la teoria dell'informazione diviene il
sinonimo della fenomenologia della conoscenza. La conoscenza del proprio stato
di equilibrio, poi, confrontata ad un progetto teleologico verso il futuro (il
mantenimento di tale equilibrio in situazione di instabilità continua), funge
da progetto di condotta e quindi da determinante dell'azione.
Chi si inserisce fra queste due posizioni sono alcuni
epistemologi[5], che
propongono l'interpretazione del calcolo della teoria statistica della
comunicazione sull'universo d'oggetti della logica induttiva, o per meglio dire
sull'aspetto logico o keinesiano piuttosto che su quello frequentista del calcolo
delle probabilità, formulando quella che verrà detta: teoria semantica
dell'informazione.
A grandi linee, questa teoria è espressa in un
metalinguaggio di un osservatore esterno alla catena comunicativa e considera
un messaggio come costruito da proposizioni atomiche che asseriscono che un
particolare individuo, di un insieme finito di individui, gode di un insieme
finito di particolari proprietà.
L'interpretazione della probabilità come estensione
dell'implicazione necessaria porta a considerare l'informazione come una
proprietà logico-operativa del linguaggio e cioè a porre l'accento sulle
probabilità ammesse dalle risorse espressive del linguaggio, piuttosto che alla
probabilità dell'accadere dell'evento espresso in quel linguaggio.
L'interpretazione, infine, del calcolo dell'informazione sull'aspetto
soggettivistico della probabilità apre le porte alla trattazione di una teoria pragmatica dell'informazione, la
quale diviene «la logica del grado di credenza e delle sue possibili modifiche
alla luce dell'esperienza». Le funzioni selettive che estraggono un messaggio
(rappresentazione di uno stato comportamentale) da un insieme di messaggi
(insieme delle rappresentazioni dei possibili stati comportamentali), proposte
da D.Mackay[6] sono la
prima quantificazione del problema pragmatico.
Ci si potrebbe domandare ora come si potrebbe
impostare quel problema dei rapporti fra sintassi, semantica e pragmatica, con
il quale abbiamo aperto quest'ultima parte del nostro discorso.
In definitiva il duplice aspetto di
ogni informazione: notizia e comando, con il conseguente circuito retroattivo,
sembra rappresentare non soltanto lo schema concettuale più utile per unificare
la nostra tripartizione, ma anche per impostare il problema dell'interazione.
In tale problema il concetto filosofico di intenzionalità gioca un ruolo
determinante, sia nel suo aspetto gnoseologico della identità intenzionale fra
soggetto ed oggetto, che in quello morale della motivazione alla realizzazione
dell'atto pratico.
La cibernetica inizia là dove
cessa la fisica.
La frontiera fra le due discipline
viene innalzata nel punto in cui si opera una estensione del sistema
concettuale della meccanica classica mediante l'uso delle nozioni di feedback e
informazione. Il sistema fisico viene concepito come caratteristico per il suo
flusso di energia ed inviato senza ritorno. Il sistema cibernetico viene
concepito come caratteristico per il feedback: ad ogni informazione si ha un
ritorno che permette di regolare in qualche modo il flusso dell'informazione
seguente.
Storicamente tale sistema coincide con l'apparire
della vita sulla terra; a livello biologico e sin dalle più elementari forme di
vita si verifica uno scambio con l'ambiente circostante, e tale sistema di
scambio esige un meccanismo operativo di complessità crescente in accordo con
l'evoluzione stessa.
In qualsiasi passo dell'evoluzione si registra,
rispetto al precedente, il risultato di un volume maggiore di comunicazione dal
quale un crescente dominio della natura. Fondamentale, a tal fine un principio
di organizzazione e controllo dell'informazione, costrutto che per la sua
stessa ampiezza merita un esame epistemologico.
Ammettiamo che a livello fisico non vi sia un ritorno
e che l'emissione si effettua nel senso dell'energia e non dell'informazione.
In tal caso un oggetto, diciamo un atomo A, potrebbe emettere una particella
nucleare che raggiunto un altro oggetto, diciamo un atomo B, ne provocherebbe
una modificazione, l'oggetto A non ricevendo informazione di ritorno, avrebbe
emesso semplicemente energia.
Due osservazioni sono fondamentali: in primo luogo,
in linguaggio cibernetico ogni oggetto del mondo empirico che possa divenire
soggetto di qualsiasi comportamento può essere descritto come una macchina (sia
naturale che artificiale). In secondo luogo, qualsiasi emissione di
informazione produce necessariamente un ritorno, sia pur attraverso la
modificazione del contesto-ambiente. E necessario approfondire tali
osservazioni. Per quel che riguarda il concetto di macchina e ammettendo la classica
distinzione «macchina puramente energetica» e «macchina cibernetica o
informazionale» si dovrebbe concludere che nella prima l'azione si riduce a
puro flusso di energia non controllata da qualsiasi meccanismo di ritorno, e
nella seconda vi sarebbero sistematicamente tali meccanismi atti a regolare il
comportamento ad ogni istante, grazie all'informazione ricevuta in tal modo.
In tale prospettiva la macchina
energetica sarebbe quindi atta ad operare energia e si ispirerebbe a modelli
fisici, mentre la macchina cibernetica ispirata a modelli biologici, sarebbe
rivolta alla manipolazione ed al controllo dell'informazione. L'uso della
energia fisica in tali macchine, pur esistendo verrebbe ridotta a semplice
attività strumentale. Il dato fisico diverrebbe puro segnale atto a scatenare
questa o quella condotta e come segnale, interpretato e decodificato da qualche
organo.
Ma è appunto questa scissione del
dato fisico, della macchina energetica, del flusso stesso dell'energia, da un
lato rispetto al fatto governato dal feedback, dall'altro rispetto alla
macchina cibernetica e al flusso dell'informazione, che dovrebbe essere oggetto
di riflessione.
Non costante l'accettazione
universale di tale dicotomia, un simile salto concepito come discreto, offre
innumerevoli dati che porterebbero a concepirlo come un sistema di variazioni
continue, anche se sistematicamente soggette a momenti effettivamente discreti,
coincidenti con una progressiva organizzazione dell'informazione stessa.
Nel caso dell'oggetto A, che invia energia
all'oggetto B, si può supporre l'inesistenza di un feedback, ma bisogna
ammettere una comunicazione. Qualsiasi macchina che emette informazione la
emette sotto forma di segnale. Spetta alla macchina ricevente di decodificare
il segnale e conseguentemente di modificarsi e rispondere. Ora l'oggetto A
invia una informazione, già codificata sotto forma di energia e che come tale
viene decodificata dall'oggetto B che riceve il segnale e di conseguenza si
modifica.
Questo amplifica il costrutto informazione la cui
generalità potrebbe dilatarsi sino ad inglobare il costrutto di energia, di per
sé già dotato di ampia generalità.
L'energia potrebbe ridursi ad una delle infinite
forme di linguaggio in cui l'informazione potrebbe essere codificata,
trasmessa, decodificata. Non più quindi un semplice supporto atto a canalizzare
l'informazione, ma la più elementare delle forme di linguaggio.
Quel che si vuole sostenere è che è possibile
eliminare l'esistenza qualitativa fra «canale» e «messaggio» e fra «segno» e «significato»
alla stessa stregua che fra «contenuto» e «forma» in logica, ove la
reversibilità diviene evidente a seconda della posizione relativa che ora l'uno
ora l'altro possono assumere.
Essenziale è capire che il significato
dell'informazione ad ogni connessione e sconnessione si scinde in una duplice
dicotomia: rispetto all'oggetto di segnale
significante e di messaggio
significato (in cui il segnale è il veicolo o canale del messaggio stesso)
e rispetto al soggetto (sia il ricevente che l'emittente) di codificazione e
decodificazione.
In tal modo l'informazione si riveste in maniera
proteiforme, d'accordo con le successive possibilità di codificazione e
decodificazione delle diverse macchine naturali o artificiali - capaci di
trasmetterle o di riceverle.
Un segno-canale è sempre codificato e decodificato
secondo successive connessioni o sconnessioni e ad ogni salto ciò che a livello
precedente era semantema diviene segno. In tal modo l'informazione stessa si
trascende continuamente nella sua dinamica.
E' essenziale però comprendere che tali salti pur
avendo valore discreto effettivo - a misura che corrispondono a strutture
definite e definibili secondo sistemi auto regolabili (scrittura, voce,
linguaggio, rappresentazione...) si effettuano in modo unitario in senso
fenomenologico.
Secondo N.Wiener ciò che qualifica
l'essere vivente nei confronti della natura è che a differenza di questa nel
vivente vi è una tendenza verso l'informazione, l'organizzazione e non verso
l'entropia, il disordine. Così dagli esseri inferiori, dai protofiti ai
protozoi fino alle specie più elevate ciò che caratterizza l'evoluzione stessa
è il flusso crescente di informazione come sistema di organizzazione
reversibile atto ad acquisire crescente autocontrollo di ritorno fino a raggiungere
quella forma di piena reversibilità che è il pensiero cosciente. In tal modo
l'omogeneità (o meglio la tendenza a) del mondo fisico è superata da esseri
capaci di manipolare l'informazione emessa e ricevuta nel senso di modificare
continuamente l'ambiente e modificarsi al medesimo tempo grazie ad un ritorno
continuo dell'informazione, sviluppando organi di ricezione e trasmissione
sempre più complessi e programmando comportamenti sempre più adeguati. Se
l'evoluzione della specie è il risultato di un aumento progressivo del sistema
di circolazione della informazione, ciò che rende possibile tale aumento è un
processo accumulativo per cui la informazione può passare da una generazione
all'altra sotto forma di un programma fissato per gradi successivi
filogeneticamente: ogni grado corrisponde ad un acquisto, ad un dominio
nell'organizzazione della informazione.
Consideriamo tale programma per
l'aspetto di ontogeneticamente innato.
Interessante a questo riguardo è la costruzione di un
vero linguaggio in cui le lettere sono da un lato le 4 strutture fondamentali
degli acidi nucleici A.G.C.T (Adenina, Guanina, Citosina, Timina) nell'ADN
e AGCU (uracile invece di timina) nell'ARN, e dall'altro i venti radicali
aminoacidi. L'acido ribonucleico diviene quindi un canale atto a trasportare
l'informazione contenuta e contenibile in un gene.
In tal modo diviene possibile fissare
in una primordiale scrittura l'esperienza e trasmetterla attraverso un sistema
organizzato che è la macromolecola, punto di partenza verso la cellula viva;
ma tanto la macromolecola, quanto la cellula che gli succederà, trasmettono
una esperienza che è in fondo un sistema di organizzazione ossia di informazione
che sono riuscite a creare su una base di energia fisica, la quale a questo
punto diviene canale rispetto ad una forma di significato più complesso.
La manutenzione e la regolazione
di tale sistema è il fondamento dell'evoluzione biologica, e per spiegare tale
evoluzione, Jacques Monod introduce un concetto prettamente cibernetico, quello
di teleonomia.
La teleonomia come finalità risultante dall'ordine
raggiunto costituisce il principio regolatore e conservatore di questo ordine.
Il finalismo che si genera non è trascendente ma è la finalità che si
stabilisce nel rapporto mezzi-fini. In altri termini l'informazione stabilitasi
può suscitare un sistema che la perpetua attraverso meccanismi regolatori. In
tal modo la teleonomia corrisponde ad un progetto interno capace di determinare
il comportamento di una macchina secondo un sistema di circolazione
dell'informazione. L'importanza di un simile principio sia a livello cognitivo
che evolutivo dell'individuo e della specie è di per sè evidente.
In primo luogo è facile comprendere che in ragione di
simile principio si opera una conservazione della regolarità informazionale che
si è potuto stabilire: in tal modo le associazioni a livello molecolare che il
Monod descrive, una volta prodottasi per semplice casualità fissano rapporti e
valenze che regolano le associazioni successive e funzionano da feedback
embrionali atti a riconoscere le
sostanze con cui entrano in contatto, e a discriminare
la possibilità di stabilire ulteriori rapporti. A ciò si deve il linguaggio
del codice genetico già menzionato, scritto in lettere di radicali chimici, e
capace di agire similmente ad un programma che determina i passi successivi. In
tal senso compete all'acido ribonucleico trascrivere attraverso i radicali di
basi azotate combinati coi radicali aminoacidi, un vero programma. A tale
programma si deve, fra l'altro, in ogni essere vivente, un sistema capace di
regolare la sintesi degli enzimi e in genere, la sequenza delle strutture
proteiche globulari. In tutto ciò l'invariante fondamentale a livello biologico
si rivela l'ADN, latore biochimico di una capacità specifica: la replica,
stabilita mediante due sequenze doppie identiche, traducibili in ARN, principio
essenziale del gene ereditario.
Tale regolarità teleonomica è
quindi informazionale nel senso che ogni passo è riconoscimento del significato
implicito in ogni rapporto e, allo stesso tempo, creazione di un significato
attribuito ad ogni rapporto. Si può dire che ogni significato è la regolarità
stessa del principio invariante che si è stabilito e tende a perpetuarsi. Vale
a dire un evento storico. Una volta acquisita la regolarità questa agisce come
significato trasmissibile. Su questa origine storica del significato come punto
d'incrocio del variabile e dell'invariante ho già discusso altra volta.
Su questa base si può cercare di
riprendere in considerazione quella determinazione della informazione come
organizzazione dei dati e determinante della condotta.
Un tal determinante è già riscontrabile al di sotto delle strutture biochimiche. Si evolve secondo il principio della classificazione sia di ordine tecnico per cui il circuito dell'informazione inizialmente limitato al riconoscimento della segnalazione diviene più complesso e dotato di regolatori atti a controllare l'informazione stessa, filtrandola, conservandola sotto forma di codici memoria, combinandola e via dicendo, sia di ordine funzionale il che risponde ad un progressivo aumento degli obiettivi della condotta evolvente, con il conseguente sdoppiamento progressivo dei significati che, moltiplicandosi si sovrappongono. Tutta l'evoluzione è suscettibile di una descrizione di tal genere.
Sin dalla macromolecola al protofito, al protozoo,
ciò che si sviluppa sono i circuiti di informazione, interni ed esterni, che
moltiplicano le situazioni significative atte ad esser percepite, e
conseguentemente la risposta che ne risulta, cioè l'informazione emessa. Quanto
minore è l'organizzazione e quindi il sistema sintattico e semantico della
struttura informativa tanto più immediata, diretta e semplice è la risposta.
Col procedere dell'evoluzione si verifica un crescente sviluppo della macchina
nel senso di una complessificazione di tipo piramidale e conseguente aumento
dei processi di mediazione delle codificazioni e decodificazioni intermediarie
che si interpongono a guisa di canali-segnali fino alla decodificazione finale.
E in tal senso che l'apparente automaticità di una risposta istintiva di un
invertebrato può costituire già un sistema oltremodo complesso, in cui parecchi
circuiti cibernetici si riscontrano ordinati in senso verticale nell'intento di
corrispondere ad una regolarità di significato fissata nel codice genetico. Col
progredire della complessificazione le prospettive di significato si
sovrappongono non solo in verticale, ma pure in senso orizzontale: l'ampiezza
crescente della informazione abbracciata non riesce più ad essere contenuta in
un unico programma di risposta finale. L'alternativa della decisione si impone
gradualmente alla rigidità delle risposte, il che corrisponde ad un aumento
progressivo di alternativa nella decodificazione finale del significato sempre
più vasto e sempre più complesso. A questo punto la condotta passa da un
registro automatico ed istintivo ad una scelta soggetta ad un processo
ulteriore di comparazione e decisione. Il passaggio graduale da un sistema
chiuso in cui l'informazione emessa ad ogni istante è una funzione diretta di
una decodificazione univoca dell'informazione ricevuta, ad un sistema aperto in
cui l'informazione ricevuta è suscettibile di una decodificazione multipla e
conseguentemente di una decisione che implica una risposta variabile anziché
fissa, rappresenta la transizione dall'istinto all'intelligenza.
Questa considerazione della conoscenza e della
attività decisoria che ne consegue è fondamentale per poter analizzare il
passaggio da un comportamento in una teleonomia rigidamente automatica ad una
forma di comportamento progettivo in una teleonomia plastica non automatica.
L'uso progettivo dell'informazione è pure
determinante della stessa informazione che può anche venire ricostruita a
ritroso da un lato ed emessa non solo sotto forma di messaggio ma anche sotto
forma di programma generatore d'informazione. E a questo punto che il
significato si può tradurre in esperienza soggettiva. L esperienza del
significato del proprio significare rappresentato dalla funzione intenzionale
della coscienza traduce la possibilità non solo di ricevere l'informazione e
manipolarla ma di riconoscere sé stessi come sede di questa manipolazione.
Se il costrutto informazione e la
rispettiva teoria si rivelano feconde per una maggior comprensione dei processi
conoscitivi, la dinamica del significato (e la sua genesi e storia percorse con
l'informazione) si dimostra altrettanto utile per capire le caratteristiche
della coscienza. In special modo la caratteristica rappresentativa e quella
strategica.
Ambedue le caratteristiche si ricollegano
all'attività di simulazione o analogica. Dato che il principio teorico della
cibernetica si fonda sul ritorno dell'informazione ed essendo questa
l'espressione di una data forma di organizzazione, che, quando viene appresa o
si fissa, diviene significato, è chiaro che il suo stesso flusso si determina
secondo strutture che via via si consolidano in senso teleonomico. Ogni
struttura originariamente latrice di un significato ad un dato livello si
caratterizza per un sistema di rapporti. Tali rapporti si determinano come una
sequenza di passi informazionali che fissandosi acquistano organizzazione e
significato. Il diacronico del processo diviene struttura sincronica e come
tale ripetibile. E tali strutture sono suscettibili di ridiventare passi e
quindi elementi in processi, strutture di più alto livello.
In tale concezione, ad un tempo orizzontale e
verticale dell'informazione, si stabilisce un continuo equilibrio di variazione
ed invarianza per cui il significato va costruendosi secondo codici ad un tempo
paralleli e gerarchici che offrono la base per l'organizzazione piramidale di
successivi sistemi semantici che permettono di codificare l'informazione ad
ogni momento, inglobando i livelli inferiori come canali-segnali rispetto alla
forma finale di condotta operata.
Un fondamento del comportamento simulato o
riproduzione consiste nel fatto che la ripetizione non si effettua per identità
ma trattenendo solo alcuni elementi che corrispondono a funzioni invarianti del
comportamento riprodotto. Tali invarianti debbono rivestirsi di un significato
critico rispetto al sistema semantico che regge la decodificazione finale.
Ciò che costituisce l'atto cognitivo è la
riproduzione di una data struttura di rapporti entro un linguaggio determinato
dalla natura stessa del soggetto. Atto isomorfico non identico, strutturale e
non composito, significativo e non meccanico. E quando si giunge per gradi a
decodificare il significato stesso della operazione analogica in sè si ha la
coscienza che diviene in tal momento capace di generare nuovi codici, sistemi
semantici e di segnalazione.
La trasformazione stessa dell'informazione che fin
dalla sua origine pareva sdoppiata in significante e significato, ha quindi
raggiunto la piena reversibilità. E pure divenuta trasferibile in qualsiasi
dimensione ivi compresa la produzione e proiezione all'esterno di programmi e
linguaggi.
E' qui che il modello bio-psicologico, a mio avviso,
interviene.
Di solito l'esergo, proprio per
sua natura, va messo all'inizio di un discorso. Io preferisco usarlo al
termine:
- Non posso dirti quale sia la
morale di tutto ciò, ma tra un minuto forse me ne ricorderò
- Forse non c'è - s'arrischiò a
dire Alice.
E no, cara - disse la Duchessa -
tutte le cose hanno una morale, basta saperla trovare.
E la morale è questa: preoccuparti
del significato e le parole si metteranno a posto da sole.
*
Dedico questa Introduzione al mio allievo ed amico Pier Paolo Pracca
[1] E. Nagel, La
struttura della scienza, Feltrinelli, Milano, 1968, cap. XIII et XIV
[2] R.J.Nelson, Behaviorism is false?, in "The
Journal of Philosophy", 14, 1969, pp. 417-452
[3] C.E. SHANNON, W.
WEAVER, The Mathematical Theory of
Communication, Un. of Illinois Press, Urbana 1949.
[4] N Wiener, The Human
Use of Human Beings, Houghton Miffin Co., Boston, 1950, trad. it. Introduzione
alla cibernetica,
Boringhieri, Torino, 1966, p.119. Cibernetica,
Il Saggiatore, Milano, 1968, Dio &
Golem Co., Boringhieri, Torino, 1969
[5] J. BAR-HILLEL, An Examination of Information Theory, “Philosophy
of Science”, 1955. p. 97
[6] D. MAC KAY, The place of meaning in the teory of
information, “B.J.P.S.”, 1953. p. 215