UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
FACOLTÀ
DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
CORSO
DI LAUREA DI
SCIENZE DELL’EDUCAZIONE
ANNO ACCADEMICO 1999-2000
LAING
E IL SIGNIFICATO ESISTENZIALE DELLA SCHIZOFRENIA
Relatore:Chiar.mo
Prof. Giorgio Concato
Candidata:
Ilaria Varaldo
E una
donna domandò: Parlaci del dolore Ed egli
disse: Il
dolore è la rottura dell’involucro che racchiude
la vostra comprensione. Come il
nocciolo del frutto deve rompersi, affinché
il suo cuore possa stare al sole, così voi
dovete conoscere il dolore. Se voi
in cuore sapeste continuamente meravigliarvi
dei miracoli quotidiani della
vostra vita, il dolore non vi sembrerebbe meno
ammirevole della gioia. E
accettereste le stagioni del cuore, come
avete sempre accettato il passar delle
stagioni sui campi; E
vegliereste con serenità negli inverni del
vostro dolore. Gran
parte del vostro dolore viene scelto da voi
stessi E’
l’amara pozione con la quale il medico dentro
di voi guarisce il vostro io malato. Perciò
abbiate fede in lui e bevete il suo rimedio
in silenzio e tranquillità: Poiché
la sua mano ,sebbene dura e pesante , è
guidata dalla tenera mano dell’Invisibile E la
coppa che porge, malgrado scotti le labbra, è stata
modellata con la creta che il Vasaioha inumidito
con le sue Sante lacrime. [Kahlil Gibran, tr.it. Il
profeta Edizione Feltrinelli, Milano,
1991] |
INDICE
PREMESSA
CAPITOLO 1
LA
FENOMENOLOGIA SOCIALE
1.1 I
FATTI DELLA VITA E IL METODO SCIENTIFICO.
1.2 LA
TEORIA DELLA PERCEZIONE PERSONALE.
1.3 IL
METODO REGRESSIVO-PROGRESSIVO
LA
SCHIZOFRENIA ESPERIENZA INTELLIGIBILE
PRIMA
PARTE: MODI DI ESPERIENZA INTERPERSONALE
2.1 LA
FENOMENOLOGIA DELLA FANTASIA.
2.2 IL
BISOGNO ONTOLOGICO PRIMARIO
2.3 LA
CONDIZIONE SCHIZOIDE, E L’ELUSIONE
DELL’ESPERIENZA
2.4
SVILUPPI PSICOTICI
SECONDA
PARTE:
FORME DI
AZIONE INTERPERSONALE.
2.5 LA
RELAZIONE COLLUSIVA.
2.6
NORMALITÀ’ E FOLLIA NELLA FAMIGLIA.
2.7 LA
MISTIFICAZIONE DELL’ESPERIENZA
2.8 LA
MISTIFICAZIONE DELLA SOCIETA’
CAPITOLO 3
SCHIZOFRENIA
UN’ESPERIENZA POSSIBILE
3.1
L’ESPERIENZA PSICOTICA
3.2 LA
METANOIA.
3.3
KINGSLEY HALL.
3.4 L’ESPERIENZA PSICOTERAPEUTICA
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA.
In questa tesi tenterò di delineare il pensiero di R. D. Laing sulla schizofrenia da un punto di vista esistenziale che notevolmente si differenzia dalla visione
psichiatrica della stessa. Infatti, in questa
sede, non si vuole stabilire se sia più valida l’interpretazione psichiatrica o quella esistenziale, ma
semplicemente si intende riportare il pensiero di R. D. Laing, psichiatra
esistenziale, noto per aver aderito al movimento dell’antipsichiatria negli
anni settanta, a fianco di personaggi come D.Cooper e A.Esterson.
Il dibattito di quegli anni verteva sugli opposti versanti
della psichiatria e dell’antipsichiatria: se da una parte si tentava di individuare le cause organiche della
schizofrenia, dall’altra si cercava di dimostrare, al contrario, proprio
l’inutilità, in mancanza di prove valide, di
definire la schizofrenia stessa
come malattia della mente
mettendo piuttosto in evidenza gli effetti disabilitanti che una
tale diagnosi può comportare.
A questo proposito è interessante quanto disse Laing in un
intervista rilasciata a L.G.Comba “Quando lei mi chiede “che
cosa è la malattia mentale”, se vuol chiedermi:”ritiene necessario formulare un
tale giudizio di valore” in questo caso la mia risposta è: no.Ma se la
domanda”esiste la malattia mentale” si riferisce all’ipotesi che, quali che
siano i fattori aggravanti che una persona può trovare nell’ ambiente sociale
che la circonda, esiste da parte sua una variabile predisponente genetica a crollare in uno stato di frammentazione,
di allontanamento dal reale, che presenti i sintomi della” schizofrenia” ,
allora la mia risposta a questa domanda è che, perquanto io non abbia scelto di
sostenerla, tuttavia ritengo che si tratta di un’ipotesi legittima. Ma la
grande maggioranza della teoria e della pratica psichiatrica non si pone la
domanda, tratta l’ipotesi come un fatto,
poi opera a un livello di secondo grado.Io non sono interessato al
problema dell’ eziologia della malattia
mentale. Devo ancora convincermi che la malattia mentale esista,
indipendentemente da ipotesi e giudizi di valore“[1].
Credo che sia molto chiaro il significato di questa
citazione: Laing è interessato non alla “schizofrenia” come malattia, ma a
questo tipo di possibile esperienza dell’essere umano; è interessato cioè alla
schizofrenia secondo il significato
etimologico: Schiz
= spezzato e Phrenos = anima o cuore. “In questo senso, lo schizofrenico è chi ha il cuore spezzato, ed anche i cuori spezzati, come si sa,
guariscono, purchè si abbia abbastanza cuore da lasciarli guarire”[2].
A mio parere il pensiero di Laing è ancora oggi
riproponibile e attuale perchè il
nocciolo del suo pensiero resiste al di là del clima fortemente politico e
utopico degli anni settanta. Infatti, alla scivente, non appare affatto
decontestualizzata la sua analisi della famiglia e della società nonostante
quel momento storico sia superato; questo a significare forse la sua acuta
capacità di entrare nei meccanismi più profondi delle relazioni umane, laddove il cambiamento dei contesti storici
non ha più senso. La sua analisi
critica della società e del
metodo scientifico mi appare oggi come ieri valida.
La società e la cultura attuale, basata sulla rincorsa verso
modelli di efficienza e alte performance,
rifugge e ha paura della sofferenza psichica poichè essa appare
un assurdo ed incomprensibile ostacolo, un freno limitante al raggiungimento
di tali obiettivi, che privilegiano la dimensione esteriore ed estetica della
vita dell’uomo e da cui ne deriva una
visione parziale e riduttiva dei disturbi psichici.
In questo contesto culturale “schizofrenico” chi non riesce
a seguire il ritmo frenetico di vita è
considerato un “malato”, un’anomalia nell’equilibrio apparentemente stabile di
un tale sistema sociale.
A mio parere il razionalismo medico scientifico ha
probabilmente trascurato, per eccesso di efficienza, il significato più profondo
dell’ esistenza umana .
Laing vuole proprio
dissacrare questo razionalismo scientifico, utile in molti settori di
studio, ma non adatto alla comprensione dell’uomo e a ciò che concerne
l’esperienza umana.
Egli, con la sua esperienza di psichiatra e da un punto di
vista esistenziale, ha voluto
dimostrare che la “schizofrenia” non è un fenomeno incomprensibile di
insorgenza improvvisa e di causa sconosciuta, ma che bensì’ essa si può spiegare attraverso lo studio attento delle
dinamiche familiari; egli ha cercato di
individuare quei meccanismi
psichici ed intrapsichici che portano un individuo alla “crisi psicotica”.
In Laing la
“schizofrenia”, considerata esperienza
regressiva e patologica da una parte della comunità medica ufficiale,
diventa invece un’esperienza possibile alla pari di
altre esperienze umane; certo non una esperienza tra le più auspicabili per la
sua stessa drammaticità, ma comunque un’esperienza tra le possibili.
Partendo da tali presupposti Laing ha cercato di dimostrare che la psicosi ha una sua necessità e una
sua propria funzione: quella di ricostituire il sé scisso dell’individuo;
alla luce di tale convinzione bloccare tale processo significa misconoscerne il
suo vero significato.
In definitiva tre sono i punti fondamentali del pensiero di Laing su cui intendo soffermarmi:
·
nel primo capitolo tratterò la questione del metodo scientifico in
relazione all’ esperienza umana;
·
nel secondo capitolo mostrerò come la schizofrenia sia un esperienza intelligibile;
·
nel terzo capitolo come questa sia un esperienza possibile.
La riflessione di Laing sulla
“schizofrenia” si muove, come dicevamo, all’interno di una
profonda critica della scienza medica occidentale e del suo metodo
razionalistico che ha individuato, in ciò che è oggettivo e
oggettivabile, l’esclusivo ambito di realtà possibile, lasciando fuori quella
parte della esperienza umana soggettiva
e intima che esula da una tale logica scientifica. Ciò che voglio sottolineare è che, ad esempio, nel
comportamentismo si dà rilevanza al comportamento osservabile dell’uomo
prescindendo dai suoi moventi e dalle sue intenzioni più recondite che non
trovano collocazione poichè non possono essere oggetto d’osservazione: è il
comportamento in sè e per sè ciò che
interessa studiare.
In questa logica un atto diventa una cosa,
il comportamento si riduce ad una risposta ad uno stimolo esterno
cosicchè“la
condotta umana diviene un ‘insieme di frammenti di comportamento da disporre su
un tavolo e da esaminare”[3]. I
comportamenti perdono così la loro intelligibilità e ciò che non è
oggetto di scienza è considerato inesistente. Portato alle sue estreme
conseguenze il razionalismo, espresso
ad esempio nel comportamentismo, non
permette più lo studio dell’ uomo nella
sua totalità.
Si potrebbe obiettare che alcune
teorie come la psicanalisi, si interessino dei moventi nascosti delle azioni,
ma la psicanalisi utilizza dei modelli interpretativi per comprendere il
vissuto, si rifà cioè a dei costrutti teorici, quali il complesso di Edipo,o la
teoria della libido, che però non trovano quasi mai un riscontro immediato
nella percezione delle persone sottoposte a tale pratica terapeutica, si
crea la cosidetta “resistenza” all’interpretazione
psicanalitica. Anche Sartre dimostra che questa conclusione è paradossale.
Infatti se si afferma che i comportamenti hanno una ragione inconscia come
potrebbe poi la persona resistere a interpretazioni di cui non è consapevole?
Significa affermare il contrario, ovvero che la persona è consapevole dei suoi
moventi.[4]
La critiica di Laing dei metodi
esistenti si inserisce in un contesto critico filosofico certamente più
ampio che ha le sue radici nella
fenomenologia di Husserl, nell’esistenzialismo di Sartre, negli scritti del
filosofo tedesco Heidegger e inoltre
nel pensiero dello psichiatra esistenziale Ludwig Binswanger concorde
quest’ultimo nell’affermare che “nel campo della psicologia bisogna necessariamente
rinunciare all’ideale delle scienze naturali” [5],
nel senso che un metodo naturalistico applicato allo studio dell’esperienza
umana spersonalizza il vissuto del soggetto.
Proprio la stessa esigenza di
cogliere l’altro come persona e non più come oggetto conduce Laing a rifarsi all’esistenzialismo e alla
fenomenologia sociale, scienza quest’ultima, che rimette l’ uomo e la sua esperienza al centro del proprio studio: è quindi una
scienza adeguata al suo oggetto. Ma questa
scienza della persona deve lasciarsi alle spalle un altro limite tipico della cultura
occidentale razionalistica: l’antica divisione tra interno e esterno , tra io e
il mondo, tra esperienza e comportamento “Il rapporto di esperienza a comportamento non è
quello di interiore ad esteriore; la mia esperienza non si trova dentro la mia
testa. La mia esperienza di questa stanza è là fuori nella stanza.”[6], ovvero nel
momento in cui si decide di
studiare l’ esperienza umana
nella sua totalità, nel senso di cogliere pienamente come ognuno di noi
percepisce sè stesso , l’altro e il
mondo, risulta limitante e fuorviante, per una vera comprensione, l’utilizzo di tali divisioni concettuali.
L’intento di Laing, attraverso la
fenomenologia sociale, è quello di mettere in relazione la mia esperienza del comportamento altrui
con l’esperienza altrui del mio comportamento; questo campo di studi è l’ inter
- esperienza: lo scambio e il confronto del mio essere nel mondo è
imprescindibile dall’essere nel mondo dell’altro.
Ma come è possibile studiare
l’esperienza altrui, capire cioè quale sia quel complesso intreccio di
percezioni che ognuno di noi ha su stesso, sull’altro e sul mondo, se questa,
pur essendo evidente alla persona che la vive, è invisibile agli altri?.
Laing
afferma che anche se io non posso vedere e cogliere l’esperienza dell’altro nella sua globalità, limitandomi
a studiare l’evidente, ovvero unicamente il comportamento, non
conoscerò mai veramente la persona con
tutti i suoi moventi intimi e avrò una
visione riduttiva e distorta della realtà dell’altro. Invece per Laing le esperienze delle persone possono essere colte
e comprese tenendo conto di due
elementi : esperienza e comportamento che si
pongono in una relazione circolare, dove l’esperienza personale
definisce l’azione, il comportamento e quest’ultimo trasforma l’
esperienza,come lui stesso scrive “in termini di esperienza come centro di orientamento dell’universo obiettivo, ed
in termini di comportamento come l’origine degli atti”.[7]
Alla luce di tali presupposti
teorici non possiamo differenziare e definire nettamente i comportamenti sani e
i comportamenti folli, bensì dobbiamo prendere atto che esistono solo dei modi possibili,
seppur strani e stravaganti, di trasformare la nostra esperienza
personale in comportamento.
Tuttavia nella nostra società
l’elemento della possibilità viene spesso soppresso: il comportamento
etichettato come schizofrenico non viene contemplato tra le possibilità
dell’esperire umano, il più delle volte, non si coglie l’esperienza dell’essere
umano nella sua interezza e nelle sue
ragioni profonde, e si trasforma ciò che è frutto di una prassi, ovvero
l’insieme degli eventi, dei fatti e delle azioni di diversi soggetti agenti con
cui si entra in realzione che condizionano la vita di una persona nella sua
soggettività, in processo[8], ovvero come risultato di una serie continua di operazioni
senza un attore agente, di cui il soggetto è
solo passivo testimone.
LA TEORIA
DELLA PERCEZIONE INTERPERSONALE
Paragrafo
1.2
Nel paragrafo precedente abbiamo
visto come per Laing sia molto importante l’esperienza personale
ai fini della comprensione dell’ essere umano; ma naturalmente ora viene da
chiedersi: come si forma questa esperienza? E’ a questa domanda che cercherò di
dare una risposta. Come ben sappiamo l’essere umano impara a strutturare le proprie percezioni in primis dalla
famiglia, che veicola insieme alle proprie regole anche quelle della cultura
d’appartenenza e del contesto sociale nel quale vive.
Questa serie di percezioni
diventano così i criteri mediante i quali si giudicano certi sentimenti come l’amore, la tristezza, l’odio. Ma Laing non si limita a studiare ciò che
avviene nell’ individuo, come se fosse una monade all’interno della quale
avvengono dei processi intrapsichici dove gli altri subentrano solo come
oggetti interni, come avviene nella psicoanalisi, né si limita a studiare le
interazioni tra individui escludendo ciò che avviene dentro alle persone,
come accade nell’approccio
transazionale di Palo Alto.
Possiamo dire che Laing mette
insieme tutti i contributi delle varie discipline: dalla psicanalisi, alla
teoria transazionale, alla teoria dei giochi.
Ne viene fuori una teoria
definita della percezione interpersonale.
Questa teoria lainghiana si
inserisce in quel filone di studi che mira al
superamento di quelle teorie
“Egocentriche”, che pongono, cioè, l’IO al centro del loro costrutto teorico,
poiché, come già altri autori noti, ad esempio Watzlawich e D. Jacckson, Laing inserisce accanto all’Ego anche
l’Alter; nel mondo personale ed individuale, il soggetto non è l’unico essere che percepisce e
agisce ma vi sono anche gli altri
soggetti i quali non sono semplicemente oggetti del mio mondo interiore ma
controparti fondamentali per la realizzazione della propria identità di
persona ovvero elementi di un processo di costruzione, modificazione e
ricostruzione continua, dinamica e dialettica del proprio IO; usando un’affermazione
lainghiana gli altri sono i nostri
”centri
di riorientamento nei confronti della universo oggettivo”[9].
Questi altri, infatti, non sono
semplicemente delle altre individualità a sè stanti con cui si hanno solo
scambi comunicazionali, ma essi
sono significativamente in relazione con l’io degli altri producendo, in modo interattivo, con tutto il bagaglio culturale, familiare e
personale patrimonio dell’essere
dell’uomo nella sua totalità, effetti reattivi e di continuo aggiustamento
dell’immagine di sè.
Ovvero l’ambito di esperienza di
ciascuno non è occupato solo da me stesso , cioè dall’ immagine che ho di me
stesso e dell’altro , ma anche dalla mia
immagine della immagine che l’altro (tu, lui, lei, loro) ha di me. Tale
intreccio di percezioni è definito da Laing
metaprospettiva
e questo schema può essere ampliato fino a comprendere meta-meta e meta-
meta prospettive all’ infinito.
Ma ciò che più conta è che ognuno
di noi realizza la propria
identità sintetizzando e
interiorizzando l’immagine che ha di sè
stesso con la propria immagine della immagine che l’altro ha di noi.
Queste immagini che l’ altro ha di
me, che sono tante quante le persone con cui ci relazioniamo, non debbono
essere necessariamente accettate, “ ma non possono essere ignorate nello sviluppo
costitutivo di un senso per la mia identità”,[10]
e come vedremo in seguito questa disgiunzione tra come mi vedo io e come mi vedono gli altri è
esistenzialmente vitale quando gli
altri in questione sono i familiari,
che sono i primi a entrare in gioco nella formazione dell’identità.
Fin qui ho cercato di riassumere
quanto dice Laing riguardo al come si organizza l’esperienza personale
di noi stessi, ma ora per comprendere pienamente l’innovatività del suo pensiero bisogna soffermarci sull’ approccio
scientifico utilizzato per comprendere il comportamento di un individuo.
Per un approccio scientifico agli
individui dobbiamo partire da due assiomi fondamentali:
1) Il
comportamento è una funzione dell’esperienza;
2) sia l’esperienza che il
comportamento sono sempre in relazione a qualcuno o a qualcosa altro da sè;[11]
Il che vuol dire che per
comprendere il comportamento di un individuo si devono includere almeno due
persone ed una situazione comune, inoltre si devono considerare non solo le
interazioni dei due, ma anche la loro interesperienza.
Questo è lo schema d’ interazione
che propone Laing [12]
Comportamento di Peter © Esperienza di Paul (E)
Peter
Paul
Esperienza di Peter (E) Comportamento di
Paul©
“Secondo questo schema , il comportamento di Peter
verso Paul è in parte funzione delle esperienze che Peter fa di Paul.
L’esperienza che Peter fa di Paul è in parte funzione del comportamento di Paul
verso Peter...e viceversa”[13].
Il comportamento di ciascuno nei
confronti della altro è mediato
dall’esperienza che ciascuno ha della altro, cosi’ come l’esperienza è mediata
dal comportamento di entrambi.
C’è un condizionamento reciproco
dove i nostri atti sono condizionati
dall’ interpretazione che diamo agli atti dell’ altro. Ciò che può
essere un ‘atto d’amore per uno, è di odio per un’ altro; infatti non sempre
le interpretazioni che diamo di un’atto
coincidono con quello che l’ altro vuole esprimere con quel comportamento.
Ma il problema non sta tanto in
questa diversità di espressione; il
vero problema consiste nel non rendersi conto che quel comportamento che per
noi vuole esprimere ad esempio superficialità , per l’altro, invece, esprime vivacità. Questa discordanza di
interpretazioni non viene letta per
quella che è, ma viene trasformata e recepita come un’azione cattiva,
insensata o addirittura fruttto di
pazzia. Entra in gioco, in tale rimando di percezioni, un’altra componente: la
fantasia (di cui tratterò più dettagliatamente nel prossimo capitolo). La
dimensione che più facilmente viene fantastizzata è quella relativa alla
dimensione interiore dell’altro.
Ad esempio :
Peter Paul
1) Sono
arrabbiato 1) Peter è arrabbiato
2) Paul
agisce con molta calma
2) Cercherò di aiutarlo
3) se P,
fosse interessato rimanendo calmo
dovrebbe coinvolgersi 3) lui si
arrabbia di più
4) P.sà
che questo mi fa a
4) mi accusa di volerlo
arrabbiare offendere io
resto ancora calmo
Questo gioco può andare avanti a
lungo creando una “spirale di prospettive reciproche errate”. Laing afferma in
proposito: “E’
in questo regno che si deve entrare se, per esempio, uno voglia capire in che
modo le attribuzioni di una persona nei riguardi degli altri possono cominciare
ad essere di particolare disturbo e
disgiuntive per gli altri, e da costoro venire costantemente invalidate, fino
al punto che la persona cominci ad
essere oggetto dell’attribuzione globale di essere pazza.”[14]
IL METODO REGRESSIVO PROGRESSIVO
Paragrafo 1.3
Fin qui abbiamo definito il
procedimento per comprendere l’esperienza e il comportamento di una persona, ma
ora dobbiamo affrontare un’altra questione: con quale metodo indaghiamo e
ricostruiamo il passato di una persona, in modo che il materiale raccolto ci
aiuti a mettere in luce il presente?
Ovvero quando ci troviamo di fronte a una persona che vive un’esperienza di
confusione e scissione dell’io, come facciamo a rendere intelligibile ciò che a
prima vista sembra oscuro , come facciamo a ricostruire la storia che ha
condotto quella persona ad una tale crisi? Il metodo usato da Laing, ricco di richiami all’esistenzialismo
sartriano, è definito METODO REGRESSIVO
PROGRESSIVO.
Sartre in QUESTIONS DE METHODE
(1960) definisce il metodo regressivo progressivo come l’approccio metodologico
dell’ esistenzialismo, che permette di indagare nella storia individuale e
sociale. Questo metodo viene definito nell’ambito della critica al marxismo,
che secondo Sartre, ha la grave colpa
di aver tralasciato, nella storia, la dimensione umana, considerando
l’uomo un prodotto passivo della stessa, determinato e condizionato dagli
eventi e dalle condizioni storico
economiche di ogni epoca. L’interpretazione marxista porta alla divisione della
società in classi, quella del proletariato e quella della classe dirigente, dove da una
parte c’è chi subisce i condizionamenti economici e dall’altro chi li
determina.
Per Sartre la storia è opera di “tutta l’attività di tutti
gli uomini”[15].
L’estraneazione che l’uomo sente
rispetto alla storia, vissuta come
processo, è spiegabile con
l’incapacità di sentirsi parte integrante e attiva di quel processo, cosicchè
si determina quella incapacità di cogliere e percepire il risultato totale e il
senso globale degli eventi storici
singoli a cui tutti gli individui
concorrono, la cosidetta prassi: “la storia mi sfugge non
perché io non la faccio, ma perché anche l’altro la fa.”.[16]
Questo perché la storia sociale
come quella individuale ha un movimento
dialettico, di continuo superamento dell’esistente in prospettiva di un
“possibile”, creando cosi’ sempre nuove sintesi e totalizzazzioni “una vita si svolge a spirali; ripassa sempre per
gli stessi punti ma a livelli diversi d’integrazione e di complessità”[17]. Secondo
Sartre la condotta umana è condizionata oltre che dai fattori presenti anche
dal progetto di vita futura; ogni uomo
non si limita a vivere come un’epoca prescrive, ma dà il via a un superamento
dell’esistente attraverso un progetto proprio
di vita.
In questa prospettiva si introduce il metodo R.P.,che ci permette di comprendere la condotta umana finale partendo dalla condizione originaria (regressivo), analizzando gli eventi passati alla luce del progetto individuale , che è poi il presente a cui si è giunti dopo tante contraddizioni (progressivo). Appare chiara una differenza rispetto agli altri metodi: l’interesse prestato, nell’esistenzialismo sartriano, per tutte le tre dimensioni temporali, passato, presente,futuro laddove nel metodo psicanalitico si accentua l’interesse solo sul passato o in quello transazionale sul momento attuale “il qui ed ora”.
Sartre rifiuta la concezione del tempo come dimensione
coesa e dotata di natura oggettiva e esterna
all’essere. Il tempo esiste in quanto esiste l’essere che lo utilizza per realizzare i suoi possibili “il tempo è puro nulla in-sè
e sembra che possa avere un essere solo nell’atto col quale il per-sè lo supera
per utilizzarlo. Ma d’altra parte, poichè io tendo verso un possibile solo
attraverso una serie organizzata di possibili ....il tempo mi si manifesta come
forma temporale oggettiva, come schieramento organizzato dei probabili...”[18]
In questa prospettiva, se si vuol
conoscere l’essere non ci si può soffermare solo su una di queste
dimensioni, perchè così si rischierebbe
di non avere una visione totale del movimento e del divenire dell’essere.
Con il metodo esistenzialista
dell’ “andirivieni” si
determina quindi, “progressivamente la biografia, approfondendo l’epoca ,e l’epoca
approfondendo la biografia. E lungi dal cercare lì per lì d’integrare l’una
all’altra, le manterrà separate finchè l’assimilazione reciproca si attui da sè e metta un termine provvisorio
alla ricerca.”[19]
Sartre descrisse, fenomenologicamente, personalità come quella di Flaubert e di Jean Genet, mostrando come la genialità di questi artisti non sia un dono della natura o di Dio ma un uno sbocco inventato e costruito giorno per giorno, dove ogni cosa, la scrittura, lo stile, rispecchiava le scelte effettuate durante il percorso di vita, scelte di fuga dai condizionamenti, e di libertà di realizzarsi nel mondo come totalità. Laing a sua volta si rifà a questo metodo, però portandovi dei contributi personali, ovvero lo inserisce all’ interno della sua teoria della percezione interpersonale, che come abbiamo detto in precedenza punta l’attenzione sull’esperienza e sul comportamento della persona.
Quindi è imprescindibile, ai fini
della comprensione del comportamento
dell’uomo, l’osservazione delle sue relazioni
tra i vari componenti del gruppo familiare e della sua esperienza di
essi, in quanto persone, in relazione
con se stesse, con ognuno degli altri e
col gruppo che formano. Tuttavia per avere conoscenza di queste relazioni
bisogna osservare direttamente, ovvero lo studioso deve interagire con il
gruppo, poichè si può comprendere gli altri solo facendo esperienza
dell’esperienza dell’altro. L’osservatore, però, ha bisogno di alcune linee
guida per comprendere il sistema familiare
senza farsi trascinare nelle stesse dinamiche oggetto d’osservazione e
senza irrigidirsi in posizioni
personali che non tengono conto della realtà del sistema in oggetto.
Infatti succede spesso che l’osservatore si fa in primis un’ idea del sistema che poi cerca di confermare man mano che ha nuove informazioni, finendo per manipolare i dati e per adattarli alla propria idea, eliminando le contraddizioni interne, che invece sono rilevanti per avere una visione complessa e non distorta della prassi familiare.Vediamo invece che questo metodo, che ha un movimento dialettico, si serve proprio delle contraddizioni per giungere alla comprensione del sistema familiare; come spiegato da Esterson, che descrive le tre fasi salienti del metodo R.egressivo - Progressivo:
“Nel
primo momento l’osservatore registra fenomenologicamente la situazione e le sue
contraddizioni, quelle del resto del sistema e quelle che lo coinvolgono
direttamente in quanto partecipante ad esso.Nel secondo momento , di tipo
regressivo-analitico,egli analizza storicamente queste due serie di elementi ,la
prima in termini di storia del sistema ,la seconda in termini di storia con il
suo rapporto con esso.Nel terzo movimento, di tipo progressivo sintetico, i
risultati dell’analisi storica vengono
rapportati, grazie ad un ipotesi, agli eventi osservati fenomenologicamente.”[20]
Questo metodo che a prima vista
può sembrare complicato e poco attuabile in realtà è stato utilizzato da Laing
e Esterson per rendere intelligibile la prassi familiare di undici
famiglie all’interno delle quali c’era
un soggetto diagnosticato come “schizofrenico”.
Con questo metodo, infatti, Laing
ed Esterson hanno mostrato come il comportamento ”schizofrenico” che sembra
bizzarro e inspiegabile, ha invece una sua ragion d’essere se visto alla luce
della prassi familiare, che viene ricostruita conoscendo, sia il progetto
esistenziale che la famiglia ha, sia le mistificazioni che avvengono fra i vari
componenti del gruppo, sia il sistema
di fantasia in cui sono immersi i membri di quel gruppo familiare. Ciò è
spiegabile in quanto ognuno di noi assimila il contesto in cui vive e lo
incorpora nel rapporto con se stesso. “Ne deriva ..un sistema di
relazioni in cui, e per cui, sussistiamo; e questo sistema lo riproiettiamo poi
all’esterno sul sistema che ci
circonda, che interpretiamo in conformità”[21].
CAPITOLO 2
LA SCHIZOFRENIA ESPERIENZA INTELLIGIBILE
PRIMA
PARTE
MODI DI ESPERIENZA INTERPERSONALE
LA FENOMENOLOGIA DELLA FANTASIA
PARAGRAFO 2.1
“L’immaginazione
mi circonda di una folla di avventure seducenti, destinate forse ad
addolcire il mio incontro con il fondo
di quel precipizio- perchè io credevo che ci me. Esaltata,in qualche
modo,codesta nuova facoltà,sorta dall’
immaginazione,ma più alta di essa,me le mostrava, me le preparava,le
organizzava, tutte pronte a ricevermi.Bastava poco che io abbandonassi l’
avventura disastrosa che io il mio corpo fosse un fondo , ma la disperazione
non nè ha- e, via via che cadevo, la velocità di caduta accelerava la mia attività
celebrale, la mia instancabile immaginazione tesseva.Tesseva altre avventure e
delle altre ancora, e sempre più rapidamente.Alla fine trascinata,
esaltata,dalla violenza, mi parve a più riprese che essa non fosse più l’
immaginazione, ma un altra,più elevata facoltà, una facoltà salvatrice.Tutte le
avventure inventate e splendide,sempre più assumevano una sorta di consistenza
nel mondo fisico.Appartenevano al mondo della materia,non qui tuttavia,mi
presentivo che,in qualche luogo, esistessero.Non ero io che le vivevo:esse
vivevano altrove e senza di viveva,che abbandonassi il mio corpo(ho dunque
avuto ragione di dire che la disperazione fa uscire da se stessi)e mi
proiettassi in quelle altre avventure consolanti che svolgevano parallelamente
alla mia povera avventura:Sono io stato, grazie a una paura immensa, sulla via
miracolosa dei segreti dell’ India?” [22]
In questo capitolo cercherò di
delineare come Laing renda intelligibile la schizofrenia e per rendere più
chiara l’esposizione tratterò la questione da due punti di vista:
1) dell’esperienza
interpersonale,cioè come una persona può collocarsi in una posizione
falsa,
2) delle
forme di azione interpersonale , ovvero le interazioni che si
verificano fra l’io e gli altri, e come una persona venga a trovarsi in una posizione falsa come
funzione dell’azione degli altri,
quest’ultimo punto verrà
sviluppato nella seconda parte. Tale
divisione è fittizia e solo funzionale alla facilitazione dell’esposizione poiché nella realtà questi due
elementi sono imprescindibili.
Come abbiamo avuto modo di dire in precedenza l’esperienza
di me stesso è mediata dall’ esperienza che l’altro ha di me e viceversa . Non
esistono degli eventi esclusivamente intrapsichici o esclusivamente
condizionati dalle dinamiche di gruppo,
ma c’è un intrecciarsi di fattori.
Per comprendere il comportamento
di una persona dobbiamo conoscere come questa persona si rapporta con se stessa
,con l’altro e con il mondo, in una parola dobbiamo conoscere come questa
persona percepisce e fa esperienza. Se
non comprendiamo i modi con cui l’uomo fa esperienza allora ci risultano incomprensibili le azioni umane.
Laing afferma che ognuno agisce e
sperimenta se stesso e gli altri nell’ “immaginazione”, nella “realtà” e nella
“fantasia”.
Le prime due modalità sono conoscibili poichè sono modi di
esperienza di cui la persona è consapevole ed è in grado di comunicarle agli
altri.
Per quanto riguarda la fantasia,
invece, questa rimane oscura alla persona che la vive, oscura si intende non
nel contenuto ma nella modalità ,ovvero si scambia per reale ciò che invece è
frutto della fantasia. Ad esempio Paul fa delle attribuzioni sul comportamento
di Mary, Paul sente che Mary è avida , Mary sente che Paul è meschino, Paul
sente che Mary pretende troppo da lui, mentre Paul sente che Paul non le dà
abbastanza. Considerando il fatto che Paul ritiene di essere più che generoso,
egli si risente di essere considerato meschino. E considerando che Mary ritiene
di accontentarsi di poco , lei si risente di essere considerata avida. Il
circolo diventa sempre più vizioso: Avidità e Meschinità sono sempre più
confuse tra di loro, ormai il sistema è
vissuto in termini di fantasia, e non si percepiscono più gli atti per quello
che l’altro vuole esprimere.
Vediamo che la fantasia ha un
ruolo molto importante nelle relazioni con sè stessi e con gli altri e quindi
il suo approfondimento non può essere tralasciato.
Attraverso lo studio di questa
particolare modalità d’esperienza
possiamo capire il perchè lo “schizofrenico” perda ogni contatto con la
realtà e perchè viva in un sistema di fantasia.
La fantasia non è una modalità
d’esperire patologica nè esclusiva
degli stati alterati: è presente in tutti, ma integrata con percezioni realistiche dell’esperienza,
infatti la fantasia, come afferma M. Klein nei suoi studi sullo sviluppo del
bambino, è la prima modalità d’esperienza del bambino attraverso la quale egli comincia a dare senso al mondo; le
fantasie vengono mano mano sostituite
da modalità più mature di fare esperienza, ma queste permangono nell’uomo
adulto e danno il senso e il contenuto alle azioni.
Secondo la psicanalisi la fantasia è una modalità
inconscia fondamentale e primaria per sperimentare sè e gli altri, ad esempio
il bambino che mostra il desiderio del seno materno, sperimenta questo
desiderio con una fantasia precisa “voglio succhiare il capezzolo”. Secondo la
teoria psicanalitica la fantasia è
un’esperienza interiore, cioè è un’esperienza intrapsichica, che viene vissuta come reale dalla persona e che
ha degli effetti sulla realtà, ma che per spiegare come avvenga questo passaggio, si serve di alcuni
meccanismi mentali (conversione, proiezione, etc.). Tutta questa macchinosità è
la conseguenza della visione dualista dell’essere umano (interno-esterno, psiche-corpo,
realtà psichica-realtà mentale).
Per Laing invece la persona è una
totalità dove corpo e psiche sono indivisibili, così come il comportamento e
l’esperienza e così, anche la fantasia, non può essere un‘esperienza solo
psichica e individuale.
Al fine di chiarire la
fenomenologia della fantasia, Laing individua dieci proposizioni:
·
1)
Essa è un modo di esperienza .Come tale non è nè più interiore che esteriore.
·
2)
Essa è un modo fondamentale di sperimentare se stessi in relazione con gli
altri, e gli altri in relazione con sè stessi.Come tale, essa non ha bisogno di
essere più infantile che adulta , nè più primitiva che progredita.
·
3)
Dal punto di vista ontogenetico essa è probabilmente il primo modo d’esperienza a nascere che
precede cronologicamente il sorgere
della consapevolezza riflessiva.
·
4) La vita fantastica degli adulti è
potenzialmente uno sviluppo della vita
fantastica infantile. Solo quando questo sviluppo sia stato contrastato arrestato la vita fantastica adulta appare
una diretta ripetizione della fantasia
infantile.
·
5)
La maggior parte delle persone non sono consce di questo modo di esperienza, ma non è sempre necessariamente
così. Quando diventa interamente e radicalmente consapevole della fantasia in
termini di contenuto che di modalità ,
la persona è soggetta nel suo intero essere
ad una rivalutazione di sè e degli altri.
·
6)
Tutta l’esperienza che è inconscia ad una persona non è necessariamente fantasia.
·
7)Quando
una persona è inconscia della propria fantasia, questa fantasia può essere
ovvia ad un’altra persona, se questa è diventata consapevole della fantasia.
·
8)Le
fantasie implicano motivi del pieno/vuoto,
buono/cattivo,distruzione/riparazione,angoscia/sicurezza,e così via. In fantasia,
questi motivi sono sperimentati primariamente in termini fisici. In sede di
relazione vi sono sempre implicate unione, confusione, separazione, scissione,
distruzione, riparazione di corpi e altre parti di corpi.
·
9)
Le distinzioni fra io ed altro ,fra l’ insieme di una persona e parti di una persona ,non reggono per
quanto riguarda la fantasia.
·
10)
Si vive continuamente di implicazione e di partecipazione con la modalità della fantasia delle altre
persone, e ciò è reciproco.Il rapporto
io-altro ,che può avvenire a livello di fantasia ,è altrettanto fondamentale
per i rapporti umani nel loro complesso,delle interazioni di cui la maggior
parte delle persone è per la maggior parte del tempo consapevole”.[23]
Come abbiamo già detto la fantasia
è una modalità di fare esperienza comune a
tutti, tuttavia vi sono dei gruppi quali i gruppi di lavoro, di studio e
i gruppi familiari, di cui in particolare intendo trattare, all’interno dei
quali essa è la modalità prevalente.
Vivere all’interno di questo
sistema, di questo nesso fantastico significa perdere la propria distintività
individuale, essere alienati, perché si perdono le proprie percezioni e
valutazioni, in quanto si partecipa
alla fantasia del gruppo.
La persona viene collocata in una
posizione falsa che però non viene percepita come alienazione.
Tuttavia lo psicotico nei suoi
deliri, in cui sente di essere perseguitato o che qualcuno gli legge nel
pensiero o gli vuole rubare il cervello, esprime la sua parziale
appercezione della posizione falsa che
occupa nel sistema sociale di fantasia.
Ma all’interno del nesso familiare
ci possono essere necessità diverse di scuotersi dal sistema di fantasia . Se
infatti una persona vive in un nesso dove il suo sistema di fantasia viene
condiviso non c’è nessuna necessità di sforzarsi di emergere. Invece se si
trova in una posizione insostenibile il suo bisogno di emergere è più
disperato.
Laing sostiene che un nesso di
persone può influenzare la fantasia che l’altra persona ha di sè stessa e degli
altri, in modo che la sua fantasia divenga più congiuntiva o disgiuntiva nei
riguardi dell’altrui fantasia. Se la fantasia che una persona ha di una
situazione comunemente percepita è dissonante da quella del resto del nesso,
allora le sue azioni diventeranno sempre più dissonanti, fino a quando questa
persona verrà definita diversa, ovvero pazza o cattiva.
IL BISOGNO
ONTOLOGICO PRIMARIO
paragrafo 2.2
Fino a questo punto si è parlato
di come un nesso familiare può mettere una persona in una posizione falsa. Ma
cosa vuol dire essere messi in una posizione falsa?
Il termine “posizione” viene usato
in senso esistenziale, ovvero si vuol
intendere l’essere -nel mondo di una persona, e la realizzazione della propria soggettività o identità, mediante la
ricerca e la sperimentazione dell’ io latente.
Una posizione è autentica quando
una persona riesce attraverso i suoi
atti a realizzare pienamente il proprio essere, cioè a essere quello che si è.
Mentre essere “inautentici” vuol dire non essere sè stessi, non essere quello che si dimostra di essere.
E’ conseguente che una posizione è
vera quando un uomo “sentirà che intende ciò che dice, e dice ciò che intende. In altri
termini, le sue parole, o le sue altre modalità espressive, sono vere manifestazioni della sua esperienza, e delle
sue intenzioni reali.”[24]
Viceversa una posizione è falsa
quando gli atti non esprimono le intenzioni e l’esperienza reali e quindi la
propria identità.
Abbiamo già avuto modo di chiarire
come si forma l’ identità di una persona e come questa sia determinata da come
gli altri ci percepiscono.
L’identità abbiamo detto è la
sintesi fra l’immagine che si ha di sè stesso con la propria immagine della
immagine che l’altro ha di noi. Quindi l’altro è determinante in questo
processo, ed è per questo che può agire in modo da non permettere la formazione
dell’identità (le modalità le tratteremo nel prossimo capitolo).
Nella comprensione della
schizofrenia ci risultano quindi fondamentali i concetti di fantasia e identità.
E’agendo a livello di fantasia che
si mette la persona in una posizione insostenibile, ovvero squalificando le
percezioni che uno ha di se stesso e della realtà , non permettendo di assumere
nessuna posizione vera e propria,
neppure nella sua stessa fantasia.
In questo sistema la persona non
riesce a emergere poichè non ha nessuna possibilità di realizzarsi come essere
autonomo e individualizzato.
Questa azione parte dai primissimi
giorni di vita. Infatti le cure, le attenzioni, l’essere riconosciuto come un
essere con le sue esigenze, con le sue caratteristiche, i suoi bisogni , sono
fondamentali per porre le basi del senso d’identità.
Laing afferma che i genitori delle
persone schizofreniche non percepiscono il bambino per come esso è, ma per come
lo vogliono vedere, il bambino reale non viene vissuto, perchè vivono in
funzione di un bambino fantastizzato. Si capisce come dai primissimi anni di
vita il bambino viene messo in una posizione falsa.
E’ in questo contesto che il
bambino non sviluppa il senso di sè stesso come reale e differenziato dagli
altri. Difatti le persone schizofreniche si sentono irreali, sentono di non
essere vive, hanno paura che gli altri possano fargli del male, ogni situazione
li terrorizza ed è una minaccia. Tutto questo perchè si trovano in una
situazione di insicurezza ontologica primaria.Ovvero manca quella sicurezza sulla realtà e unità dell’essere .
Infatti Laing afferma che in
circostanze normali “la venuta al mondo di un
nuovo organismo vivente coincide con l’inizio di rapidi processi, in virtù dei
quali il bambino si sente vivo e reale ed ha il senso di essere un’entità,
continua nel tempo e provvista di un posto nello spazio”[25]
In alcuni casi però questi
processi così necessari non avvengono lasciando così il posto ad un senso di
irrealtà.
L’insicurezza ontologica esprime la possibilità tragica
dell’annullamento o non-essere, in questo caso “l’uomo affronta il non essere come perdita
parziale dell’unità sintetica dell’io, accompagnata da una perdita parziale di
rapporto con l’altro, in una forma definitiva, nell’ipotetico stato finale di
non-entità caotica e di perdita totale di rapporto con l’altro”.[26]
Vediamo quindi che se un
bambino non è stato percepito mai come
reale dagli adulti non potrà poi percepire nemmeno sè stesso e gli altri come
reali.
Quando viene meno la sicurezza
ontologica allora anche le circostanze della vita quotidiana diventano un
pericolo continuo e mortale per il proprio essere, anche le cose che per noi
sono irrilevanti assumono un significato speciale e si caricano di
pericolosità.
Questo grave stato di ansietà,
originato nella tenera infanzia, produce una vulnerabilità che dura per tutta
la vita dell’individuo. Questo cerca disperatamente di difendersi mettendo in
atto una serie di processi, ma come vedremo più avanti gli si ritorcono contro.
L’individuo ontologicamente
insicuro, cerca in un primo momento di cambiare sè stesso per venire a patti
con la realtà, ma sotto l’azione mistificante del sistema familiare è costretto
a modificare la realtà , o meglio modifica ancora una volta sè stesso creando
un sistema di fantasia che gli permetta di affrontare la realtà che gli sfugge
.
Ma ritorniamo un attimo indietro e
cerchiamo di definire le forme di quest’ansietà; Laing ne individua tre
dandogli un nome convenzionale:
1) Risucchio: questa è una particolare forma d’ansietà e consiste nella
paura di ogni rapporto in quanto tale
persino con sè stesso, poichè c’è un’enorme paura di
perdere la propria autonomia, c’è appunto la paura di essere risucchiati , inghiottiti e perciò
annientati.
“Il risucchio è vissuto come il rischio costante di
essere compreso, o di essere amato, o
semplicemente di essere visto”[27]
2) Implosione: è’ la paura terrificante che il mondo possa sfondarci e
cancellare l’identità. Questo perchè ci
si sente vuoti e mentre da una parte
c’è un forte desiderio di sentirsi pieni, dall’altra c’è il terrore che questo
avvenga.
3) Pietrificazione e spersonalizzazione: il termine pietrificazione
viene usato in tre accezioni:
a) la paura o incubo di
essere trasformato in pietra;
b)il terrore che ciò accada e che
ci si trasformi, da persona viva, in
una cosa morta senza soggettività e personalità (pietra, robot).
Attraverso la spersonalizzazione
si trasformano gli altri in una
cosa perchè si ha paura che gli altri
lo facciano con noi; si riduce l’altro
a un oggetto perchè si ha paura di divenire, noi, per gli altri, oggetti.
Questo processo però è un circolo vizioso perchè più si tenta di conservare la propria autonomia e identità
annullando l’altro, più si sente la
necessità di farlo. In questo modo si va incontro a due fallimenti:
l’incapacità di mantenere il senso di sè come persona quando si è con l’altro e
l’incapacità di mantenere questo senso quando si è soli. Vediamo quindi che se
l’individuo non si sente autonomo non può sentire normalmente nè la sua
separazione nè la sua relazione con l’altro. Riporto qui, a titolo
esplicativo un caso descritto da Laing
nel testo “Io
diviso”: “L’ansia del sentirsi soli.”
Il disturbo accusato dalla signora R. .era un timore
di stare per la strada(agorafobia).Ad un esame più attento risultò che
l’ansietà nasceva quando cominciava a sentirsi da sola,per strada o in
qualunque altro luogo.Era capace di cavarsela per conto su, ma solo se non si
sentiva completamente sola.La sua storia, in breve,era la seguente.Era figlia
unica. Non era stata trascurata,nè c’era stata ostilità visibile nella
famiglia.Tuttavia era sua impressione che i genitori fossero sempre troppo
occupati l’uno dell’altro per accorgersi di lei.Crescendo ,desiderava riempire
questo vuoto nella sua vita, ma non era mai riuscita ad essere
autosufficente,,nè a sentirsi partecipe completamente del suo mondo
personale,il suo desiderio più forte
era sempre quello di essere importante per qualcuno...
Crebbe
diventò molto piacente, e a diciassette anni sposò il primo uomo che se ne
accorse veramente.I suoi genitori ,in un modo che a lei sembrava
caratteristico, non si erano mai accorti , fino all’annuncio del fidanzamento
,che la loro figlia fosse mai stata turbata per qualche cosa. Ora, al calore
delle attenzioni del marito, si sentiva trionfante e fiduciosa.Ma il marito era
ufficiale dell’esercito e poco dopo venne trasferito all’estero;la ragazza non
potè seguirlo.A questa separazione seguì uno stato di panico grave . Tuttavia arrivò un aiuto sottoforma
di malattia della madre.
La paziente ricevette un appello urgente dal padre,
che le chiedeva di venire a casa per aiutarla. Non vi fu più traccia di panico
fino a quando, alla morte della madre, cominciò a preoccuparla l’idea di
lasciare quel luogo, dove finalmente contava tanto ,per raggiungere il marito.
L’esperienza dell’anno trascorso la faceva sentire,per la prima volta, di
essere finalmente la figlia dei suoi genitori,e al confronto essere la moglie
di suo marito le pareva superfluo. E’ancora da notare l’assenza di dolore per
la morte della madre. Più che altro era spaventata dall’idea di restare sola.
Raggiunse il marito all’estero,e per alcuni anni
condusse una vita gaia. Ma le attenzioni di lui diminuirono e allora cominciò a
sentirsi inquieta e insoddisfatta;il matrimonio finì in una separazione , e la paziente tornò a Londra a vivere col
padre. Mentre viveva con lui diventò l’amante e la modella di uno scultore ,e
viveva così da diversi anni quando,a ventotto anni di età, venne da me.
Ecco come si esprimeva parlando di come si trovava
per strada: << Per strada la gente va e viene pensando ai propri affari.
Non si incontra mai qualcuno che ti riconosca.. Nessuno sà chi sei...nessuno si
cura di te.>>.
Il punto centrale della sua vita è la sua mancanza
di autonomia ontologica.
Se manca la presenza fisica di una persona nota, le
sfugge il senso della sua identità. A questo venir meno del suo essere è dovuto
il panico:per esistere ha bisogno di qualcuno che creda nella sua esistensa.Per
lei esse est percepi, essere vista, cioè,non semplicemente come una passante
anonima o come una conoscente casuale. Anzi era proprio questo modo di essere percepita a
pietrificarla.”[28]
LA CONDIZIONE SCHIZOIDE E L’ELUSIONE DELL’ESPERIENZA
paragrafo
2.3
La persona insicura
ontologicamente vive nel terrore dell’annullamento, del non-essere. Gli altri,
come portatori di una soggettività, lo gettano nel panico, in quanto crede che
possano leggere nella sua mente e capire i suoi pensieri. La risposta a quest’ansia si attua nella spersonalizzazione dell’Altro, nel
renderlo un oggetto.
Ma in questo non ci sarebbe niente
di schizogeno, infatti Sartre afferma
che “il
timore è una reazione originaria, il modo con cui io riconosco altri come
soggetto fuori portata ed implica una comprensione della mia epsità che può e
deve servire come motivo per costituire altri come oggetto”[29].
Ovvero il timore di divenire oggetto per l’altro mi induce a rendere l’altro
tale, e in questo modo mi definisco
come soggetto, naturalmente anche l’altro è impegnato nella stessa operazione.
Quindi se quest è un modo naturale
di reagire dell’essere, ma allora dove è l’anomalia?
Laing sostiene che il soggetto
schizoide non si limita a trattare
l’altro come oggetto, tratta anche sè stesso come una cosa un oggetto,
ovvero all’estremo dei due poli, dove normalmente l’altro è oggetto e l’io il soggetto,
qui non ritroviamo più il soggetto. Troviamo ancora un oggetto , in quanto lo
schizoide non si percepisce come soggetto, non
ha il senso della propria realtà
e identità, e così per difendersi rende sè stesso un oggetto.
Questa manovra che la persona
attua su sè stessa, Laing la definisce elusione o nel
linguaggio Sartriano malafede. Sartre ne fa un esempio “Consideriamo questo cameriere .Ha il gesto
vivace e pronunciato,un po' troppo preciso,un po' troppo rapido, viene verso
gli avventori con un passo un pò troppo vivace, si china con troppa premura, la
voce, gli occhi esprimono un interesse un po' troppo pieno di sollecitudine per
il comando del cliente poi ecco che torna tentando di imitare nell’andatura il
rigore inflessibile di una specie di automa, portando il vassoio con una specie
di temerarietà da funambolo,in un equilibrio perpetuamente instabile e
perpetuamente rotto, che perpetuamente ristabilisce con un movimento leggero
del braccio e della mano.Tutta la sua condotta sembra un gioco.Si sforza di
concatenare i movimenti come se fossero degli ingranaggi che si comandano l’un
l’altro,la mimica e perfino la voce paiono meccanismi ;egli assume la prestezza
e la rapidità spietata delle cose.Gioca si diverte. Ma a che cosa gioca? non
occorre osservare molto per rendersene conto; gioca ad essere un cameriere.”[30]
Vediamo, quindi, che il ragazzo
rappresenta il cameriere, come può fare un attore , ma in effetti non lo è. Si immagina e si comporta come se lo
fosse ma non lo è.
“L’elusione è una manovra dell’io in relazione sia all’io e/o agli altri che
alle cose. Nell’elusione uno modifica la propria posizione originaria verso sè
stesso; quindi simula di abbandonare questa simulazione in modo di dar
l’impressione di essere tornato al punto di partenza ,ma di fatto egli avrà
soltanto simulato di averlo fatto mediante una doppia simulazione”[31].
Laing ,questo rapporto elusivo con
la propria posizione, lo descrive così:
1.- “Uno sta’ seduto in una stanza.
2.-Egli immagina o simula che la stanza non sia una stanza reale, ma una stanza creata dalla propria immaginazione.
3.-Dopo aver simulato ciò al punto da convincersi che la stanza è soltanto immaginaria, egli comincia a simulare che la stanza sia reale e niente affatto immaginaria.
4.-Egli finisce ,perciò, col simulare che la stanza
reale sia reale, piuttosto che percepirla come tale”.[32]
Attraverso l’elusione la persona
vive in un sogno, dove fantasia, immaginazione e realtà si intrecciano e diventano indistinguibili.
Immerso in questo sistema la persona
elude la realtà e gli altri, che vengono
visti come personificazioni della fantasia, divengono dei fantasmi incarnati.
Questa persona invece di essere
ciò che è, simula di esserlo, in questo modo, mente a sè stessa, naturalmente
sa che è una menzogna e ne conosce il motivo, (anche se lo vuole
dimenticare), agisce dunque in malafede, perchè con i suoi atti non esprime sè stesso ma un sè falso, costruito, di facciata,
dietro il quale si nasconde il vero io .
Possiamo dire che la persona sotto
la spinta delle sue paure di disgregazione si dissocia , si divide in due ;
Costruisce una personalità di facciata, che cercherà di compiacere gli altri,
detta del falso io, e una personalità
interiore, il vero io, che assumerà una posizione di distacco dal falso io.
Il falso io è identificato con il
corpo, che viene vissuto come esterno, mentre l’io vero è l’io incorporeo che osserva .
Vediamo che nella condizione
schizoide si ha una scissione fra l’io e il corpo. Dove il vero io è sentito
come incorporeo, mentre le esperienze corporee sono sentite come parte del
falso io, quindi estranee, in quanto il vero io, percepisce il falso io come
una cosa esterna a sè stesso, e lo tratta alla stregua delle cose.
Questa divisione può essere
rappresentata schematicamente così:
io= (corpo -altri)
invece del normale dualismo
(io/corpo)=altri
Così l’io interiore rimane escluso
da ogni contatto con la realtà; la conseguenza di ciò è il senso di irrealtà
che assale l’io interiore il quale sente di perdere la vitalità e l’identità
giacchè il falso io ha vita autonoma, non esprime l’io vero, nè
porta nutrimento a questo. Rimanendo così isolato, l’io interiore, si nutre di
sogni e immaginazione, non agisce nella realtà ma bensì nella fantasia.
La fantasia non essendo immersa in
qualche misura nella realtà si svuota e diventa sempre più irreale. L’io entra
così in rapporto solo con oggetti e persone immaginarie ,anche se di questo non
si è sempre consapevoli.
Il falso io o io corporeo, invece,
mantiene i rapporti diretti con la
realtà: esso si forma nella sottomissione alle intenzioni e aspettative degli
altri, vere o immaginarie; inoltre, il
falso io ha la tendenza ad assumere un comportamento di obbedienza e sottomissione
agli altri; questo comportamento viene considerato dagli altri come
sintomo di bontà. Si verifica spesso
che la ricerca di cambiamento, messo in atto da persone con tali comportamenti,
per il raggiungimento di una maggiore
autonomia, venga interpretato dai genitori come cattiveria, ovvero la persona è
buona fino a quando è obbediente e invischiata nel sistema fantastico familiare,
mentre è cattiva quando cerca di essere sè stessa e di uscire dal sistema di
falsificazione in cui vive.
L’attività osservabile è spesso
perfettamente normale, il marito ideale, il bambino modello, l’impiegato
solerte: niente farebbe presagire il terrore e l’odio che si cela dietro a tanta
docilità nei confronti degli altri. Tuttavia
questi sentimenti celati, possono straripare nella psicosi o
esprimersi attraverso dei modi
compatibili con il falso io, ovvero assumendo le caratteristiche delle persone
a cui è diretta la propria docilità. Si arriva ad un vero e proprio impersonare
l’altro, fino a quando l’odio per tale interpretazione non induce a impersonare delle caricature delle
persone odiate.
In questa situazione schizoide,
anche il rapporto fra falso io e vero io è caratterizzato dall’odio in quanto
la finzione così messa in atto viene vissuta come una minaccia per la propria
identità, che diventa sempre più irreale, in quanto l’ identità, per essere percepita come vera, ha bisogno
di essere riconosciuta dagli altri. Tutto questo meccanismo attuato dallo
schizoide e che dovrebbe allontanare l’ansia, in realtà gli si ritorce contro,
perchè l’io corporeo prende una vita propria, mentre l’io incorporeo si nutre
di immaginazione e di sogni. L’io incorporeo non ha nessun contatto con la
realtà e così finisce per impoverirsi, diventa completamente irreale, non riesce a conservare il senso dell’
identità, già così precario e aggravato ulteriormente dalle sue stesse manovre.
Riportiamo un altro caso esposto
da Laing per comprendere meglio tali meccanismi: “Il caso di
David
David aveva diciotto anni, era figlio unico; sua
madre era morta quando il ragazzo aveva dieci anni, e da allora questi era
vissuto con il padre. Il padre non capiva perchè mai andasse dallo psichiatra,
perchè secondo lui non ce n’era nessun bisogno.
Gli insegnanti invece erano preoccupati: il ragazzo
sembrava allucinato e si comportava in modo bizzarro.Per esempio si presentava
a lezione avvolto in un mantello e con un bastone da passeggio;i suoi modi
erano estremamente manierati, e il suo linguaggio si componeva in gran parte in
citazioni....
Non era soltanto eccentrico: la mia impressione era
che giocasse a fare l’eccentrico. Ma per quali ragioni poteva volere un effetto
simile?
Risultò che in realtà, come attore, aveva anche
molta pratica, perchè aveva sempre interpretato una parte, almeno dal tempo
della morte della madre.Prima di allora disse:”Ero soltanto quello che voleva
lei”. Della sua morte disse:”Mi sembra di ricordare che ne fui piuttosto
contento. Forse ho anche sentito del dolore, o forse mi piace pensare che l’ho
sentito”.Fino alla morte della madre, dunque,
era stato semplicemente quello che lei voleva; ma dopo la sua morte non
gli era stato più facile essere sè stesso, ed era convinto che ciò che chiamava
il suo “io” e la sua “personalità”
fossero in realtà due cose del tutto distinte.
Il suo io non si rivelava mai direttamente .Sembrava
che, uscendo dall’infanzia, egli avesse portato con sè da una parte questo suo
io, e dall’altra “ciò che sua madre voleva che fosse” cioè la sua personalità;
e che, partendo da questa situazione, si fosse poi proposto come compito,e come
ideale da raggiungere, di rendere il più completa possibile la frattura fra il
suo io e quello che vedevano gli altri[..].Il ruolo che aveva impersonato
durante la scuola media era, secondo la sua stessa descrizione, quello di un
ragazzo precoce, di ingegno acuto,ma piuttosto tagliente e freddo di carattere.
Poi, sempre secondo il suo resoconto, versi i quindici anni si era reso conto
che questa parte gli procurava troppe antipatie. Allora aveva deciso di
modificare il personaggio e renderlo meno sgradevole.
I suoi sforzi per conservare questo tipo di
organizzazione si urtavano contro due ostacoli.Il primo non lo preoccupava
tanto seriamente:era il pericolo di essere spontaneo[..]
Il secondo ostacolo era più grave .anche perchè non
era stato previsto[..]
Per tutta l’infanzia gli era sempre piaciuto di
rappresentare delle parti davanti allo specchio.Lo faceva anche adesso, ma si
era accorto di lasciarsi assorbire troppo dalla parte, cioè di essere
spontaneo, e temeva che questo fosse la sua rovina. I ruoli che impersonava
davanti allo specchio erano sempre ruoli femminil .ma a un certo punto si era
accorto di non potersi più fermare: si sorprendeva a camminare, senza volerlo,
come una donna; a vedere e pensare come potrebbe fare una donna. Questa era la
sua situazione attuale, e questo spiegava il suo abbigliamento bizzarro. Perchè
aveva constatato che soltanto vestendosi e agendo come faceva poteva arrestare
il comportamento donnesco, che minacciava di inghiottire non soltanto le sue
azioni ma anche il suo vero io” [33].
SVILUPPI PSICOTICI
paragrafo 2.4
L’individuo schizoide vive in uno stato di scissione, dove il falso io gestisce i rapporti con gli altri, mantenendo in molti casi un perfetto adattamento alla realtà. Questo sta a significare che non sempre si va incontro ad una crisi psicotica. Infatti una persona può vivere tutta la vita in questo stato, senza mostrare nessuna stranezza o insofferenza.
E’ determinante a tal fine, ancora
una volta, il contesto nel quale la persona vive. Lo schizoide può vivere tutta la sua vita in questo stato di
malafede, ma perchè questo accada si devono verificare due condizioni:
·
Il sistema fantastico, nel quale l’ io vero è immerso, deve
essere in qualche modo condiviso dal
resto del sistema familiare.
·
Il falso io, che la persona ha costruito per soddisfare le
esigenze e le aspettative dei
familiari, non deve essere
vissuto come totalmente estraneo e soffocante da parte dell’io
vero, ma deve essere in parte accettato.
In questo modo l’individuo riesce
a mantenere il senso della propria identità, anche se un’identità falsa, e il
contatto con la realtà, o meglio con quella particolare realtà che è condivisa
dal sistema familiare. Altre volte però queste condizioni non si vengono a
creare, il soggetto vive il falso io come totalmente estraneo da sè e inoltre
le condizioni esterne, ovvero la famiglia, non gli permettono di realizzare un’
identità , perchè lo sottopongono a messaggi contrastanti.
Così l’io vero si chiude
totalmente in uno stato fantastico. Le uniche sue funzioni diventano appunto la fantasia e
l’osservazione. E naturalmente questo agire solo nella fantasia lo porta a
perdere non solo ogni contatto con la realtà, ma anche il senso della realtà.
Infatti l’io interiore diventa
completamente irreale e “fantastico”, diviso e morto, anche quel piccolo senso
della propria identità viene perso. L’io si carica, inoltre, sempre più di odio
, di paura e di invidia.
Contemporaneamente il falso io si estende sempre di più, diventa sempre
più autonomo e viene disturbato da frammenti di attività involontaria. Tutto ciò
che appartiene al falso io si fa sempre
più irreale, falso, morto e meccanico.
Il sistema del falso io non è più
in grado di adattarsi alla realtà, tanto più che l’io interiore, immerso nella
fantasia, non modifica le sue fantasie, perchè non c’è più l’ intenzione nè di
verificarle nè di correggerle. Ormai l’io non fa più nessuno sforzo per agire
sulla realtà. L’io si dissocia completamente dal corpo, che viene percepito
come in possesso degli altri.
Questo è l’ultimo passo che porta
alla psicosi, l’individuo, ormai, è diventato irreale e morto, la realtà e la
vita non possono essere più direttamente vissute, per cui l’io si carica di odio e invidia per la vita
degli altri che gli appare ricca e
vivida. Laing afferma che l’io, in questa fase, è orale e primitivo: “in quanto appunto è vuoto e ,pur temendolo sopra ogni altra cosa, desidera di essere
riempito.”[34]
Tuttavia per evitare il senso di
colpa che sentirebbe, se accettasse la bontà e la vita presente negli altri, cerca di distruggere questa positività, per salvare
sè stesso. L’io così fantastizzato acquisizione e distrugge la realtà
attraverso degli atti a cui attribuisce un significato magico: toccare,
copiare, imitare. Attraverso queste operazioni l’individuo cerca di evocare in
se stesso quelle stesse
impressioni positive della realtà che lui scorge come reali nella vita degli
altri. Un’altro modo estremo per sentirsi vivi è attraverso il dolore fisico,
che queste persone si provocano volontariamente; ma le manovre schizogene,
che l’individuo mette in atto per difendersi dall’ansia e dal terrore, gli si
rivoltano contro. Tuttavia la psicosi non deve essere vista come una una
riposta patologica: essa rappresenta il tentativo estremo che l’individuo
compie per essere sè stesso, anche se convive in lui il desiderio opposto,
quello di non essere.
Infatti la persona che si trova in
questo stato cerca in tutti i modi di confondere gli altri, comportandosi e
parlando in un modo bizzarro e strano. La difficoltà nel comprendere il
comportamento schizofrenico sta da una parte
nella voluta enigmaticità, dall’altra nel riflesso di un, ormai, diverso ordinamento della sua esperienza.
Tuttavia vi sono casi di psicosi
che sono ancora più complessi:
gli individui così scissi hanno attuato
un progetto di ulteriore distruzione, quello di “uccidere” sè stessi.
Queste persone durante il loro delirio dicono di essere morte o di
essere state derubate del loro io. In realtà questa negazione dell’essere è uno
strumento per la conservazione dell’essere stesso. Lo schizofrenico crede di
aver “ucciso” il proprio io, e ciò allo
scopo di evitare di essere “ucciso” dalla realtà da cui rifugge.
In breve Laing riassume così le
fasi del processo psicotico:
·
1) “L’orientamento dell’io è orale e primitivo: esso è preso dal dilemma
di salvare la sua vita senza assorbire
nulla, perchè ciò lo terrorizza ,e
diviene perciò arido e desolato.
·
2
) L ’io si carica di odio per tutto ciò che sta’ <<là fuori>>. L’unico modo di distruggere e non
distruggere ciò che è la fuori può sembrare quello di distruggere sè stesso.
·
3)
Il tentativo di uccidere l’io può essere intrapreso deliberatamente. Esso è in
parte una manovra difensiva (se sono un morto non mi si può uccidere), in parte
un tentativo di obbedire al crudele senso di colpa che opprime l’individuo (non
si ha nessun diritto di vivere).
·
4)
L’io interiore si divide a sua volta, perdendo la sua integrità e la sua identità.
·
5
)Esso perde sia la sua realtà, sia ogni accesso diretto alla realtà che esiste
fuori di lui.
·
6
)Il rifugio dell’io diventa una prigione;quello che doveva essere un paradiso
diventa un inferno. Perde persino la tranquillità di una cella solitaria,
diventa una camera di tortura. L’io interiore è infatti perseguitato dai
frammenti concretizzati di se stesso, o dai suoi stessi fantasmi, divenuti
incontrollabili”.[35]
Vediamo quindi che nello
schizofrenico si trovano le stesse fratture presenti nello stato schizoide: io
interiore - io corporeo: il corpo viene percepito come estraneo all’io, mentre
quest’ultimo continua ad operare nella fantasia, oppure nei casi più gravi
cessa di funzionare completamente.
Questo avviene quando il <<centro>> non tiene più, ovvero quando l’io interiore diviso ulteriormente perde la sua identità e la coesione, divenendo una <<non entità caotica>> ovvero, entra in uno stato di disintegrazione completa, a volte non più compatibile con la vita come nel caso dell’ebefrenico - catatonico cronico.
Però ci sono casi meno gravi di
questo e sono quelli in cui l’io è ancora integro e mantiene, almeno, un minimo
senso di identità.
SECONDA
PARTE
FORME DI
AZIONE INTERPERSONALE
LA
RELAZIONE COLLUSIVA
paragrafo
2.5
L’approccio teorico di Laing
risalta l’importanza delle relazioni interpersonali, rifiutando così tutte
quelle teorie che si basano esclusivamente sui processi intrapsichici.
Ogni individuo vive la propria
vita in virtù dell’altro, che può essere sia reale che immaginario.
L’uomo per esistere ha bisogno del riconoscimento dell’altro, cosa
che abbiamo appurato nel caso delle manovre schizoidi, che ci hanno mostrato
come non si possa realizzare un’identità solo per sè stessi, la cui conseguenza
sarebbe il senso di irrealtà che invade l’essere. L’identità, come abbiamo più
volte sottolineato, ha bisogno della presenza dell’altro, non si può pensare ad
un’identità completamente astratta. Ogni rapporto implica una definizione
dell’io tramite l’altro, e dell’altro tramite l’io.
Vediamo che un’ aspetto rilevante
della struttura relazionale è la complementarità, ( questo termine Laing lo
usa non con il significato che è stato dato da Haley e dai teorici della
comunicazione, che considerano
la complementarità e la simmetria, due categorie fondamentali in cui si
possono dividere tutti gli scambi di comunicazione ). Laing usa questo termine per sottolineare, la necessità
esistenziale per ogni individuo, di realizzare la propria identità attraverso
l’altro. Ovvero l’uomo ha bisogno della moglie per essere marito, la donna ha
bisogno di un figlio che le conferisce l’identità di madre.
Tuttavia questa complementarità
può essere genuina o falsa:
·
è genuina quando due persone in una relazione, riescono
mutuamente a confermare l’altra o far da genuino complemento all’altra,questo
richiede sicurezza di sè e fiducia nell’altro;
·
è falsa quando si “costringe” l’altro ad assumere un
identità falsa per confermare l’identità
fantastica che si vuole
assumere.
In questo caso non si può parlare più di una normale
relazione complementare ma siamo in presenza di una collusione, dove collusione
significa “gioco
giocato da due o più persone, mediante il quale esse ingannano se stesse , un
gioco che implica un autoinganno reciproco”[36]. E ancora
“la collusione
sarà riferita a quelle manovre interpersonali in cui si esprime una
cooperazione fra l’io e gli altri ,vale a dire quei processi interpersonali in
cui ciascuno gioca volontariamente al
gioco altrui, magari senza rendersene completamente conto”[37].
Attraverso il gioco collusivo una
persona usa l’altra per personificare la propria visione fantastica,
costringendo l’altro ad assumere una posizione falsa, dove questa, non
rappresenta altro che il suo atto di collusione, infatti quest’ultimo desidera ardentemente assumere il falso io.
E attraverso questo concetto di collusione che si spiega come mai alcune persone schizoidi non evolvano nella psicosi. Perchè all’interno del sistema familiare, c ‘è qualcuno o più di qualcuno, che ha bisogno del falso io dell’altro per personificare la sua fantasia, e viceversa.
L’altro, in queste circostanze,
può sperimentare un senso di colpa, dove se non si lascia attrarre in rapporto
di collusione, si sentirà colpevole di
non diventare la personiificazione richiesta dall’altro. Se però soccombe, se
viene sedotto, può sentirsi estraniato dalle proprie possibilità, e così “colpevole di tradimento
verso sè stesso”.[38]
La collusione viene “cementata”
quando entrambi riescono a confermarsi nelle loro posizioni di fantasia,
riuscendo a darle, così, una sembianza di realtà.
Vediamo quindi che ognuno ha bisogno dell’ altro per realizzare questo sistema fantastico. Per cui chi si rifiuta di accettare il falso io, di cui la famiglia necessita, subisce la pena della condanna, poichè il rifiuto viene considerato un “tradimento”. A questo punto può essere sottoposto ad un’azione di invalidazione e mistificazione. Naturalmente, questo risultato viene conseguito involontariamente, poichè coloro che ingannano sè stessi, sono costretti a ingannare anche gli altri. Il fine ultimo è il mantenimento dello status quo, ovvero l’equilibrio precario che la famiglia ha creato.
Per cui viene squalificato chi, rifiutandosi di essere parte del
gioco, può scoprire le carte.
NORMALITÀ
E FOLLIA NELLA FAMIGLIA
paragrafo 2.6
Si è parlato, fino ad ora, della
collusione fra membri di una famiglia, per il mantenimento del sistema
fantastico. Ma forse è necessario
specificare che cosa sia e come operi
la famiglia. Certo noi tutti sappiamo come sia determinante la famiglia nella formazione della
personalità di un individuo, ma poco sappiamo di come la famiglia, come sistema
interiorizzato, condizioni tutte le nostre relazioni, sia intrapersonali che
interpersonali.
Per comprendere come una persona
arrivi ad essere giudicata schizofrenica è necessario conoscere come la
famiglia, come sistema interiorizzato, agisca sui suoi membri. Con questo non
si vuole affermare che esistano certi tipi di famiglie che sono “produttrici”
di schizofrenia.
Ogni famiglia vive all’ interno di
un sistema fantastico: non è questo che la rende patogena; la fantasia, come
abbiam visto, è uno dei modi di fare esperienza e quindi tale modalità non è psicotica in sè stessa.
Laing non afferma che la famiglia
produca la schizofrenia, ma che è possibile rendere intelligibile il
comportamento psicotico, se lo osserviamo all’ interno del contesto familiare.
Il comportamento irrazionale,
diventa ragionevole alla luce del
comportamento irrazionale che anche la famiglia assume, che a sua volta
acquista intelligibilità se si conosce il contesto sociale in cui è inserita.
Sia Laing che Esterson sono concordi nel considerare le suddette famiglie non adattate alla società, c’è in queste una
difficoltà di integrazione, e una resistenza al cambiamento e alle influenze
esterne.
La famiglia dello “schizofrenico”
si presenta come un sistema chiuso, che
tende all’omeostasi, attraverso meccanismi di retroazione negativa, che
agiscono per minimizzare il cambiamento.
Laing fa sua l’idea, dei teorici
della comunicazione, della famiglia come sistema, ma la arricchisce di
implicazioni esistenziali. Ovvero egli
non si limita a prendere in considerazione solo gli scambi
comunicazionali tra i soggetti della
relazione, escludendo la componente interiore, ma anzi ha una visione integrale
della relazione.
Questo significa che la famiglia
non va intesa semplicemente come un
gruppo che agisce secondo delle regole di comunicazione precise[39],
essa è anche un sistema fantastico interiorizzato da ogni componente della
famiglia.
Ognuno di noi interiorizza la
famiglia come sistema, ovvero come insieme di rapporti, e insieme interiorizza
le regole della società in cui vive. Si interiorizzano i genitori come vicini o
distanti, in rapporto di amore, di conflitto, e ancora si interiorizzano i
fratelli, e i loro rapporti con i genitori e con noi. Questa serie di
interiorizzazioni condiziona i nostri rapporti con gli altri; ovvero non si fa
che proiettare sugli altri questo insieme di relazioni. Accanto a queste
proiezioni si aggiungono altre proiezioni che derivano dalle generazioni
precedenti, e che diventano nostre tramite i genitori. Si viene a creare così
un complesso sistema fantastico che è
la combinazione di almeno tre fattori:
1) “ Ciò che è stato proiettato dalla generazione precedente
su la generazione attuale;
2) ciò che è stato indotto in essa dalle generazioni
precedenti;
3) la sua reazione a queste proiezioni e induzioni.”[40]
Tutte queste proiezioni e
induzioni se non vengono risolte dalle varie generazioni, alla fine si intrecciano
fino ad incarnarsi nell’individuo e
diventano ciò che Laing ha definito nodo, groviglio, ovvero l’interiorizzazione di una situazione familiare che si perpetua
da generazioni.
Questo nodo immobilizza
l’individuo in quanto le sue relazioni con gli altri e con se stesso sono
determinate da queste fantasie e lo portano ad assumere un comportamento che
viene poi considerato schizofrenico.
Vediamo ad esempio il caso di un
giovane di ventiquattro anni. “Egli esperiva sè stesso nel modo seguente:
Lato destro:mascchio.
Lato sinistro:femmina.
Lato sinistro più giovane del lato destro. I due
lati non combaciavano.Entrambi i lati sono marci, ed egli sta marcendo con essi, va incontro ad una morte
precoce.Notizie ottenute dalla psicanalisi e da altre fonti:
La madre e il padre si erano separati,quando egli
aveva cinque anni. La madre diceva
che assomigliava al padre. Il padre diceva che egli assomigliava alla madre. La
madre diceva che il padre non era un vero uomo.Il padre diceva che la madre non
era una vera donna. Per Paul avevano ragione
tutti e due. Di conseguenza da un lato (o,come diceva lui, dal lato
destro) era un omosessuale con ruolo femminile e dall’altro (dal lato sinistro)
era una lesbica con un ruolo maschile.
Il padre della madre (PM) era morto subito dopo la
nascita di Paul.
La madre di Paul diceva che egli aveva preso dal
proprio padre.
Ma il problema dell’alternativa reale-irreale si era
ripercosso in questa famiglia per numerose generazioni.
La madre della madre(MM) non considerava il proprio
marito (PM) come un vero uomo.
Anche il padre della madre (PM) non considerava la
propria
moglie (MM) come una vera donna.
Attraverso la mediazione della madre, Paul pensava
che il padre di lei (il nonno di Paul) si identificasse con l’identificazione
della propria madre(la bisnonna di Paul) con il rapporto tra suo padre(il bis
bis nonno di Paul)e sua moglie(bis bis nonna di Paul). Attraverso le mediazioni
del padre,Paul pensava che il padre di suo padre si identificasse con
l’identificazione della propria madre (la bis nonna di Paul) con la moglie
ideale di suo padre(il bis-bis-nonno di Paul).Vediamo quindi che quando ci si
sforza di entrare in un insieme familiare che si estende per tre generazioni,
la situazione diventa di una complessità quasi inestricabile”.[41]
Naturalmente si è del tutto
inconsapevoli sia “della famiglia”, come fantasma , sia delle proiezioni che
facciamo sugli altri.
Questo perchè, nel processo di
interiorizzazione, “la famiglia” subisce delle modulazioni e delle altre
trasformazioni che rimangono come una serie di schemi di sequenze
spazio-temporali da rappresentare e che
affiorano alla consapevolezza rivestiti di immagini diverse. A questo
proposito risulta chiarificante “il caso di Jane, che all’età di diciassette anni
presentava i sintomi di una schizofrenia simplex precoce. Attiva a scuola,
normalmente circondata da amici, specialmente di tennis, da parecchi mesi era
divenuta inattiva, indifferente e chiusa in sè stessa. Era caduta quasi
totalmente nell’immobilità e nel silenzio. Tuttavia permetteva che la si
vestisse..non prendeva nessuna iniziativa e lasciata a sè stessa non faceva
nulla.Era assorta in una fantasticheria che prendeva la forma di una perpetua
partita di tennis:doppi misti, la folla, il campo, i giocatori e il continuo
avanti e indietro della palla lei
era tutti questi elementi, specialmente
la palla...La sua famiglia, riunita sotto un solo tetto, era composta del
padre,della madre,del padre della madre e della madre del padre, schierati gli
uni contro gli altri, il padre e la propria madre contro la madre alleata al proprio padre: doppio misto. Nel loro
gioco la palla era Jane. Per dare un esempio della precisione di questa
metafora: le due parti interrompevano le comunicazioni reciproche dirette per
settimane intere e continuavano a comunicare attraverso Jane.La madre si
volgeva a Jane per comunicarle “Di’ a tuo padre di passarmi il sale”. Jane
diceva a suo padre: “Mamma chiede che tu le passi il sale”, e così via, in
continuazione per ogni comunicazione”.[42]
All’ interno della famiglia
impariamo cosa si può fare in presenza degli altri e cosa non si può fare, impariamo cosa è lecito, e cosa invece non
lo è. La famiglia è la società in piccolo, così attraverso questa impariamo
alcune regole ,a cui dobbiamo attenerci. L’interiorizzazione reciproca, da
parte di ciascun componente, di questo insieme di regole, definisce l’unità su
cui si fonda la famiglia. Questo “oggetto comune” che cementa il gruppo, Laing lo definisce “nexus”. “Ogni componente del gruppo,
quindi, incarna il nexus, e inoltre questo definisce il gruppo come un NOI comune, in opposizione a LORO, gli
estranei alla famiglia”[43]
Così il nexus della famiglia è un’entità che deve essere conservata in ciascuno e da ciascuno, diventa scopo prioritario della famiglia quello di difendere l’ unità del nexus. O meglio di mantenere l’omeostasi, nel senso di minimizzare i cambiamenti che poterebbero mettere in pericolo l’unita del sistema fantastico della famiglia. L’omeostasi viene mantenuta attraverso dei meccanismi di retroazione negativa. Il meccanismo usato dal nexus è quello del terrore. Ovvero il nexus tende ad inventare dei pericoli esterni (mondo ostile) che diano una ragion d’essere al gruppo. Inoltre questa paura di un mondo ostile motiva l’atteggiamento iper-protettivo della figura materna nei confronti dei vari membri. Quindi ricapitolando questa iper-protezione, si basa su alcuni presupposti:
1) Un’immagine fantastica del
mondo come estremamente pericoloso;
2) La creazione all’interno del
nexus di un terrore di questo pericolo esterno.L’attività del nexus consiste
nel creare terrore.[44]
Ogni membro della famiglia deve
essere così impegnato in questa difesa del nexus, ogni defezione è meritevole
di punizione e significa la “morte”,
ovvero l’esclusione.
Per evitare lo scioglimento del
gruppo vengono messi in atto altri meccanismi di controllo:
·
Il reciproco interessamento: ovvero ognuno si interessa di
ciò che l’altro fà, sente o pensa. Diventa un diritto interessarsi dell’altro, ma
questo non porta ad una effettiva conoscenza della diversità dell’altro.
Perchè alla base c’è una
impenetrabilità della percezione,
ovvero l’ incapacità di percepire
correttamente i punti di vista dell’ altro.
·
Ci si aspetta che ognuno
sia controllato dagli altri e a sua volta li controlli, sfruttando l’influenza reciproca.
Il rispetto acritico delle regole fondamentali della
famiglia. Questo significa che il nexus
si regge su alcune regole che devono essere rispettate, ma di cui è vietato
essere consapevoli. Se qualche membro contravviene a questo principio viene
mistificato. Esiste una resistenza familiare concertata per impedire che si
scopra che cosa sta accadendo, e si mettono in moto complicati stratagemmi per
tenere tutti all’oscuro.
Vediamo quindi che il nexus
familiare è un’unità indifferenziata, a scapito dell’individuazione e autonomia
dei suoi membri, come abbiamo detto nello scorso paragrafo vi è una
collusione fra i vari membri, che
permette ad ognuno di realizzare la propria identità fantasmatica e allo stesso tempo di mantenere il sistema
fantastico del nexus.
Attraverso la collusione e i reciprochi controlli si
crea uno pseudo accordo, si realizza quello che viene definito come
pseudomutualità (Wynne), che è il tentativo di mantenere un’apparenza di
uniformità, dove ogni divergenza è considerata un pericolo per l’unità del
gruppo; quest’apparenza, naturalmente,
è un’ armonia presunta , che
funge da facciata e che dà
l’impressione che esista un accordo fra
i vari membri.
LA MISTIFICAZIONE DELL’ESPERIENZA
paragrafo 2.7
Laing afferma che: “l’io può essere collocato in una posizione falsa, al limite
insostenibile, dall’azione degli altri”.[45]
Abbiamo già avuto modo di spiegare come una persona possa essere messa in una posizione falsa attraverso un rapporto di collusione con l’altro e come, tale posizione falsa, rispecchi ciò che l’io vuole essere per gli altri, cioè la sua personalità fantastica, costruita, nei casi di persone schizoidi, come difesa dall’angoscia che, su di loro, la realtà provoca.
Adesso prendiamo in considerazione
come una persona possa essere messa dagli altri in una POSIZIONE INSOSTENIBILE,
a causa del suo rifiuto di colludere e di vivere nell’inautenticità. Una
persona designa la propria soggettività e al contempo la sua posizione nel
mondo attraverso le attribuzioni che gli altri, fin dall’infanzia, gli fanno.
Tuttavia le attribuzioni compiute da P riguardo ad A possono avere un carattere
concordante o discordante con le attribuzioni di A riguardo a sè stesso. Va da
sè che le attribuzioni possono essere accettate o rifiutate, ma questo non può
succedere durante l’infanzia, quando l’individuo occupa una posizione di inferiorità rispetto agli adulti.
Di conseguenza questi, avranno un
ruolo decisivo nella formazione del senso che A giungerà ad avere delle proprie capacità di agire, delle proprie
percezioni, intenzioni, sentimenti.
Ecco alcuni esempi di attribuzioni
mistificanti:
“Tu dici questo. Ma io so che non vuoi dire quello che
dici”.
“Tu puoi pensare di avere questi sentimenti, ma io
sò che non è vero”.Il padre dice al figlio,che ha subito prepotenze a scuola e
implora che gli sia consentito di abbandonarla: “Io so che non è vero che tu
voglia lasciare la scuola, perchè nessuno dei miei figli è un codardo”[46]
Si vede chiaramente che queste
attribuzioni non rispecchiano la realtà della persona, ma più che altro la
percezione fantastica che il genitore ha del figlio, quindi sono delle
attribuzioni false che diventano delle ingiunzioni: sii quello che ti dico di essere.
Questa modalita di relazione,
Laing l’ha definita mistificazione.
La funzione principale della
mistificazione è il mantenimento dello status quo. Infatti questo tipo di
comportamento entra in azione o si intensifica quando il nesso familiare si
sente minacciato da uno o più membri dello stesso, a causa del loro modo di
sentire e agire, che non conferma il sistema fantastico della famiglia. La
mistificazione entra in atto per annebbiare i conflitti che non può evitare, ma li maschera, annebbiando
così i motivi del contendere.
Infatti mistificare, sia inteso
nell’atto di mistificare, che nel senso passivo, ovvero di chi è mistificato,
significa: “confondere, mascherare quel
che accade, si tratti di un’esperienza, di un’azione o di qualunque altra
questione”[47]
Questo comporta l’attribuzione di
percezioni, esperienze false, all’altro, negando e dando un carattere di
fantasia alle percezioni vere e reali che, invece, l’individuo ha .
Quindi la mistificazione è un modo
d’agire sull’altro che giova alla difesa e sicurezza della persona stessa;
infatti se una persona non vuole ricordare qualche cosa è necessario che
reprima il ricordo, ma bisogna che anche l’altro non glielo ricordi, così oltre
a negare lui stesso una cosa per
proprio conto, deve indurre anche l’altro a negarla.
La mistificazione raggiunge il
grado estremo quando una persona cerca di portare confusione, non in maniera
consapevole, in tutta l’esperienza (memoria, percezioni, sogni, fantasie, immaginazioni
), nei processi e nelle azioni di un’altra persona, così che tutte le sue
esperienze e azioni sono determinate senza tener conto del suo punto di vista.
Si capisce che, se questa prassi è una
modalità d’esperienza che interessa l’individuo costantemente, va ad intaccare
lo sviluppo dell’identità, perchè le attribuzioni che vengono fatte dai
familiari sono discordanti con le attribuzioni dell’individuo riguardo a sè
stesso. Tuttavia la mistificazione può non essere avvertita come tale, e può portare alla follia poichè ogni
pecezione reale di sè stesso e dell’ altro viene negata. La persona
mistificata, infatti, non comprende ciò che gli succede intorno e pensa che
questa confusione sia dovuta a un processo, quello della follia, che anche gli
altri membri della famiglia avvallano. Infatti Laing ha affermato che questi ultimi mostrano una rigidità nell’interpretare le situazioni, che vengono
valutate secondo un asse di orientamento rigido, ai poli del quale c’è la
pazzia o la cattiveria dell’ altro.
Quindi anche quelli che sono gli “operatori” della mistificazione, percepiscono ciò che accade come un
processo, anzichè come una prassi di cui sono partecipi.
La testimonianza di questa rigidità nell’ interpretare i conflitti ci
viene data da un caso riportato da
Laing:
“La
madre di June ha descritto il mutamento avvenuto nel carattere della ragazza
(15 anni) sei mesi prima di quelli che a noi erano parsi i primi segni della
psicosi. Il cambiamento si era verificato nei sei mesi seguiti a un periodo di
vacanza in un campeggio dove la ragazza era stata per la prima volta lontana
dai suoi.Secondo la madre June era:
Prima Dopo
La
madre di
rumorosa Quieta
veniva
dappertutto con me
vuole stare sola
era
felice e piena di vita ha l’ aria infelice;è meno
vivace
le
piaceva nuotare e andare in bicicletta
pratica meno questi sport
e legge di più
era
piena di buon senso ha “soltanto ragazzi per
la testa”
giocava
a domino, a scacchi e
a carte
ogni sera coi genitori
con il
nonno
non ha più voglia di
giocare; preferisce stare
in camera e leggere
obbediente disobbediente e
petulante
mai
avrebbe pensato a fumare
fuma ,senza chiedere il
permesso
credeva
in Dio.
non crede più in Dio.
Nei sei mesi intercorsi tra le prime avvisaglie di
un mutamento e l’inizio di quello che abbiamo riconosciuto essere un crollo
psicotico, la madre di June era andata da due dottori a lamentarsi dei
cambiamenti che avvenivano nella figlia e che lei considerava manifestazioni di
una malattia o forse di malvagità.”non è più June.Non è più la mia bambina.”
Nessun dottore in realtà aveva visto in June nè malvagità nè malattia.La madre
attribuiva quei mutamenti di June, che per noi erano l’espressione normale,
culturalmente coerente, della maturazione e dela crescita e del raggiungimento
di una maggiore autonomi, alla presenza
di ben più gravi “malattie” o alla “malvagità”. La ragazza era stata
completamente mistificata, perchè, sebbene stesse emancipandosi, aveva ancora
molta fiducia in sua madre. Poichè la
mamma continuava a dirle che il suo sviluppo autonomo e la sua maturazione
sessuale erano manifestazioni di pazzia o di malvagità, cominciò a sentirsi
malata e a sentirsi cattiva.Questo può essere visto come una prassi da parte
sua per tentare di risolvere le contraddizioni tra i processi della sua
maturazione e lo sbarramento di valutazioni negative opposto a tali processi dalla madre [...]
In ultima analisi, i soli assi di orientamento della
madre, i funzione dei quali essa valutava i mutamenti di June, erano quelli di
bene-male, savio-folle.
Man mano che June si riprendeva dal crollo
psicotico, la madre si faceva sempre più preoccupata perchè la ragazza ai suoi
occhi peggiorava, dal momento che in lei cresceva la malvagità, mentre noi constatavamo invece maggiore forza e
maggiore autonomia dell’io”[48].
Vediamo da questo caso come June
veniva messa, dalla madre, in una posizione insostenibile, dove se cercava di
essere sè stessa veniva considerata pazza o cattiva, mentre se non era sè stessa e fingeva di essere
una “bambina buona”, era colpevole di
tradimento verso sè stessa.
June si trovava così di fronte a
un dilemma esistenziale: essere sè stessa e quindi tradire le aspettative
della madre , o essere falsa e tradire
perciò sè stessa. Di fronte all’impossibilità di risolvere il conflitto, perchè
ulteriormente confusa sulla natura del proprio comportamento (come abbiamo
visto essere sè stessi significa essere cattivi o malati), June “sceglie” di essere folle.
La psicosi diventa l’ unico modo di uscire dalla confusione profonda in cui l’ individuo viene gettato. La validità di queste affermazioni viene confermata da altre ricerche sulla schizofrenia effettuate da altri studiosi.
Lo stesso Laing cita questi studi,
come quelli di Bateson sul double -bind o doppio legame, e l’articolo di
Searles “The Effort to Drive the Other Person Crazy” (1959). Quest’ultimo
descrive sei modi per far impazzire una persona che tendono “a minare alla base la
fiducia di un’altra persona nelle proprie reazioni emotive e nella propria
percezione della realtà” che Laing ha sintetizzato così:
“1)
p insiste ripetutamente su certi
settori della personalità di A , di quali questi è scarsamente conscio, settori
che non sono in armonia con il tipo di persona che A crede di essere.
2) p stimola sessualmente A in una situazione nella
quale sarebbe disastroso per A cercare una gratificazione sessuale.
3) p espone A a esperienze contemporanee di stimolo
e frustrazione, o a esperienze di stimolo e frustrazioni rapidamente
alternantisi.
4) p si pone
in relazione con A a livelli simultaneamente non correlati (per esempio,
sessualmente e intellettualmente)
5) p scivola da una lunghezza d’onda emozionale a
un’ altra sempre nell’ambito dello
stesso argomento (trattando prima <<sul serio>> e poi
<<scherzosamente>> lo stesso soggetto)
6) p scivola da un argomento a un’altro conservando
sempre la stessa lunghezza d’onda
emozionale (per esempio una questione di vita e di morte è considerata alla stessa stregua dell’ argomento più
banale)”[49]
Secondo Searles qualsiasi azione
interpersonale, che attiva aree della personalità dell’altro che sono in
conflitto l’una con l ’altra, tende a
rendere l’altro folle. Per Laing non è
esatto sostenere che qualsiasi azione interpersonale che susciti conflitti
emozionali può rendere l’altro folle, semmai può generare confusione, perchè rende difficile a uno dei soggetti
sapere “chi egli sia”, “chi” sia l’
altro, e quale la situazione “nella” quale si trovano.
Però se il conflitto mette in risalto un problema vero e le scelte che deve affrontare, allora anche se la persona sarà soggetta ad angoscia e sofferenza non correrà il rischio di “crollare”, perchè in quel caso il conflitto avrà un carattere integrativo. Se invece il conflitto rileva un problema non autentico e la persona viene messa in una situazione per cui gli è impossibile effettuare delle scelte vere, allora la persona corre il rischio di diventare psicotica. Ovvero per cercare di uscire da una posizione insostenibile nell’ambito di una situazione mistificante cercherà di aggravare la mistificazione.
In definitiva per Laing “il potenziale schizogeno di
queste manovre risiede tanto nell’attivare varie zone della personalità in
opposizione una all’altra, cioè nell’attivazione di un conflitto, quanto nel
generare confusione o dubbi,
frequentemente non riconosciuti come tali”.[50]
In questo senso i sei modi
descritti da Searles sono mistificanti. Questo concetto di mistificazione si
sovrappone a quello del doppio legame elaborato da Bateson e dagli studiosi di
Palo Alto, che sono partiti dall’ipotesi di Jay Haley, che ha riconosciuto che
i sintomi della schizofrenia possono indicare un’incapacità di discriminare i
tipi logici, per arrivare ad elaborare il modello del doppio legame.
“Gli ingredienti necessari per una situazione di
doppio legame sono:
1-Due o più persone.Una di queste sarà indicata, per
chiarezza e semplicità di definizione, come la “vittima”. Non supporremo che il
doppio vincolo sia senz’altro inflitto dalla sola madre, ma che posa praticarlo
la madre o da sola o in qualche modo insieme col padre o coi fratelli.
2-Ripetizione dell’esperienza.Noi supponiamo che il doppio vincolo sia un tema ricorrente nell’esperienza della vittima; la nostra ipotesi non contempla un’esperienza traumatica isolata, ma piùttosto una ripetizione dell’esperienza, talchè la struttura di doppio vincolo diviene oggetto di una attesa abituale
3 -Un’ ingiunzione primaria negativa. Questa può assumere
una delle forme seguenti
a)”non fare così e così, altrimenti ti punirò”, oppure
b) “Se non farai così e così ti punirò”. Scegliamo
qui un contesto di apprendimento basato sull’evitare una punizione piùttosto che un contesto di apprendimento
imperniato sulla ricerca di un premio. Forse non vi è alcun motivo formale per
questa scelta. Supponiamo che la punizione possa consistere nella negazione
dell’affetto, o in una manifestazione di odio o di collera, oppure (ed è una
forma più tremenda) in quella sorta di abbandono che deriva dalla
manifestazione di assoluta impotenza da parte del genitore.
4-Un ingiunzione secondaria in conflitto con la
prima a un livello più astratto ,e, come la prima, sostenuta da punizioni o da segnali
che minacciano la sopravvivenza.
Questa ingiunzione secondaria è più difficile da
descriversi che la primaria, per due ragioni. In primo luogo l’ingiunzione
secondaria è di solito comunicata al bambino con mezzi non verbali:
l’atteggiamento, il gesto, il tono della voce, un’azione significativa,le
implicazioni celate in un commento verbale; tutto ciò può essere usato per
trasmettere questo massaggio più astratto. In secondo luogo, l’ingiunzione
secondaria può riferirsi a qualunque elemento del divieto primario, e quindi
può assumere una grande varietà di
espressioni verbali; ad esempio: “Non considerare ciò come una punizione”; “Non
considerarmi come un castigatore”; “Non sottostare ai miei divieti”; “Non pensare
a ciò che non devi fare”; ”Non mettere in dubbio il mio amore, del quale il
divieto primario è (o non è) un esempio. Quando poi il doppio vincolo è imposto
non da un individuo, ma da due, sono possibili altri esempi: così un genitore può negare a un livello più
astratto l’ingiunzione dell’altro.
5- Un’ ingiunzione negativa terziaria che impedisca
alla vittima di sfuggire al
conflitto.Dal punto di vista formale forse non è necessario elencare questa
ingiunzione separatamente, poichè il rinforzo agli altri due livelli implica una minaccia alla sopravvivenza,
e, se i doppi vincoli sono imposti durante l’infanzia, è chiaro che non
c’è possibilità di scampo.Sembra
tuttavia che in certi casi la fuga sia resa impossibile da certi espedienti che non sono puramente
negativi ,per esempio volubili promesse
d’amore e cose del genere.
6- Infine, quando la vittima abbia ormai appreso a
percepire il suo universo sotto
l’angolazione del doppio vincolo, non è più necessario che intervengano tutti
gli ingredienti. Quasi ogni porzione di una sequenza di doppio vincolo può
essere sufficiente a scatenare panico o rabbia.
La struttura delle ingiunzioni contrastanti può
essere creata persino da voci allucinatorie.
Secondo
Bateson “
l’individuo che si trova in una situazione di doppio vincolo la sua capacità di discriminazione fra tipi logici subisce un collasso”[51], volendo
dire con questo che la persona in questione non è più in grado di stabilire
quando l’altro parli letteralmente o metaforicamente, ovvero non è più in grado
di capire il significato dei messaggi. Questa conclusione si differenza
da quella di Laing ,dove invece, un’individuo sottoposto a messaggi
contrastanti, subisce si un “collasso”,
ma non semplicemente della capacità di discriminare , ma del suo
io,della sua identità. Chi si trova in una situazione del genere non ha nessuna
possibilità di uscirne, nemmeno se
assume un falso io, poichè anche questa
via gli è preclusa. Infatti nella situazione di doppio legame vengono fatte
delle ingiunzioni di terzo livello che non permettono di adottare nessun
comportamento, ad esempio:
“Un giovane che si era abbastanza rimesso da una
crisi mentale ricevette in ospedale una visita di sua madre.Contento di
vederla, le mise d’impulso il braccio sulle spalle,e la madre gli
domandò:<<Non mi vuoi più bene?>>Il ragazzo arrossì, e la madre
disse ancora:<<Caro, non devi provare così facilmente imbarazzo e paura
dei tuoi sentimenti>>”.[52]
Il ragazzo si viene a trovare così in una situazione insostenibile perchè la madre manda insieme messaggi discordanti:<<Non abbracciarmi, o ti punisco>>e <<Se non lo fai ,ti punirò>>. La madre assume questo comportamento perchè da una parte il rapporto affettivo con il figlio le crea ansia e dall’altra perchè non può riconoscere, a sè stessa e al figlio, questo sentimento che non concorda con l’ idea di madre buona. Quindi di fronte alla possibilità del figlio di comprendere lo stato emotivo della madre, lei risponde attribuendogli intenzioni che non ha, per confonderlo e per risolvere la situazione, nella quale il ragazzo non è in grado di capire come deve comportarsi, se essere affettuoso o meno, perchè entrambi i comportamenti sono sbagliati.
Laing afferma che il doppio legame
è necessariamente mistificante, ma la mistificazione non è necessariamente un
doppio legame. Infatti la persona mistificata si trova davanti a una soluzione
possibile: assumere il comportamento falso che gli è richiesto,anche se questo
significa tradire sè stesso; nel doppio legame, invece, non ci sono vie percorribili.
La mistificazione però non deve
essere intesa come una patologia della famiglia e come fanno i teorici della
comunicazione spostare il problema dal singolo al gruppo.
La mistificazione è una prassi
e non un processo patologico.
I processi che avvengono in un gruppo sono il prodotto della prassi
dei singoli membri. L’analisi condotta da Laing sulle dinamiche familiari non è
volta a definire un’eziologia della schizofrenia, ma a rendere quest’ultima
intelligibile. Riportiamo qui
dei casi di schizofrenia al fine di rendere più chiaro ciò che fin qui è stato
detto da Laing il quale cerca, appunto,
di definire la prassi della famiglia, alla luce della quale possiamo
comprendere il comportamento schizofrenico.
Descrizione dei casi:
Gli esempi che seguono sono tratti
dalle famiglie di due“schizofreniche”: Maya e Ruby
“ Maya
Maya (28 anni) pensa di aver cominciato a immaginare
“cose sessuali” all’età di quattordici anni quando,dopo una separazione di sei
anni durante la seconda guerra mondiale, era tornata a vivere coi genitori..Se ne stava sdraiata
sul letto in camera sua a pensare se i suoi genitori avevano rapporti
sessuali.Si eccitava sessualmente e cominciò nello stesso periodo a
masturbarsi.Era tuttavia molto timida e stava lontana dai ragazzi. Era sempre
più irritata dalla presenza fisica del padre. Le dava fastidio che si facesse la barba
nella stessa camera in cui lei faceva colazione al mattino.Aveva paura
che i genitori capissero che aveva pensieri sessuali su di loro.
Provò a parlarne, ma le risposero che non aveva
certamente simili pensieri.Disse che si masturbava e gli risposero che non era
vero!.
La madre do Maya non diceva :”Fai molto male a
masturbarti”,o “Stento a credere che tu faccia una cosa simile”. Neppure diceva
a Maya di non masturbarsi.Le diceva semplicemente che non si masturbava.
La madre tentò ripetutamente di indurre Maya a
dimenticare vari episodi che lei (la madre) non voleva ricordare.Però non
diceva “Non voglio che tu parli di
questo, e tanto meno che tu te ne ricordi”. Diceva invece:” Vorrei che tu ricordando
aiutassi il dottore, ma naturalmente siccome sei malata non ci riesci”.
La signora Abbott interrogò più volte la figlia
sulla sua memoria in generale per portarla (immaginiamo questo ponendoci dal
punto di vista della madre) a credere di essere malata, dimostrandole:!) che
era soggetta ad amnesie,oppure 2) che aveva visto male o capito male
qualcosa,o3) che pensava di ricordare perchè di una certa cosa aveva sentito
parlare dalla madre o dal padre in epoche successive.
Questi ricordi “falsi” o immaginari davano molta
preoccupazione alla signora Abbott. Erano anche un punto di gran confusione per
Maya.
La signora Abbott finalmente ci disse(non in
presenza di Maya) che sperava che Maya non si sarebbe ricordata della sua
“malattia”, perchè lei (la madre) pensava che ne sarebbe stata avvilitissima
(la figlia).Difatti lei (la madre) ne era tanto convinta che pensava sarebbe
stato meglio per la figlia non ricordare , anche se questo per la figlia poteva
voler dire passare tutta la vita in un ospedale!
Così i due genitori non solo contraddicevano i
ricordi, i sentimenti, le percezioni, i moventi e le intenzioni di Maya, ma
contraddicevano stranamente anche se stessi.
Inoltre, mentre parlavano e agivano come se avessero
saputo meglio di Maya quel che ricordava, quel che faceva,quel che immaginava,
quel che voleva, quel che sentiva,se si divertiva o era stanca, questa
“supremazia” era mantenuta spesso con forme ancor più mistificanti
.Per esempio una volta che Maya aveva detto che
desiderava lasciare l’ospedale e che le pareva che la madre tendesse a
lasciarvela anche se ormai il ricovero non era più necessario, la madre disse:
“penso che Maya sia..Penso che Maya sappia che tutto quel che vuole davvero
perchè realmente le giova, io lo ..non lo ...vero?(nessuna risposta).
Non ci sono riserve di nessun tipo...voglio dire che
se ci fossero cambiamenti da fare li farei ben volentieri ...a meno che
non fossero assolutamente impossibili.”
Nulla poteva essere più lontano da quello che Maya in quel momento riconosceva.
Ma si nota la mistificazione nelle parole della madre. Quel che Maya poteva
volere è decisamente qualificato da quel “davvero” e da quel “realmente le
giova”. La signora Abbott, si capisce,era arbitro 1) di quel che Maya davvero
voleva, contrariamente a quello che poteva sembrare a lei di volere, 2) di quel
che le giovava,3)di quello che era possibile.
Maya talvolta reagiva a queste mistificazioni
avvertendole con lucidità. Ma questo le riusciva assai più difficile che a noi .
La difficoltà per lei consisteva nel fatto che non sapeva dire ella stessa
quando poteva fidarsi della propria memoria, di sua madre e di suo padre, delle
proprie prospettive e metaprospettive, e delle affermazioni dei genitori sulle
loro prospettive e metaprospettive.L’analisi attenta della famiglia rivelò
infatti che le affermazioni dei genitori su di lei, su di loro stessi, su quel
che sentivano essere la sua sensazione dei loro sentimenti ecc, e anche sui
fatti avvenuti ,non erano attendibili
Maya lo
sospettava, ma i suoi genitori le avevano detto che i suoi sospetti erano la
sua malattia.Pertanto spesso metteva in dubbio la validità dei propri
sospetti;spesso li contraddiceva in forma delirante o inventava qualche storia
alla quale temporaneamente si attaccava.Per esempio una volta insistette nel
dire che era stata ricoverata in ospedale all’età di otto anni, quando per la
prima volta l’ avevano separata dalla famiglia.
La ragazza era figlia unica ,nata quando la madre
aveva ventiquattro anni e il padre trenta.
I genitori concordavano nel dire che era stata la
compagna preferita di suo padre. Era capace di svegliarlo alle quattro e mezzo del mattino, fra i tre e i sei anni, e
se ne andavano insieme a nuotare. Teneva sempre suo padre per mano . A tavola sedevano sempre vicino, lui le
faceva dire le preghiere ogni sera quand’era a letto. Finchè non fu sfollata a
otto anni. A parte qualche breve visita, la ragazza visse lontana dai genitori
fino all’età di quattordici anni.
La signora Abbott era ben lungi dal manifestare
qualcosa di così semplice come la gelosia quando parlava dell’infantile
intimità di Maya con so marito.Sembrava essersi tanto identificata con Maya da
rivivere attraverso di lei i propri rapporti con suo padre,che erano stati,a
quanto diceva, un susseguirsi di rapidi e imprevedibili passaggi
dall’accettazione al rifiuto e viceversa.
Quando Maya a quattordici anni tornò per restare a
casa ,era molto cambiata.Studiava. Non aveva più voglia di andare a nuotare o a
far lunche passeggiate con suo padre.Neppure voleva pregare con lui. La Bibbia
la leggeva da sola, per conto suo. Le dava fastidio che il padre manifestasse
il suo affetto sedendole vicino a tavola. Voleva sedersi più lontano da lui
. Non aveva voglia di andare nemmeno al cinematografo
con la madre. Voleva trafficare in casa e far le cose per conto suo. Una volta (testimonianza della madre) aveva
lavato uno specchio senza dire alla mamma che aveva intenzione di farlo. I
genitori si lamentarono con noi anche del suo rifiuto di capire il padre e la
madre e di parlare con loro delle cose sue.
La risposta dei genitori a questa nuova situazione ,
che naturalmente li sconvolse,è curiosa. Entrambi avevano l’impressione che
Maya avesse delle capacità mentali eccezzionali,tanto che sia l’uno e che l’altro si convinsero che la ragazza leggeva
i suoi pensieri. Il padre cercò di farselo confermare da una medium.E
iniziarono a fare diversi esperimenti.
Padre: Se io ero al piano di sotto e veniva qualcuno
e chiedeva come stava Maya ,e poi salivo subito di sopra, Maya mi chiedeva”Che
cosa hai detto di me? Io rispondevo “niente” e lei insisteva “ma si ti ho
sentito “ La cosa era tanto strana che ho voluto far delle prove,capisce?E
quando ho avuto conferma di quel che pensavo, mi sono detto:”Bè ,ne parlerò con
mia moglie in segreto .e così gliene ho parlato e lei mi ha risposto:”ma non
fare lo stupido ,non è possibile”. Allora le ho detto:”Va bene, quando usciamo
con Maya in automobile sta sera io mi siederò vicino a lei e mi concentrerò su
di lei. Dirò qualcosa e tu sta’ a vedere che cosa succede.”Mentre mi sedevo lei
ha detto: Ti dispiace sederti dall’altra parte dell’auto? Non riesco a
decifrare quel che pensa papà.” Ed era vero
.....
Queste mistificazioni sono continuate da prima
della” malattia”iniziale fino a oggi e sono venute alla luce solo dopo un anno
di studio da parte nostra.
L’irritazione di Maya ,i suoi scatti ,la sua
confusione, e talvolta un’accusa al
padre e la madre che la volevano “influenzare” in qualche modo, naturalmente
erano state “messe in ridicolo” in sua presenza dai genitori per molti anni, ma
durante il periodo d’osservazione il padre raccontò tutto a Maya.
Figlia Bè, non avresti dovuto farlo, non è naturale.
Padre: Io non lo faccio..non l’ho fatto..pensavo.Bè
è una cosa sbagliata non la faccio più.
Figlia: Voglio dire, il mio modo di reagire
basterebbe a dimostrare che è sbagliato.
Padre: C’è stato un’ altro esempio poche settimane fa, le piaceva una gonna di sua
madre e la voleva.
Figlia: Ma no. Me la sono provata e mi andava bene.
Padre Dunque, dovevano andare da una sarta.. la
sarta era raccomandata da qualcuno, mia moglie vi andò e chiese:”quanto costa
questa?” La sarta rispose :” quattro scellini “ Mia moglie disse “ Oh no ,le è
costata sicuramente di più, di così”. E allora l’altra: “Sa , suo marito mi ha
fatto un favore qualche anno fa e io non mi sono mai sdebitata”. Non so che
favore fosse. Mia moglie le ha dato di più ,si capisce . Così quando Maya è
venuta a casa ha detto:” L’hai presa la gonna ,mamma?” E lei “Si, l’ho presa e
l’ho anche pagata un mucchio di soldi” .Maya le ha risposto: “Eh,non me la fai
mica, m’hanno detto che costava quattro scellini”.
Figlia: No, sette, credevo.
Padre:No, tu hai detto quattro esattamente e mia
moglie mi ha guardato e io l’ho guardata.. Se lei riesce a spiegarsi questa
cosa,io non ci riesco.
Un’ altra delle idee di riferimento di Maya era che
tra i suoi genitori stesse accadendo qualcosa che lei non riusciva a capire e che pensava si riferisse a lei,
ma non poteva esserne certa.
In effetti qualcosa accadeva. Quando la madre ,e il
padre e maya vennero insieme al primo colloquio, il padre e la madre si
scambiavano continuamente sorrisetti d’intesa, strizzatine d’occhi. cenni e
gesti così “evidenti” all’osservatore che dopo circa venti minuti della prima
seduta collettiva egli potè commentarli.
Dal punto di vista di Maya, la mistificazione stava
nel fatto che sua madre e suo padre non riconobbero ciò che il ricercatore
faceva loro osservare,nè l’uno nè l’altro avevano mai riconosciuto la validità
di simili osservazioni da parte di Maya. Il risultato,così ci parve,era stato
che la ragazza non sapeva mai quando percepiva qualcosa che stava veramente
accadendo e quando invece se lo immaginava.Gli scambi verbali manifesti,ma al
tempo stesso segreti, tra padre e madre erano di fatto assolutamente publici e
del tutto evidenti.I suoi dubbi “paranoidi” su quel che avveniva erano dunque,
almeno in parte, espressione della sua mancanza di fiducia nella validità dei
propri sospetti.Non poteva “veramente” credere che quello che le sembrava di
vedere stesse accadendo davvero. Un’altra conseguenza per Maya era che non
riusciva a distinguere tra quello che (per i ricercatori) erano azioni non
intese a comunicare alcunchè (come togliersi gli occhiali, sbattere gli occhi,
fregarsi il naso, aggrottare la fronte e simili) e quelle che davvero erano
segnalazioni tra il padre e la madre.
La cosa straordinaria era che alcuni di quei cenni
erano in parte “prove” per vedere se Maya li raccoglieva. Una parte essenziale
del gioco dei genitori consisteva
tuttavia, quando si facevano osservazioni su queste cose, in risposte di
questo genere:” Come, quale ammiccare?.”
Il caso di Ruby
Quando Ruby (18anni) fu ricoverata in ospedale, era
completamente muta, in preda a un inaccessibile stupore catatonico.Da principio
rifiutava di mangiare, ma a poco a poco fu amorevolmente persuasa a farlo. Dopo
pochi giorni cominciò a parlare.
Divagava,spesso si contraddiceva.In un dato momento
,per esempio, diceva che sua madre le voleva bene,e un momento dopo diceva che
la madre cercava di avvelenarla.
In termini clinico-psichiatrici, c’era un
incongruenza tra pensieri e emozioni; per esempio rideva quando parlava della
sua recente gravidanza e dell’aborto. Si lamentava di sentire dei colpi dentro
la testa e delle voci fuori dalla testa che la chiamavano “sgualdrina”,
“sporcacciona”, “prostituta”. Pensava che la gente parlasse male di lei.
Affermava di essere la Vergine Maria, o la moglie di Elvis Presley.Pensava che
la famiglia la odiasse e volesse liberarsi di lei; temeva che la abbandonassero
in ospedale. La gente ce l’aveva con lei. Aveva paura della folla e della
gente. Quando era in mezzo alla folla ,aveva l’impressione che la terra le
sarebbe aperta sotto i piedi Di notte le “giacevano” sopra delle persone e
avevano rapporti sessuali con lei; dopo che era stata ricoverata in clinica
aveva partorito un topo; credeva di vedersi alla televisione
Chiaramente la struttura del suo senso della realtà,
di quel che è e di quel che non è,era crollato.
La questione che sorge a questo punto è :quel che
comunemente si chiama “il senso della realtà” è stato distrutto in lei da
altri?
Ciò che la ragazza dice o fa può essere considerato
l’evidente manifestazione di un processo patologico?
Ruby è confusa soprattutto in quel che si riferisce
alla propria identità- passa dalla Vergine Maria alla moglie di Elvis Presley-
e non sa bene se i familiari e la gente in generale le voglia bene e in che
senso, se l’amino per quello che è o se la desiderino sessualmente pur
disprezzandola.
Fino a che punto sono spiegabili socialmente queste
zone di confusione?
Per evitare al lettore la nostra confusione
iniziale, per non dire quella della ragazza, riporteremo qui uno specchietto
del nesso familiare.
Stato biologico Nomi insegnati a Ruby
Padre zio
madre mammina
zia (sorella della madre) mamma
zio(marito della sorella della madre) papà, poi zio
cugino
fratello
Ruby era semplicemente una figlia illegittima , allevata
dalla madre, dalla sorella della madre dal marito di questa.
Ci riferiremo ai suoi parenti biologici senza porne
i nomi tra virgolette; metteremo tra virgolette gli appellativi che la ragazza
rivolgeva loro e di cui tutti si servivano.Ruby e sua madre vivevano con una
sorella della madre,sposata,col marito di lei ( “papà”e “zio”)e con il figlio
(suo cugino). Il padre, che aveva moglie e un’altra famiglia, veniva qualche
volta a trovarli. Lei lo chiamava “zio”.
I familiari erano in totale disaccordo ,quando
vennero la prima volta da noi, su un punto : Ruby era cresciuta sapendo “chi
era “ o senza saperlo?
Sua madre (
“mammina”) e la zia (“Mamma”) insistevano nel dire che non ne aveva avuto fino
a poco prima la più pallida idea, mentre il cugino (“fratello”) sosteneva che
probabilmente lo sapeva da anni. Essi ( madre e zii) affermavano pure che nei
dintorni nessuno era al corrente del fatto; però finirono per ammettere che
naturalmente tutti sapevano che era una figlia illegittima, ma che certo
nessuno gliene faceva una colpa. Ci si attendeva da lei, e si mettevano in
opera,le più complicate scissioni e al tempo stesso le più difficili negazioni
nel campo della percezione del sè e degli altri
Era rimasta incinta sei mesi prima del ricovero (e
aveva abortito al quarto mese).Come tante delle nostre famiglie ,questa era
ossessionata dal terrore dello scandalo e dei pettegolezzi, dalla paura di quel
che la gente poteva dire o pensare.Quando Ruby fu incinta,tutto si aggravò.Ruby
pensava che la gente parlasse di lei (cosa che infatti faceva) e che i suoi
familiari ne erano al corrente, ma quando lo disse, essi cercavano di
rassicurarla dicendole di non fare la sciocca ,di non lavorare di fantasia, che
nessuno certo parlava di lei.
E questa non era che una delle mistificazioni cui
era sottoposta.Eccone alcune altre: 1) Nel suo stato svagato “paranoide” ,aveva
affermato che la madre ,gli zii e il cugino non potevano soffrirla,che la
tormentavano, la deridevano, la disprezzavano. Appena si sentì “bene” ,provò un
gran rimorso d’aver pensato cose tanto terribili e disse che la famiglia era
stata molto buona con lei, e che aveva una famiglia incantevole.Di fatto i
familiari le davano ogni motivo di sentirsi colpevole quando li vedeva a quel
modo, poichè esprimevano costernazione e orrore all’idea che lei potesse
pensare che non l’amavano.Però a noi avevano detto che era una sgualdrina e che
valeva poco più d’una prostituta e ce l’avevano detto con la massima violenza.
2) La ragazza ,pur provandone un senso di
colpa,sospettava che non desiderassero il suo rientro dall’ospedale, e li accusava, in sfoghi improvvisi,di volersi
liberare di lei. Loro lei chiedevano come potesse pensare simili cose, ma in
realtà non avevano nessuna voglia di riaverla.
Cercavano di fare in modo che si sentisse pazza o
cattiva quando percepiva il loro vero modo di sentire.
3)Quando rimase incinta furono adottati
atteggiamenti straordinariamente confusi.Appena seppero la cosa da Ruby stessa
,la “mamma” e “mammina” la sdraiarono sul sofà del salotto, e mentre cercavano
di farle lavande di acqua calda e sapone nell’utero, le ripetevano
piangendo,rimproverandola,con un tono pietoso e vendicativo a un tempo, che era
una stupida, che era una sgualdrina che si era messa in un brutto guaio(proprio
come “mammina”), che il ragazzo era un bastardo (“proprio come suo padre”), che
era una sciagurata, che si era ripetuta la stessa storia, che avrebbero dovuto
prevederlo..Per la prima volta le parlarono chiaramente delle sue origini.
4)Dopo di questo l’impressione di Ruby che la gente
parlasse di lei cominciò a prendere piede sul serio. Come abbiamo fatto
osservare, le si diceva che queste erano sciocchezze,anche a noi i familiari
avevano detto che tutti erano tanto buoni con lei data la situazione
.Il cugino era stato il più sincero: “Si ,quasi
tutti sono buoni con lei, come se fosse una persona di colore”.
5) La famiglia era oppressa dalla vergogna per lo
scandalo. E mentre continuavano a ripeterlo a Ruby, contemporaneamente le
dicevano che pensare che la gente parlasse di lei era frutto della sua
fantasia.
6) I familiari l’accusavano di essere viziata, ma
quando lei aveva tentato di
contraddirli,le avevano detto :1) che era
un’ingrata;2)che aveva certamente bisogno di loro perchè era ancora una
bambina. (Come se l’esser viziata fosse stato qualcosa che aveva fatto lei).
Dello zio la madre e sua sorella avevano detto che
era una una gran brava persona, che voleva bene a Ruby e che la trattava come una
figlia.Assicurarono che era disposto a fare qualunque cosa per contribuire a
risolvere il problema della ragazza.
Malgrado questo non fu mai possibile farlo venire a
un colloquio. Furono fissati sei appuntamenti apposta per lui durante il
periodo della ricerca e tutti furono disertati senza preavviso o con un
preavviso di ventiquattr’ore al massimo.Riuscimmo infine a parlargli, ma
soltanto piombandogli a casa all’improvviso.Secondo quanto riferivano la madre
e gli zii, alla ragazza era stato più volte detto che non si ravvedeva sarebbe
dovuta uscire di casa. Ci risulta che due volte lo zio le aveva detto di
andarsene e lei se ne era andata.
Ma quando
lei ripetè di fronte a lui che le era stato detto di andarsene , egli con lei
negò il fatto (che non aveva negato a noi). Lo zio ci raccontò tremando che la ragazza gli metteva le mani
addosso, che senza parere lo toccava attraverso i pantaloni,che la cosa gli
dava il voltastomaco. Sua moglie disse con aria indifferente che non sembrava
così stomacato quando la cosa avveniva.
Ruby successivamente interrogata, non parve
cosciente del fatto che allo zio non piacesse essere vezzeggiato e accarezzato.
Credeva che gli piacesse, e lo aveva fatto per fargli piacere.
Non soltanto in un campo, ma in tutti i modi possibili,
riguardo al vestirsi,al linguaggio che usava,allo studio,agli amici,la ragazza
era stata sottoposta a mistificazioni che erano penetrate nei pori di tutto il
suo essere” [53]..
LA
MISTIFICAZIONE DELLA SOCIETÀ
Paragrafo 2.8
“ Salute e malattia, norma e
devianza, dentro e fuori,
più e meno, prima e dopo,sono- nel la tendenza
totalizzante del capitale-poli contrari e insieme
equivalenti di una realtà unica: percentuali della
stessa unità che variano quantitativamente a
seconda del ruolo
prevalentemente giocato
dall’uno e dall’altro, nel processo complessivo
in cui l’uomodiventa oggetto del ciclo produttivo”.[54]
L’unica via d’uscita per una
persona che vive in un contesto mistificante è la follia intesa come fuga in un mondo interiore
fantastizzato, che ormai non segue più le regole del sentire comune.
Abbiamo conosciuto noi tutti
qualcuno che fosse folle e tutti ci siamo trovati di fronte a un comportamento
bizzarro; certo è che poche volte abbiamo
cercato di capire quella persona . Noi tutti ci siamo nascosti dietro la
certezza di una diagnosi medica; è uno schizofrenico, è un malato di mente,
che deve essere curato nei luoghi
appositi , dagli psichiatri e con delle
cure adeguate. Penso che dopo aver conosciuto l’opera di Laing questo giudizio
non ci sembrerà più così ovvio. La schizofrenia non è un processo patologico
che si evolve in una persona , ma è una
prassi che si realizza nella famiglia e che taglia le gambe all’individuo.
Nell’analisi di Laing non manca
certo un richiamo forte a un’altro aspetto della realtà, ovvero il macrosistema - società, all’interno del quale
la famiglia - microsistema, è inserita. La famiglia ripropone le regole della
società, i valori, come anche i tabù. La famiglia, nella quale avviene la
socializzazione primaria, agisce da mediatore delle regole, di cui spesso è una
semplice esecutrice, senza però avere una piena consapevolezza delle finalità
nascoste.
Laing ripropone la lettura
marxista della società, che è una
società fortemente mistificata, alienata, che vive orientata verso valori utilitaristici come: produttività,
competitività, consumismo, etc., che
l’individuo subisce sulla propria pelle, come unica alternativa per poter
sopravvivere. Ma il vero problema non sta
tanto in questo insieme di regole, ma più che altro nella mancanza di
metaconsapevolezza, che viene mantenuta, da chi ha forti interessi economici,
il capitalismo.
Tutte le agenzie formative, dalla
famiglia alla scuola, ai mass media, perpetuano il modello vigente. L’approccio
di Laing potrebbe essere definito ecologico, perchè analizza la schizofrenia
alla luce della famiglia e della società e mostra come quest’ultima sia una
conseguenza di una prassi mistificante in cui tutti siamo immersi.
Lo stesso significato di normalità
e anormalità è frutto di una mistificazione. Infatti essere normali significa
escludere dalla propria vita tutto ciò che non è diretto a mantenere l’unità
del gruppo. Essere normali significa essere ben adattati a questo sistema , che
limita fortemente la nostra esistenza, definendo ciò che è reale da ciò che è
fantastico, ciò che è possibile da ciò che non è possibile. Divisioni , se
vogliamo, arbitrarie e limitanti e che tendono ad escludere, dalla coscienza
quotidiana ,una parte dell’esperienza umana
come i sogni, la morte, la follia etc. Essere diversi, uscire dalle
regole è un pericolo per l’equilibrio del sistema, che viene superato
attraverso il forte controllo sociale, il rifiuto e l’esclusione del diverso.
Controllo sociale che viene effettuato dalle diverse agenzie educative.
Laing sottolinea come la
psichiatria assolva a questo ruolo di controllore sociale, infatti la definisce “ una branca della politica” che
mistifica, sia la società, definendo come malattia mentale quella parte
dell’esperienza umana così terrorizzante, sia l’esperienza già confusa di chi
vive un crollo psichico.
Anche Basaglia concorda con la
visione di Laing e infatti afferma : “E’ evidente l’alleanza
originaria della psichiatria con la giustizia. Lo psichiatra, nell’espletamento
del suo mandato professionale, è contemporaneamente medico e tutore
dell’ordine, nel senso che esprime nella sua azione presuntivamente
terapeutica, sia l’ideologia medica che quella penale dell’organizzazzione sociale
di cui è membro operante. Gli è cioè riconosciuto il diritto di mettere in atto
ogni tipo di sanzione attraverso l’avvallo che gli dà la scienza, per un
arcaico patto che lo lega alla tutela e alla difesa della norma. Per questo nella nostra cultura il fenomeno della devianza resta compreso
nell’ambito di una conoscenza e di una pratica
di natura repressiva e violenta, corrispondente ad una fase di
sviluppo del capitale in cui il
controllo si manifesta ancora sotto forme arretrate e rigide,nello stigma dello
psicopatico e del delinquente”.[55]
Dichiarare l’altro folle mette
tutti al sicuro dall’ansia che si prova pensando che la follia è
un’esperienza possibile.
M.Foucoult[56]
fa risalire la separazione tra le esperienze possibili, al XVI secolo, quando attraverso l’ internamento, si
reagiva alla miseria al patetico, a tutte quelle esperienze dove l’uomo non è
padrone della propria esistenza.
Al Rinascimento bisogna far risalire il rifiuto della miseria e della follia, che non vengono considerate più come delle esperienze mistiche , come accadeva nel medioevo.
Tuttavia nonostante questo rifiuto
e la conseguente relegazione nelle case di correzione, non si era ancora
arrivati a considerare la follia come una
malattia, la prova concreta di ciò è che l’internamento non è stato mai
una pratica medica. I primi cambiamenti li troviamo con Pinel che,
nel XVII secolo, affermò la necessità di un’assistenza medica e umana
per i folli, per poi arrivare a
Kraepelin (1886) che fondò la nosografia psichiatrica e che portò al definitivo
appropiarsi della follia da parte della medicina. Sempre più interessata,
quest’ultima, alla classificazione delle malattie psichiatriche a discapito della comprensione di
queste esperienze che venivano considerate assurde poichè i pazienti venivano visti solo all’interno
degli ospedali, fuori dal loro contesto e
senza conoscere la loro biografia; eccezion fatta per alcuni studiosi più illuminati ma,
comunque, sempre fedeli all’approccio organicistico.
Un lungo percorso, dunque, verso
la medicalizzazzione di un ambito dell’esperienza umana e che ha portato sempre più ad accentuare la
scissione tra ciò che è sano e ciò che è malato,tra ciò che è possibile e ciò
che non lo è, tra ciò che è irrazionale e
ciò che è razionale.
La psichiatria ha perpetuato
violenza, con i suoi metodi di “cura” ( farmaci, lobotomia, elettroscock ), e
di esclusione; essa è stata uno
strumento di oppressione e di controllo sociale della devianza: erano considerate
sintomo di malattia mentale anche l’omosessualità,
la masturbazione, e i comportamenti considerati asociali.
Inoltre secondo Laing la
psichiatria ,attraverso la diagnosi di malattia mentale, non fa altro che
perpetuare la mistificazione messa in atto nel sistema familiare. Infatti lo
psichiatra considera le azioni e il linguaggio di una persona in crisi come i
sintomi della malattia .Questa prassi psichiatrica è uguale alla prassi
mistificante messa in atto dai familiari, che interpretano le percezioni
divergenti dalle proprie come non volute dal soggetto ma legate alla malattia..
La diagnosi medica chiude il ciclo
di mistificazione, poichè non permette alla persona di rendersi conto se le
proprie percezioni sono valide; impedisce di prendere coscienza di sè stesso e
della realtà insomma lo immobilizza nel suo stato di confusione.
Nessuna risposta o aiuto viene dato per comprendere ciò che succede dentro di
sè. Anzi alla confusione si aggiunge la disperazione nel pensare che c’è
qualcosa dentro di sè che non va, che non funziona correttamente. Vista in
questi termini, quindi, la diagnosi medico psichiatrica risulta
essere dannosa, in quanto cancella tutti i dubbi ,che eventualmente hanno i
genitori, sulla possibilità di capire ciò che succede, e in secondo luogo
conferma la confusione nella quale la persona si trova.
Le possibilità di guarire una
volta passati per questa trafila sono poche, perchè comunque permane lo spettro
della malattia, e anche perchè la guarigione non è altro che un’altra
mistificazione. Infatti migliorare, tornare alla normalità significa accettare
la verità imposta dagli altri, significa tornare a fingere accettando di
colludere con gli altri..Vediamo quindi che si è sani quando non si cerca di
essere più sè stessi. Ma lo spettro della malattia non si allontana mai, nonostante
ogni sforzo, l’etichetta data rimane incollata alla persona per sempre.
CAPITOLO
TERZO
SCHIZOFRENIA UN’ESPERIENZA POSSIBILE
L’ESPERIENZA PSICOTICA
paragrafo
3.1
Nel precedente capitolo ho cercato
di dimostrare come l’esperienza dello schizofrenico sia intelligibile se vista
alla luce del contesto familiare in cui si manifesta.
In quest’ultimo capitolo invece
cercherò di dimostrare come
l’esperienza psicotica, non sia un’esperienza di semplice confusione, ma come
sia anche il modo con cui la psiche
cerca di superare la disintegrazione dell’io e la confusione esistenziale.
Tenterò di dimostrare come questa
esperienza non sia esclusivamente
l’espressione di una degenerazione psichica, nell’accezione della
psichiatria organicistica tradizionale che, probabilmente, alla luce di quanto
detto, ha spesso tralasciato di
comprendere i significati simbolici
presenti nei deliri psicotici. Deliri che, come si è visto, rivelano e partono
da contesti familiari irrazionali e attraverso i quali l’individuo esprime in forma simbolica e
fantasiosa la sua esperienza esistenziale. Nei deliri convergono sia la
fantasia che ha nutrito l’io incorporeo, nei suoi tentativi falliti di
separarsi da quella parte di sè stesso considerata non autentica, sia la
fantasia del sistema familiare, che risulta quanto mai complessa e che richiede
uno studio approfondito della famiglia e delle generazioni precedenti.
Nel decorso psicotico, l’individuo
assalito da questa marea di simboli, si allontana dalla realtà e si ritrae in sè stesso, in uno stato di coscienza
alterato, il suo comportamento diventa sempre più infantile, fino a regredire a
forme fetali, dove ogni controllo su sè stesso svanisce.
L’individuo entra in uno stato di
coscienza alterato, compie un’esperienza paragonabile a quella mistica o a
quella ottenuta attraverso l’assunzione
di sostanze psichedeliche. La
differenza sostanziale, rispetto a questi altri tipi di esperienze, risiede non
tanto nel tipo di esperienza ma nel contesto in cui avviene; infatti alcuni
individui vivono delle esperienze mistiche, ma non vengono considerati folli e,
grazie a un contesto sociale e familiare che li approva, riescono ad emergere e a trarre dei benefici
da queste stesse esperienze. Lo stesso
vale per quelle persone che, negli anni settanta, sotto il controllo del
terapeuta hanno fatto uso di sostanze psichedeliche, compiendo così dei
vertiginosi viaggi nella propria psiche.
La possibilità di queste
esperienze sta a dimostrare che la facoltà di avere esperienze mistiche risiede
in ogni individuo. Essa fa parte della natura spirituale degli esseri umani. Ma
la scienza e la cultura Occidentale con
la sua visione dualista, dove l’Io è separato dal mondo, ha dimenticato il
fondamento spirituale e divino di tutti gli esseri.
Studi sulle civiltà indoeuropee
mostrano la frequenza di rituali di iniziazione a carattere misterico ed
esoterico.[57] Infatti
l’uomo fin dai tempi neolitici era stato abituato alla presenza dell’ineffabile
e lo sciamano era una figura essenziale per il suo ruolo di intermediario tra
le forze indicibili e la vita quotidiana che su queste si fondava e trovava
alimento.
Anche i buddisti Zen, come tanti
altri praticanti delle millenarie
discipline orientali ( taoisti, induisti, etc.) rivendicano il valore fondamentale dell’esperienza mistica
dell’unità, per la guarigione
dell’umanità ammalata di visione parziale, razionale e materialistica del mondo. Questi viaggi
nella psiche sono pericolosi, se lasciati al caso, a causa dell’enormità di
simboli e visioni che avvolgono l’individuo il quale perde ogni senso d’orientamento. Non è infatti casuale che gli
sciamani avvertissero sulla potenza di questa esperienza, che loro provocavano
con delle sostanze e che richiedeva da parte dell’iniziato un totale e
incondizionato smembramento psichico. prima di giungere nella dimensione
estatica. Questi due momenti erano chiamati dai greci con i nomi di Dionisio e
Apollo. Il primo era la vertigine, il vuoto; il secondo la ricomposizione, il
significato ultimo. Rimanere con Dionisio era terrificante se non interveniva
l’altra divinità.Gli antichi sapienti sapevano infatti che la crescita umana
doveva necessariamente transitare attraverso questa dolorosa fase di passaggio.
Ecco quindi l’importanza di un’ambiente ben accetto e rassicurante e di una
guida che, come lo sciamano, aiuti l’individuo nel suo viaggio nella psiche,
nello spirito. Tale contesto manca per lo più agli psicotici durante questo
“sprofondamento”, ma diversi studiosi sono concordi nell’affermare su come questa esperienza, se portata a termine, conduca alla “guarigione”.
Questo viaggio della psiche che si
attiva quando “è
presente una divisione tra l’immagine che la persona ha di sè, il modo in cui
la persona si vede e si valuta e
l’immagine archetipica che la compensa in profondità”[58], condizione che porta all’abolizione della personalità
falsa dello schizoide per realizzarne
invece una autentica. Secondo W.Perry, attraverso la regressione
psicotica l’individuo ricostruisce l’immagine di sè e impara anche ad amare e
ad essere amato, esperienze che nella fase pre- psicotica sono considerate
pericolose perchè minacciano la precaria identità.
Laing si è interessato di
questo viaggio compiuto dallo psicotico
dentro sè stesso e sostenendo che “quando un individuo impazzisce, si verifica un
profondo mutamento della sua posizione rispetto tutti i reami dell’essere; il
centro della sua esperienza si trasferisce dall’io al Sè; il tempo mondano si
fa puramente episodico, e solo quello eterno che conta.Tuttavia il pazzo è
confuso: mescola l’io con il sè, l’interiore con l’esteriore, il naturale con
il sovrannatural.”[59].
L’esperienza psicotica è una delle
esperienze possibili all’essere umano, certo non è voluta o piacevole, ma è pur
sempre un’esperienza, che essendo iniziata deve essere portata a termine, cosa
che non avviene nella maggioranza dei casi, proprio perchè questa viene
considerata come la sgradevole sintomatologia di una malattia.
Gli psichiatri infatti hanno
considerato la regressione come una degenerazione della psiche, ma è molto
interessante portare in questa sede le affermazioni di Silvano Arieti a
proposito del processo di regressione: “Possiamo
però avanzare l’ipotesi che questo comportamento del bambino, delle scimmie
prive di lobi temporali e degli schizofrenici regrediti sia un modo di reagire
primitivo, che è caratteristico di un certo livello di sviluppo ed è inibito o
trasformato dai centri più elevati...E ancora...La reazione di mettere in bocca
sembra appartenere a un livello molto inferiore rispetto ad altri meccanismi
arcaici... Nei malati mentali questo comportamento si osserva specialmente nei
catatonici o ebefrenici. Sebbene sia un sintomo di avanzata regressione, non è
infausto. In effetti alcuni catatonici che mangiavano le feci o se ne
cospargevano, qualche volta, hanno avuto una remissione temporanea o
raggiungono perfino una guarigione apparentemente completa.”[60]
E’ molto interessante sia
quest’ultima affermazione, sulla guarigione, che è esente da influenze
ideologiche, sia la descrizione della regressione come un ritorno a un
comportamento sempre più infantile. Cambia solo l’interpretazione di questi
dati, che invece per Laing e altri rappresentano non una regressione ma
un’evoluzione della psiche. Ecco perchè è molto importante che questo processo
non venga interrotto con farmaci, o nel passato ancora recente con
l’elettroschock o la lobotomia. Tutti
interventi il cui unico effetto è
cancellare ogni ricordo e ogni vitalità.
La conseguenza di queste terapie inibenti è quella di bloccare e fissare il soggetto in uno stato di disagio.
Inoltre, all’interno del contesto
psichiatrico, il soggetto, che è impegnato in questa esperienza complicata, non
riesce ad emergere perchè ulteriormente confuso; infatti attraverso
l’esperienza psicotica l’individuo cerca di comprendere ciò che gli succede,
anche se questo risulta difficile, perchè l’individuo è mistificato sulla sua
condizione. La psicosi è così il modo della psiche di sciogliere il nodo che la
avviluppa.
Anche Jung vedeva nella psicosi un processo di
riorganizzazione del Sè, attraverso
meccanismi di morte e rinascita e attraverso lo scontro, il capovolgimento e
l’unione degli opposti.
Tra l’altro, lui stesso aveva
compiuto un viaggio nell’inconscio (1913-1919),che definì individuazione e che lo
aveva portato alla scoperta del Sè, degli archetipi e dell’inconscio
collettivo. Così Jung descrive questa esperienza : “Fui travolto da questo
torrente di lava, e il suo fuoco diede nuova forma e nuovo ordine alla mia
vita. Fù la materia prima, che mi costrinse a plasmarla; e le mie opinioni sono
un tentativo, più o meno riuscito, di incorporare questa materia nella
Weltanschauung del mio tempo.Quelle mie prime fantasie e quei sogni erano come
magma fuso e incandescente:da essi si cristallizzò la pietra che potei
scolpire”[61].
Nella psicosi acuta l’individuo si
immerge in un mondo interiore simbolico, che gli permette di riorganizzare
alcune esperienze. Laing parla di un viaggio in cui l’individuo si imbarca, durante
il quale perde ogni contatto con la realtà.
E’ un viaggio non senza pericoli:
il pericolo più grande è forse lo smarrimento che ne deriva di fronte a un
esperienza che perde ogni riferimento convenzionale e che rischia, come dice
Jung , di far “perdere la bussola”. Infatti quest’ultimo, quando era impegnato
con le sue fantasie cercava di mantenere un punto d’appoggio nella realtà: “Era molto importante per me
avere una vita normale nel mondo reale, per bilanciare la stranezza del mio
mondo interiore”[62].
Certo l’esperienza di Jung non può
essere paragonata a quella di uno schizofrenico, fortemente confuso su sè
stesso e sulla natura delle sue esperienze, laddove Jung intraprese questo
viaggio con una certa lucidità, ma la testimonianza junghiana ci aiuta a
comprendere il significato e lo scopo
di siffatte esperienze. Ci può aiutare a capire che il viaggio
nell’inconscio non è prerogativa del malato di mente, ma è un’esperienza che ha
accomunato persone diverse come: Holderlin, Rimbaud, Van Gogh, Nietzsche,
Antonin Artaud..e tanti altri ancora.
Laing afferma in maniera
lapidaria: “La
pazzia che riscontriamo nei “pazienti” è un volgare travestimento , una
parodia, una grottesca caricatura di ciò che potrebbe essere la guarigione
naturale di quell’alienata integrazione che chiamiamo sanità.
La vera sanità comporta in un modo o nell’altro la
dissoluzione dell’io normale, di quel falso io abilmente adattatosi alla nostra
alienata realtà sociale: l’insorgere
come mediatori degli archetipi
“interiori” della potenza divina, e attraverso questa morte una
rinascita, e l’eventuale ristabilirsi di
un nuovo tipo di funzioni
dell’io, di un io che non tradisca più il divino, ma lo serva”.[63]
LA METANOIA
paragrafo 3.2
La psicosi, lungi dall’essere un modo patologico di reagire alla confusione, è uno sprofondamento in uno stato di non differenziazione e di non integrazione, durante il quale l’individuo ripercorre all’indietro le tappe dell’evoluzione individuale e sociale. Per Laing questo viaggio nello spazio e nel tempo interiore rappresenta un processo di guarigione naturale, che la psiche adotta per riorganizzare l’io diviso. Tale viaggio ha un doppio movimento, regressivo e progressivo, che presenta le seguenti caratteristiche:
un viaggio di andata:
“ 1)Un viaggio dall’esteriore all’interiore;
2) Dalla
vita a una specie
di morte;
3) Da un andare avanti a un andare indietro;
4) Da un tempo in movimento ad un tempo statico;
5)Da un tempo mondano a un tempo eonico;
6)Dall’io al sè;
7)Dall’essere fuori (dopo la nascita) al rientrare
in grembo al tutto (prima della nascita);
e successivamente un viaggio di ritorno :
1)
Dall’interiore all’esteriore;
2)Dalla morte alla vita;
3)Dal moto indietro ancora al moto in avanti;
4)Dall’immortalità indietro alla mortalità;
5)Dall’eternità ancora al tempo;
6) Dal sè ad un nuovo io;
7)Dalla trasformazione in feto cosmico ad una
rinascita dell’ esistenza”. [64]
Questo viaggio, quindi, è percepito
come un arretrare ed un avanzare nel
tempo, che corrispondono ad una
regressione e ad una progressione e, i movimenti fra l’uno e l’altro, a una recessione e processione. La recessione e la regressione si verificano insieme. Dove la recessione è una forma
di regressione portata più indietro di quello che sembra essere il punto di
partenza storico personale dell’individuo.Mentre la regressione è un andare a
ritroso emotivo ed esperenziale nel tempo personale “ è confinato in un guscio
di noce (regressione intrauterina) ed è spazio
infinito ( recessione fino alla perdita di gran parte delle distinzioni)”. [65]
Questa esperienza può durare pochi
secondi o molte settimane e, in alcuni casi, anni e si può riproporre a
distanza di tempo.
Esterson afferma che questa
esperienza “è
diversa dalla fantasia che ha a che
fare con il proprio personale essere per sè in rapporto a se stessi e gli
altri,[...] questa è l’esperienza di immersione salutare in acqua interna è la
realtà originaria a cui fa riferimento e di cui è simbolo il battesimo con
acqua fisica”[66]
Il soggetto attraverso questo
viaggio entra così in contatto con una particolare zona dell’esperienza, quella
che è stata definita da Jung inconscio collettivo, e attraverso una serie di trasformazioni, cerca di
sbloccare la situazione e di sciogliere
il nodo che lo soffoca. Se questa situazione si sblocca “o se si comincia a
manifestarsi quella funzione trascendente del Sè di cui Jung parla come del
fattore centrale della guarigione, allora emergono le forme archetipiche tipo mandala, e queste persone vedono il mondo
assumere un ordine.”[67].
Secondo Laing nella
regressione ricorrono esperienze pre- natali, che riportano a rivivere il percorso
dall’annidamento alla nascita vera e propria. Forse questa è la parte, del discorso di Laing, che può sembrare più sconcertante: si parla
di un ritorno ad esperienze pre-natali,
di cui non abbiamo nè ricordo, nè la possibilità di stabilire se sono
autentiche. “Una
visione embrionale non dovrebbe essere interpretata come un miraggio della
memoria, una falsa memoria, una visione presente, una rappresentazione della
forma di un attuale stato di cose, proiettata sul passato” [68].
Secondo Laing queste esperienze permangono nella psiche e costituiscono schemi di sensazioni e fantasie che si presentano in sogni, nello schema e nell’immagine corporea, in visioni e nei più comuni stati mentali.
Lo stesso Freud capì che esiste un
continuum biologico prima, durante e dopo la drammatica cesura della nascita,
infatti nell’Interpretazione
dei sogni, egli osserva come “un gran numero di sogni angosciosi, hanno per
contenuto il passaggio per ambienti stretti e la permanenza in acqua, hanno
alla base fantasie sulla vita
intrauterina, la permanenza nel ventre
materno e l’atto della nascita.”[69] e ancora in una nota dice “ l’atto della nascita è del resto la prima
esperienza angosciosa e perciò fonte e prototipo del sentimento d’angoscia.[70]”,
ma Freud si limiterà a parlare di
fantasie legate ad impressioni “assai primordiali, di natura
generalissima, da situarsi nella preistoria non dell’individuo, bensì della
specie.”[71]. Quindi
Freud cerca di spiegare queste fantasie attraverso la teoria filogenetica,
secondo cui tale bagaglio di fantasie e ricordi rappresenta l’immaginario della
specie, rifiutando invece la teoria ontogenetica, che fa risalire tali ricordi
all’esperienza reale dell’individuo, poichè gli sembrava assurda e non
conciliabile con l’oggettività della scienza. A questa interpretazione rimarrà
fedele lo stesso Jung; mentre altri come: Otto Rank, Fodor, Peerboltte,
sosterranno l’ipotesi ontogenetica per spiegare i simbolismi legati alla vita
intra-uterina e a alla nascita. Laing aderisce a quest’ultima ipotesi,
considerandola possibile più di quella filogenetica: se accettiamo, infatti, di
poter avere reminiscenze legate al passato della specie perchè non dovremmo
poter ricordare esperienze effettivamente vissute?
Al fine di chiarire la
corrispondenza fra strutture biologiche e psicologiche riporto di seguito un esempio
citato da Laing e tratto da: “Nascita dell’esperienza”: “Si presentano qui quattro sogni che una
signora ebbe mentre usciva da uno stato cui era sprofondata per mesi e che lei aveva definito il freddo della morte
e un arazzo di irrealtà:
In un sogno era stata messa con le spalle al muro da
un uomo che voleva aggredirla.
Sembrava non esservi alcuna via di scampo.Era allo
stremo delle forze quando, sempre nel sogno, tentò di rifugiarsi nella
coscienza vigile, ma continuava a essere con le spalle al muro, anzi ora la
situazione era peggiorata perchè reale, così si rifugiò nel sognare che
<<tanto era solo un sogno>>. In un altro sogno era dentro a una
casa buia, guardando dalla soglia di una porta attraverso la quale era posato
un ombrello nero.
Nel sogno sentì che dentro c’era l’irrealtà e fuori
la realtà, ma l’ombrello le impediva di uscire.In in terzo sogno, si gettava da
un aeroplano con il paracadute.In un quarto sogno, lei guardava da fuori un
grande aeroplano;sul portello dell’aeroplano era in piedi un dottore che
incorporava elementi di varie persone (compreso Laing).Questa volta lei era
convinta che fuori fosse la realtà e dentro l’irrealtà. Voleva tornare dentro
nell’irrealtà, ma il medico le sbarrava la strada
Nella diversità di contenuto fra i vari elementi
onirici, lei, la casa scura, la porta, l’ombrello nero, da un lato, e la
matrice biologica, feto grembo, cervice, placenta, dall’altro, si individua una
analoga forma organica dinamica.
Lei la
casa scura la soglia l’ombrello nero
Feto
grembo cervice placenta
La somiglianza fra lo psicologema e il biologema è
tanto dinamica quanto statica.Lo strano stato mentale in cui era vissuta per
alcuni mesi in seguito alla nascita di un bambino era stato annunciato da un
sentimento convinto che un verme invisibile, o germe le fosse penetrato nel
grembo, una notte durante un sogno, mentre era in corso una terribile tempesta.
Da allora era vissuta in uno stato tagliato fuori dalla vita ordinaria , e
dalla realtà Così come l’inizio del suo stato era stato annunciato da immagini
che suggeriscono il concepimento o l’annidamento, quando cominciò ad uscirne
ebbe immagini che fanno pensare alla nascita.
1)Lei e un uomo in una stanza. C’è un uscita. L’uomo
le impedisce di uscire.
2) E’ in una stanza con un’uscita. Un ombrello
aperto, il manico verso di lei le impedisce di uscire.
3)E’appena scesa da un’aeroplano. Un paracadute
ritarda la sua caduta altrimenti catastrofica..
4) E’ fuori dall’aeroplano. Entrambi sono atterrati.
Ha voglia di tornare dentro l’aeroplano. Un medico glielo impedisce.
In ciascuno dei sogni, vi sono versioni di lotte che avvengono su una soglia, per andare avanti e indietro,
per entrare o uscire dalla stanza o dall’aeroplano. Nei primi due sogni la
lotta è per uscire, negli altri due è uscita. Nel quarto ha l’impulso di
ritornare. Nei primi due le viene impedito di uscire. Negli ultimi due di
ritornare.Le trasformazioni nei suoi sogni sono come fasi di rito di passaggio;
sia onirici sia esistenziali sono le prove che un simile rito obbliga ad
affrontare.”[72]
Vediamo, quindi, come sogni e
drammi presentano modelli prenatali (feto, cordone ombelicale, placenta, utero)
e perinatali.
Sempre secondo Rank, Fodor, Lake e
altri, una volta che l’esperienza originaria catastrofica viene rivissuta e reintegrata, il suo
incantesimo evapora, quindi l’ individuo rivivendo questa esperienza,
attraverso i sogni o la regressione psicotica,
si libera di quell’angoscia primaria.
Tuttavia la scienza occidentale
rifiuta queste speculazioni in quanto
non è possibile sottoporle a studi
sistematici e oggettivi; per Laing, invece, sono possibilità umane da non
escludersi a priori e, comunque, ritrovabili, quasi come connotato comune,
nelle regressioni psicotiche, nelle quali si ripropone il movimento di morte e resurrezione che
conduce l’individuo ad uno stato nuovo . Piochè attraversa questo processo di
trasformazione potenzialmente liberatorio, l’individuo giunge ad un mutamento della mente, che
Laing definisce con un termine greco: metanoia .
Proponiamo ancora un’altro
esempio, che evidenzia la presenza di temi biologici, mitologici e psicologici,
tratto sempre da: “La nascita dell’esperienza”:
“Lui ha ventiquatttro anni. Vive con sua moglie e un
bambino di un anno. Sono sposati da due
anni. Negli ultimi due mesi lui non ha fatto quasi altro, notte e giorno, che
starsene seduto su una sedia o accovacciato sul pavimento. Raramente pronuncia
una parola. Non dà nessuna spiegazione. Non ha mai agito così prima.Quando gli
chiedo cosa sta succedendo , lui rompe il silenzio per raccontarmi
coerentemente e fluentemente una storia, di cui quel che segue è una versione
molto sintetizzata.
Poco prima del suo matrimonio, ebbe un breve
incontro omosessuale, l’unico della sua vita.Per diverse settimane in seguito,
<<ondate>> di sentimento che egli era il Cristo, il salvatore, lo
assalivano e talvolta non lo abbandonavano per ore.Tutto rimase tranquillo per
alcuni mesi, quando ondate di sentimento lo sopraffecero, e questa volta di essere
Giuda, il traditore del Salvatore. Anche queste ondate si ritirarono, e nulla
successe per diversi mesi, finché alcuni mesi fa, entrambe le ondate di
sentimenti di essere Cristo e Giuda tornarono, talvolta separatamente, talvolta
insieme. Talvolta era propenso a credere a una , talvolta, all’altra, o a
entrambe, o a nessuna delle due. Ormai le ondate lo logoravano. Quando si
avvicinò allo sfinimento completo, cominciarono a sopraffarlo. Era alla loro
mercè.
Tutto quel che sentiva di poter fare era conservare
l’equilibrio, in tutti i sensi, compreso lo sforzo di mantenersi
simmetricamente immobile su una sedia. Ogni movimento asimmetrico gli
richiedeva la stessa precauzione che se stesse camminando su una corda sospesa
nel vuoto.
Un impulso inesplicabile lo indusse ad accovacciarsi
sul pavimento, a occhi chiusi.quando si fu accovacciato, cominciò a diventare
Cristo e ,improvvisamente, senza alcuna premonizione, egli, Cristo,scomparve
attraverso il pavimento. Per alcuni secondi lui e Cristo rimasero collegati,
poi furono scissi.Aveva perso se stesso e Cristo in un momento solo. E lui era
lì, abbandonato, accovacciato sul pavimento,il doppio di sè stesso, il proprio
spettro, giuda, malvagio, corrotto, marcio e putrescente, moribondo, in ogni
istante sul punto di essere gettato attraverso un buco nero nel pavimento,
chissà dove. Non potè fare altro che stare accovacciato, in attesa . Mentre se
ne stava così, sentiva, benchè avvertisse che era un sentimento assurdo, che
doveva aggrapparsi e avvinghiarsi al mondo per restarvi dentro, e allo stesso
tempo che ciò era inutile, perchè questo mondo era incessantemente,
implacabilmente nell’atto di staccare ed espellere lui da se stesso.
Quando no era accovacciato sul pavimento, si
bilanciava sulla sedia. Cominciava ad avvertire il bisogno di rannicchiarsi e sentiva di trovarsi
dentro qualcosa da cui doveva urgentemente uscire
.Poteva avere la sensazione di uscirne un poco,
mettendo il braccio destro dietro di sè, premendo il dorso contro di esso e
dentro di esso, dopo di che attraversava drammi inimmaginabili, mentre si
partoriva sotto forma del suo ,braccio, lentamente e con tribolazione, dal
dorso e dalla sedia, finchè come un serpente che scivola attraverso una fessura
in una roccia, egli, nella forma del suo braccio si liberava
Disorientato ,si vede diventare il Serpente del
Male, Adamo ed Eva, e l’Albero della Vita, Cristo e Giuda, IL Sè che ha
perduto, il suo doppio, il suo spettro, una placenta senza il suo feto, le connessioni
recise fra ogni cosa, tutto in uno.
Gli viene in mente che non uscirà da quel che è
finchè non diventerà del tutto come il
serpente con la coda in bocca, un completo organismo intrauterino,prima che il
serpente ombelicale diventasse il male, quando Giuda e Cristo erano ancora
fratelli di sangue.
Da questa esperienza molto condensata possiamo
trarre le seguenti corrispondenze
E’
accovacciato
sul pavimento come se
fosse un organismo
intrauterino comprendente feto-cordone
ombelicale-placenta.
pavimento è come il pavimento pelvico.
Cristo
sparisce
attraverso
il pavimento come un feto ha attraversato il canale
della nascita
Egli è
espulso e abbandonato,
e
questi due Sè sono ancora collegati
Il suo Sè totale è nato, il suo
cordone ombelicale non è
ancora stato
reciso, poichè la
placenta è rimasta indietro
.
E’
tagliato fuori Il cordone ombelicale è
reciso.
Il
mondo lo sta staccando L’utero si sta staccando
da se
stesso, ma lui si dalla placenta, che è ancora
aggrappa,si
avvinghia,
aggrappata,sul punto di
sul
punto di essere essere espulsa.
espulso , di diventare corrotto,
di
perire
Egli sente che deve tornare ancora più indietro,
alla fase precedente il momento in cui uscì da questa impossibile ,
insostenibile, aliena, mortale, assurda, pazza posizione di essere la propria
placenta recisa, abbandonata sul punto di essere espulsa e di perire, il suo
doppio, il suo spettro, Giuda, l’altro MalignoLo slancio della regressione lo
portò indietro o dentro, da ritornare alla posizione urobica del serpente con
la coda in bocca, prima che divenisse un tragico doppio.
Sembra un accettabile descrizione generale di alcuni
aspetti della struttura e dinamica della sua esperienza, così come è
rappresentata, indipendentemente dal fatto che noi riteniamo possibile o
impossibile che in qualche modo inesplicabile egli possa <<ricordare>> come si sentiva la
sua placenta durante la sua vera nascita” [73].
Laing attraverso la
descrizione di questo
caso mostra il processo regressivo che quando
giunge al suo
termine viene seguito da un altro movimento,
quello in avanti, chiamato neogenesi, che è un nuovo progredire. Secondo l’opinione di
Laing, quest’ultimo movimento è più
rapido della regressione; ma tuttavia questi movimenti, regressione e
progressione, non sono separabili
nettamente, poichè durante le fasi dalla neo-genesi si possono avere delle regressioni.Tutto
questo processo naturalmente non è una cosa piacevole, anzi è causa di molta
confusione e disperazione in chi la
vive; ecco perchè, a tal proposito, Laing sottolinea la necessita di realizzare
un ambiente adatto, dove un’individuo possa inoltrarsi in questo viaggio senza
sentirsi solo e abbandonato, ma amorevolmente assistito.
KINGSLEY HALL
Paragrafo 3.3
L’ipotesi di lavoro che Laing
porta avanti può essere così sintetizzata:
·
1) Tutto ciò che è clinicamente diagnosticato come
schizofrenia acuta o esaurimento di
forma, può essere una risorsa alla quale l’essere umano ricorre quando
ogni altra risorsa gli sembra impossibile.
·
2) Se la struttura e l’ambiente possono essere cambiati
l’esperienza può essere trasformata così che non vi è più ragione alcuna di
considerarla psicotica.
La naturale conseguenza di una tale impostazione è il
rifiuto delle classiche istituzioni psichiatriche e dell’ideologia che le
accompagna; Laing, invece, opta per la costituzione di comunità dove possano
essere abolite le classiche categorie, paziente - dottore, malato - sano. In
breve “un luogo
in cui la gente è, e non dove è curata;essere è qualcosa di vivo e di attivo, è
scegliere di uscire dalla falsa passività dell’essere curati, o, in qualunque
senso,dell’essere trattati da altri” [74]
Un luogo dove “ degli ex pazienti aiutino i
futuri pazienti a diventare matti[75]”,ovvero
un posto dove una persona “fuori rotta” possa lasciarsi andare, e iniziare il suo viaggio dentro e attraverso il proprio io, con la
garanzia che qualcuno lo accompagnerà attraverso tutta l’esperienza. Qualcuno
che non interferirà, che non cercherà nè di giudicare ciò che avviene nè di bloccare il viaggio a ritroso.
R.Laing, D.Cooper, L. Redler, A.
Esterson, Schatzman H. e Crawford, nel 1965, diedero vita alla Philadelphia Association che nel
1970 si scisse a causa di
divergenze di natura personale e alcuni membri di quest’ultima,
fondarono un’altra associazione, la Arborus Housing. In questa confluirono J.Berke,
M.Schatzman, A.Esterson. Ma entrambe le Associazioni esprimevano la stessa
posizione ideologica “Vogliamo rifiutare il modello medico per quell’insieme di comportamenti
dei quali non è ,stata trovata alcuna causa fisica, e che viene chiamato
malattia mentale. Vogliamo offrire a coloro che sono stati, o che potrebbero
divenire, pazienti psichiatrici la possibilità di non venir considerati come
malati mentali, chiamati malati mentali, o trattati da malati mentali”.[76]
Queste comunità cominciarono a
sorgere quando la più famosa comunità
antipsichiatrica inglese, Kingsley Hall, dovette chiudere. Così era denominata
la Comunità di quel palazzotto dell’East
End londinese, che era stato affittato nel giugno 1965 dalla Philadilphia Association,
costituitasi, quest’ultima, due mesi
prima, con lo scopo di trasformarlo in un centro di vita antipsichiatrica.
Questo esperimento è di grande importanza, poichè ha dimostrato l’attuabilità delle teorizzazioni lainghiane, senza dimenticare che per ben cinque anni è stato un punto di riferimento culturale per psichiatri, psicanalisti, intellettuali e artisti, che sono stati a Londra a visitare, studiare e vivere nella prima comunità antipsichiatrica del mondo.
Qualche cenno statistico su
Kingsley Hall, potrà aiutare a farsene
un’idea: potevano abitarci non più di 14 persone contemporaneamente; in quattro
anni vi anno vissuto 113 persone. Di questi 43 non erano stati mai classificati
come malati mentali e, dei rimanenti 70, oltre la metà, cioè 39, erano stati
precedentemente ricoverati in ospedali psichiatrici. In seguito al soggiorno
nella comunità, la durata del quale è stata molto varia, (più della metà dei
residenti vi ha abitato per un periodo compreso fra una settimana e tre mesi),
11 persone sono state ricoverate in ospedali psichiatrici, di cui 3
direttamente da Kingsley Hall. Il centro era costituito da stanze singole, nelle quali le altre persone
potevano entrare, ( naturalmente queste potevano essere
condivise con chi le occupava per libera e consapevole scelta di entrambe le
parti), e di una zona comune nella quale ciascuno poteva trascorrere più o meno tempo. In questa comunità non
c’erano regole , “esisteva la regola che le regole fossero aperte ad
ogni analisi e revisione”[77]
e inoltre non c’ era nessuna regola che
impedisse di scoprire una qualsiasi regola segreta, che potesse impedire alcune cose e ne permettesse delle altre. Non c’è nessuna regola che impedisce
di dire: “Noi
della casa ci comportiamo come se ci fosse un regolamento che proibisce a tutte
le persone A di fare x,y o z con tutte le persone B”[78]. Questo è
un fatto importante, perchè ,come abbiamo già avuto modo di dire, le famiglie
di individui schizofrenici confondono “ i bambini creando delle regole che impediscono la
consapevolezza di certe altre. I genitori puniscono i bambini quando
trasgrediscono le regole del primo ordine della famiglia e quando mostrano di
sapere che queste esistono, una conoscenza che viola le regole del secondo
ordine.”[79]
A Kingsley Hall le persone così
confuse e mistificate potevano relazionarsi con gli altri liberamente,
imparando così a scovare le metaregole che ordinano l’interesperienza.
Ogni membro poteva decidere di
stare da solo o con gli altri. Si poteva scambiare “la
notte per il giorno”, e si poteva
anche rimanere a letto tutto il giorno.
Mentre alcune persone sceglievano
di lavorare su sè stesse, altre, sempre per libera scelta, si occupavano di
provvedere alle necessità quotidiane: fare la spesa, lavare i piatti, pulire i
bagni, pagare le bollette etc. Queste ultime, assumendosi la responsabilità di
provvedere alle necessità pratiche della vita di comunità, permettevano agli
altri di ricercare “la preziosissima perla nella profondità dell’oceano, senza affogare” [80].
A Kingsley Hall ognuno era libero di decidere se essere seguito o meno da uno psicoterapeuta, poteva
decidere se prendere o meno tranquillanti o altri farmaci, se rimanere o andarsene. La somma settimanale per
l’affitto, il cibo, e le altre spese variava a seconda delle disponibilità
finanziarie di ognuno; in alcuni casi,
anche chi non era in grado di mantenersi e non riceveva il sussidio poteva vivere in comunità per un certo periodo senza pagare.
Nella comunità si tenevano una serie di attività sociali come la pittura, la tessitura, lo yoga, la lettura di poesie, la danza religiosa indiana, mostre, proiezioni di film e conferenze sull’antropologia, la psichiatria, il teatro, etc. Era una comunità aperta a tutti, e cosa molto rilevante, per un certo periodo vi hanno vissuto Laing, Cooper, Esterson, Schatzman, Berke, Redler e Liss.
Naturalmente questa comunità
incontrò diverse resistenze da parte degli abitanti dello stesso quartiere, che
consideravano, gli inquilini della comunità, semplicemente dei pazzi. Si cercò
di superare queste ostilità permettendo ad un gruppo di anziani e ad un
club di ragazzi di continuare ad
incontrarsi al piano terra dello stesso edificio. Inoltre venivano
organizzati delle altre attività, come la danza, nel tentativo di costruire
un rapporto con l’esterno e di non
ridurre, la stessa comunità, all’isolamento ghettizante.
Al di là di tutte queste
informazioni sulla vita di Kingsley Hall, è importante notare come gli
abitanti della stessa la sentissero; a
questo proposito sono interessanti le testimonianze, raccolte da M. Schatzman, di quattro persone che abitavano lì:
“ 1)La mia prima esperienza a Kingsley Hall fu
di assumere un ruolo completamente differente dai ruoli fino ad allora sostenuti: invece di essere
uno che guarda sempre le altre persone...un...come figure parentali...penso che
fossi soprattutto nella posizione di uno a cui si dice cosa fare e che aspetta
questo in una certa misura..,cercavo una sorta di guida, suppongo. E allora
appena arrivai qui diedi l’impressione di essere quello che organizza le cose e
prende le decisioni assumendo un ruolo piuttosto attivo...
Penso che una delle cose migliori qui è che uno non è tenuto ad avere ragione..Stando qui,
qualunque cosa va bene, per così dire. Penso ad una parola,”accettazione” delle
persone così come sono, che non ho mai trovato altrove. Qui si può realizzare
una specie di contatto, una specie di comprensione, è facile realizzare una
sorta di contatto senza usare le parole, mentre fuori bisogna limitarsi a dire
certe frasi.Qui c’e qualcosa di unico a
questo proposito... Non ci si impantana nelle convenzionalità di dover essere
educati o dire delle frasi che sono considerate forme convenzionali di
educazione, frasi come: “Vieni a
sederti vicino alla stufa” e “ Hai trascorso una buona giornata?” e
l’altra persona è tenuta a descrivere che tipo di giornata a passato...Qui non
si fa questo tipo di cose.Non si sente l’obbligo di farle. Penso che sia più
onesto. Non si ha paura di non avere particolarmente simpatia per una persona,
non si ha paura di non essere amichevoli..
2) Ognuno deve
decidere cosa vuole fare perchè non c’è nessuno che dice all’altro cosa
deve fare. In molti luoghi dove sono stato c’èra sempre un motivo per cui
dovevo uscire, o dovevo andare a lezione all’università, e se non lo facevo
qualcuno mi avrebbe trascinato fuori o mi avrebbe detto: Stai male? Ora nessuno
mi dice che dovrei uscire dalla mia stanza. Non c’è nessuna struttura esterna,
o autorità. o formalità a cui richiamarsi quando si decide di fare qualcosa,
ognuno è libero di prendere le sue decisioni...
Ci sono delle piccole cose come suonare il
pianoforte. Sono molto stonato. Non so suonare nessuno strumento e non ho mai
suonato uno strumento che non conoscevo di fronte a nessuno. Ho trovato che qui
riesco a farlo: dare qualche colpo e fare un po' di rumore .Non mi sento
assurdo. Posso anche ballare Prima non avevo mai potuto ballare di fronte a
delle persone. Qui tutto va benissimo. Inoltre alla prima volta dall’infanzia ,
e forse nella vita, riesco a giocare veramente con un’altra persona..
3) Ciò che distingue la mia famiglia e gli ospedali
psichiatrici da Kingsley Hall è che qui persone diverse si riuniscono insieme e
cercano di vivere insieme pur esternando le loro differenze-litigare,essere in
disaccordo, decidere di fare le cose in un modo che offende gli altri-e ciò
nonostante essendo tollerati dagli altri, questo avviene gradualmente mentre si
diviene consapevoli delle altre persone e degli effetti che uno ha sull’altra.
Sono convinto che ciò non accade in un ospedale psichiatrico: lo so che non
accade.Là negli ospedali è molto difficile avere qualunque tipo di rapporto con
le persone se non giocando la parte che essi vogliono che tu giochi, perciò
devi imparare quali regole devi seguire nel loro schema:qui invece incontri
persone diverse, puoi aprirti con loro e parlare, entrare in rapporto con loro e creare una certa comprensione.
Non è un posto dove uno dice all’altro cosa egli
dovrebbe volere, come dovrebbe vestirsi, cosa dovrebbe mangiare...Una delle
caratteristiche di Kingsley Hall, che distingue una situazione di libertà da
una situazione di costrizione, è che qui una persona può fare qualcosa e non
deve adattare il suo comportamento al modello di ciò che è ritenuto giusto o
sbagliato dagli altri.
4) Qui si
diventa sempre più consapevoli dell’importanza che ha per le persone il fatto
di conservare certi miti senza senso su ciò che è giusto, continuando a ingannare
se stessi. Quando ero a casa sembrava molto importante che il tavolo fosse
apparecchiato in un certo modo e che ognuno mangiasse il dolce con la forchetta
e la giustificazione a tutto ciò era sempre una sola:questa modalità di
comportamento è giusta perchè è così...Mi era sempre stato detto che il lavoro
era una bella cosa perchè era così, solo per il fatto che era lavoro, inoltre” tutti lavorano, non è vero?”. Io
ritengo che sia necessario fare un qualche lavoro per mantenermi, tuttavia non
credo più nella complessa mistica che circonda la necessità di lavorare-mi
riferisco ai lavori insoddisfacenti e senza scopo-che non ha niente a che fare
con questa fondamentale necessità fisica.
Questo l’ho scoperto qui, perchè le persone si
pongono delle domande su cose che ci erano state presentate come
incondizionatamente vere e valide... Io penso che questa sia la situazione
ideale, in cui è resa possibile una
ritirata dalla realtà sociale, voglio dire dalla realtà esterna;
infatti, in modo quasi paradossale, diventa inevitabile in genere affrontare la
realtà” [81].
In definitiva Kingsley Hall ha
offerto un rifugio, un luogo sicuro, a chiunque avesse voluto sfuggire dalla
sua posizione insostenibile.Un luogo dove le persone hanno potuto sperimentare
veramente cosa significa essere sè stessi, anche se questo per il mondo
rappresentava il disordine e la malattia. Un
“Asylum” dove potersi lasciare andare ,
per regredire nel proprio passato personale, e anche oltre, per così
cambiare, trasformarsi, e divenire persone autentiche.
E’ straordinario il caso di una
signora, Mary Barnes che andò indietro fino a un tempo precedente quello della
nascita, e poi ritornò di nuovo. “Mary Barnes svolgeva il lavoro di assistente
caposala in un ospedale; era il tipo
del sergente maggiore in gonnella:efficiente, rigida, organizzata, e si
dedicava con passione al suo lavoro.Essa aveva cominciato a sentire, così si
espresse, di aver smarrito se stessa ad un certo punto della sua vita.. Da
giovane aveva avuto l’esperienza di una crisi psicotica, quando poi uscì
dall’ospedale riuscì in quache modo ad
avere una vita normale.Ma lei continuava a sentire il bisogno di ritornare a
rivivere quell’esperienza., aveva l’impressione che solamente regredendo
avrebbe
avuto qualche possibilità di ritrovare sè stessa e
quindi vivere in un modo non falso..pochi giorni dopo il suo arrivo a Kingsley
Hall ella stava “regredendo” considerevolmente, come non avevo mai visto altri
fare. Conservava ancora il suo lavoro all’ospedale che si trovava a circa un’ora
di distanza. Andava al lavoro, ritornava, si spogliava, si adagiava su un
materasso posto su un pavimento e diventava, nel corso della notte,
incontinente nell’urina e nelle feci; si alzava , faceva un bagno e andava nuovamente a lavoro alle 6
del mattino, adempiendo ai suoi compiti di assistente caposala. Continuò così
per alcune settimane poi scrisse una lettera convenzionale dicendo di aver
bisogno di assentarsi dal suo lavoro per un certo tempo. La lettera fu
accettata. Si fermò a Kingsley Hall ed in breve tempo entrò completamente nelle
fasi di regressione. Durante la regressione perse tutte le sue risorse al punto
da dover essere nutrita con un biberon
ogni due o tre ore. Questo era l’unico cibo che accettava. Si ricopriva con le
proprie feci ed appariva in estremo disordine.Di tutto ciò è facile parlare, ma
non era facile viverlo. Diventò magra al punto da sembrare un mucchietto di
ossa. Smise di parlare e non era in grado di reggersi sulle gambe.Era ormai
estremamente debole quando ebbe un’emorragia uterina per cui fu necessario il
ricovero in ospedale.Nessuno capì perchè fosse accaduto. In ospedale le si
manifestò un blocco alle feci. Le feci dovevano essere rimosse con le dita. Per
quanto la riguardava, quando le domandarono se tutto andava bene disse di sì.
Voleva continuare.Secondo il resoconto fatto da lei stessa, essa regredì sino a
prima della sua nascita. A dire il vero essa disse di voler regredire sino a
prima della sua incarnazione.
Quando raggiunse il punto estremo della regressione volle
che noi si rilevasse completamente il suo corpo, voleva consegnarci il suo
corpo, in modo che avremmo potuto vedere il cibo entrare, le feci uscire. Non
voleva neppure evacuare l’intestino. Desiderava abbandonare il suo corpo
completamente. A quel tempo guardandola si aveva l’impressione che vi fosse
riuscita in misura considerevole. Sembrava si stesse avvicinando ad uno stato
assai simile alla morte fisica. , come pure alla morte simbolica..
Essa “tornò su” di nuovo davanti agli occhi di
coloro che la conoscevano. Quando era “giù”, aveva cominciato a dipingere, cosa
che non aveva mai fatto prima del 1965. Per fare i suoi primi dipinti aveva
cosparso di feci con le dita i muri della sua stanza. Dal 1967 ha dipinto su
tela con colori a olio.Ha venduto parecchi quadri e ha organizzato parecchie
mostre aperte al pubblico. Inoltre a scritto delle poesie e delle brevi
novelle” [82].
Naturalmente non tutti sono pronti
o hanno bisogno di compiere un tale viaggio, per cui la regressione non è
un’esperienza che viene provocata a scopo terapeutico, ma è un’esigenza che
deve partire dalla persona interessata, e che deve essere vissuta in libertà.
Laing non ha proposto una cura, ma ha offerto solo un luogo dove ognuno avesse la possibilità di
cercare e costruire la via migliore per uscire dalla confusione. L’importante è
che queste persone riescano esprimere le loro fantasie, paure, e le vivano in
pieno senza cercare di cacciarle, semplicemente perchè sono considerate, dagli psichiatri e della
cultura in genere, come delle espressioni patologiche che non hanno altra
funzione che disturbare il paziente. I comportamenti considerati patologici e
inutili sono ad esempio, l’agitazione, l’eccitamento, il ritiro, l’acting-out, e i comportamenti ritualistici, che
vengono sistematicamente repressi. Invece per Laing tutti questi comportamenti
devono essere espressi liberamente, poichè possono essere un mezzo di
trasformazione. Ecco quindi l’importanza di un luogo dove non esistono divieti
di questo genere e dove esiste la “possibilità dell’ imprevisto”[83],che
può portare a risolvere qualche
dilemma.
Ecco un esempio del potenziale
liberatorio dell’acting-out:
“Un giovane di 25 anni , che vive a Kingsley Hall,
aveva avuto il terrore di essere visto. Percepiva il suo corpo come morto ed
aveva inoltre l’impressione di essere donna nella parte sinistra e uomo nella
parte destra; di essere allo stesso tempo un uomo molto vecchio ed una donna
molto giovane...poteva essere considerato un cimitero nel quale fossero state sepolte diverse generazioni della sua
famiglia. Egli aveva subito due operazioni per ernia inguinale ed aveva il
terrore di essere castrato. Così egli era morto, uomo ,donna, di età
differenti,, simile ad un burattino afflosciato, terrorizzato dalla castrazione
o dall’idea di essere guardato. Durante la sua permanenza a Kingsley Hall egli
decide di provare a fare, nell’edificio, ciò di cui maggiormente aveva paura.
Escogitò una strategia”antifobica” che si accinse a mettere in pratica (“act-
out”). Si tolse i vestiti ed andò in giro nudo, cominciò a dipingersi sia la
faccia che il corpo. Trasformò il proprio viso in quello di creature assai
bizzarre: per esempio, una vecchia prostituta, di cui imitava i gesti, le
intonazioni, ecc. Alcune di queste trasformazioni apparivano demoniache e
terrorizzanti agli altri. Egli cercava di far comprendere agli altri quello che
sentiva e di tradurre in realtà drammaticamente partecipata gli “oggetti”
interiori che egli aveva sempre ,nello stesso tempo, avuto terrore che gli
altri conoscessero.
L’urto di
questa forma di comunicazione era cento volte maggiore del dire “mi sento
diabolico” e “ho l’impressione di essere una prostituta”.
Mentre quest’uomo si trovava a kingsley Hall, vi
giunse un giovane di 19 anni che era stato in manicomio per un anno.
Costui
andava in giro con un grande uccello sulla testa, poggiato sul cappello. I due
non si erano incontrati . Ero seduto nella cucina e Jack(il fantasma) era
accanto al lavandino, nudo, dipinto. Aveva una scatoletta di talco con il quale
si stava cospargendo i genitali.Era abituato a girare con una scatoletta di
talco con il quale si cospargeva i genitali per un po'. Poichè aveva molta
paura che succedesse qualcosa ai suoi genitali, cercava di camminare molto
eretto, in contrasto con la sua andatura abituale. Prima della sua nudità
antifobica si copriva abitualmente, con qualsiasi tempo, con molti strati di
abiti, un impermeabile e sul tutto un cappotto grande e pesante, lunga e largo,
diverse taglie più della sua. Tutto ciò per difendere i suoi genitali.
Camminava come un vecchio. Ora invece cercava di fare esattamente l’opposto,
mostrandosi piuttosto che nascondersi. Nella cucina entrò il tipo con l’uccello
sulla testa. Egli fu assai rapido nell’afferrare la situazione non appena vide
David, e tirò fuori rapidamente una Luger ed esplose un colpo mirando
direttamente ai genitali di lui. Il peggio era accaduto. Per una frazione di
secondo sia David che io non sapemmo se la pistola era carica o meno. La
pistola sembrava vera ed aveva fatto un
suono vero. In realtà non era carica. David guardò e vide che i suoi genitali
erano ancora lì al posto loro.
In pochi secondi seguenti egli perse circa il 50
percento della sua ansietà di castrazione. In seguito non fu mai così
terrorizzato. Perse in quel incidente tanta della sua ansietà di castrazione
quanta ne aveva persa nei quattro anni durante i quali lo avevo avuto in cura. Nessuna interpretazione avrebbe
potuto essere più primitiva come quell’atto drammatico assolutamente
imprevedibile ed irripetibile. A kingsley Hall abbiamo sperato di avere un
luogo dove potessero verificarsi simili incontri” [84].
L’ESPERIENZA PSICOTERAPEUTICA
Paragrafo 4.3
La fenomenologia sociale di Laing
non presuppone un approccio terapeutico sistematico, come possiamo ritrovare,
invece, nella psicanalisi, nella terapia comportamentale o in quella sistemica,
le quali, in base al loro approccio teorico, definiscono anche un metodo di
cura.
A Laing risulta estraneo il
concetto di cura perchè, come abbiamo detto, egli rifiuta la nozione, culturalmente definita, di malattia: non
esistono comportamenti sani e comportamenti malati, esiste solo una vastità di
esperienze, tutte reali e significative.
Inoltre Laing rifiuta di assumere
un’impostazione dogmatica, che lasci fuori la complessità dell’essere umano. La
psicologia, se vuole essere all’altezza del suo compito, deve mettere davvero
al centro del suo studio la persona, con le sue complesse relazioni con sè
stessa e il mondo, lasciando invece da parte quelle impostazioni che con i loro
costrutti teorici analitici creano
delle barriere per una reale comprensione dell’uomo.
L’uomo, come abbiamo già detto,
è una totalità: è la risultante di
diverse realtà, che non si possono classificare semplicisticamente come interne
e esterne, reali o fantastiche. Ogni volta che cerchiamo di capire l’altro,
servendoci di costrutti teorici, che trasformano l’altro da un soggetto
intenzionale ad un oggetto di studio dentro il quale avvengono dei processi, ci
si allontana sempre di più dalla reale conoscenza dell’altro.
Ma bisogna “orientarsi verso
questa persona in modo da lasciare
aperta la possibilità di comprenderla[85]”, laddove
comprendere non significa semplicemente essere empatici e intuitivi, ma essere
capaci di cogliere l’essere-nel-mondo-dell’individuo, operazione che
consiste nel mettere i suoi atti in relazione al suo modo di vivere la
situazione in cui si trova con noi. Bisogna essere in grado di ricostruire,
attraverso l’analisi e l’osservazione di ciò che è oggi, il suo progetto
esistenziale.
Che vuol dire leggere il passato
attraverso ciò che si è ora e ciò che
si vorrebbe essere domani. Comprendere quindi è un processo dialettico
regressivo - progressivo. Senza comprensione, così intesa, non c’è psicoterapia
che tenga; se si tratta l’altro semplicemente come un paziente e non come uno come me, non ci può essere
terapia efficace. Infatti “la psicoterapia deve restare l’ostinato sforzo di due persone di
recuperare l’integrità dell’essere umano tramite il rapporto che c’è tra loro”[86]. Non è
possibile nessuna terapia se non si ridà dignità al “paziente” e se si continua
a considerare lo schizofrenico semplicemente un malato che non agisce
intenzionalmente e dove tutti i suoi comportamenti sono i sintomi di un processo patologico.
Secondo Laing, il primo errore
delle teorie classiche è quello di partire da una diagnosi di tipo medico:
questo comporta necessariamente l’etichettare una situazione; ad esempio dire:
“questa persona che presenta questi sintomi è affetta da polmonite”; tale
dichiarazione medica
non modifica la situazione che va a diagnosticare. Ma,al contrario, quando uno
psichiatra diagnostica una schizofrenia questa sua azione produce, invece, un cambiamento della
situazione.
Infatti, il terapeuta, non appena
interagisce con la situazione, mette già in atto, nolente o volente, un
cambiamento, “d’altra
parte, l’intervento comincia a modificare anche noi, non solo la situazione[87]”. Bisogna
quindi superare il modo medico di fare diagnosi, e introdurre un modo di fare
diagnosi che permetta, di “discernere la scena sociale”[88]. Discernere
la scena sociale significa scoprire la
situazione, attraverso i diversi racconti dei componenti, che molto spesso
ignorano ciò che veramente è successo. “Un modo di scoprire di che natura è una situazione è
di riunire nello stesso luogo, alla stessa ora, l’insieme di persone in cui,
fin dall’inizio,abbiamo buone ragioni di identificare gli elementi chiave della
situazione.[89]
Tramite questa relazione il
terapeuta deve essere in grado di ricostruire la storia familiare, la prassi che ha condotto uno dei suoi
membri alla confusione. Il terapeuta insieme alla persona interessata deve
cercare di sciogliere il nodo, non proponendo interpretazioni dogmatiche, ma
piuttosto cercando di demistificarlo e facendogli comprendere che la sua confusione ha una ragione
, che non è dovuta a uno sconosciuto processo patologico. Certo è che “è ingenuo aspettarsi che,
rivelando ad un individuo il nostro modo di vedere le sue azioni, lo metteremo
in grado di mutare il suo comportamento.”[90]
Qui subentra il gravoso problema della cura; Laing rifiuta la concezione comune, finalizzata a riportare la persona alla “normalità”, che parte da una visione riduttivistica dell’esperienza umana. Per Laing non c’è cura perchè non c’è una malattia. Bisogna essere semplicemente abbastanza tolleranti da accettare la diversità dell’altro, anche quando quest’ultimo ci può sembrare assurdo.
Bisogna permettere alla persona confusa di capire cosa gli è successo e poi, liberamente, lasciarla esprimere: come abbiamo visto, quei comportamenti considerati patologici, hanno invece in sè un potenziale liberatorio.
Cercare di reprimere riti, voci,
deliri, non porta alla guarigione ovvero alla scomparsa di questi, ma li
porta addirittura a peggiorare.
Ad esempio più si cerca di non
ascoltare le
voci[91], più
queste si intromettono, suggerendo anche cose orribili, a cui il soggetto è
impreparato e che lo possono spingere a commettere degli spropositi. Invece bisognerebbe
aiutare questa persona ad accettare la presenza di queste voci e considerarle
reali; inoltre dovrebbe imparare ad ascoltarle, discernendone il contenuto e,
quindi, imparando a conviverci. Tutto questo non è certo facile da attuare per
la persona in questione, ma è sicuramente fonte minore di confusione e terrore
rispetto al dover combattere sè stessi. La dimostrazione di come le voci non
siano qualcosa di negativo e patologico ci viene data dall’esperienza di alcuni
Santi che erano combattuti tra voci demoniache e divine. Eppure queste persone
non sono state considerate pazze, perchè hanno avuto intorno a loro un contesto
che le ha credute ed accettate. Anche la nostra religione cattolica, in fondo,
parte da esperienze di voci: ad esempio la Voce che chiese ad Abramo il sacrificio di Isacco. E’ il
contesto a definire se un’esperienza è patologica o mistica. Se si vuol parlar
quindi di terapia ,dobbiamo pensare ad una rivoluzione culturale, che smetta di
negare in maniera sistematica la vastità delle esperienze umane.
Il terapeuta, per Laing, deve
essere come una guida spirituale, che segue il suo discepolo nella sua
evoluzione, che non propone soluzioni, ma che consente, a se stesso e al
paziente, di cercarle insieme.
Concluderei con queste affermazioni
di Laing: “Il
rapporto psicoterapeutico è dunque una ricerca, sempre rinnovata e ripresa, di
ciò che tutti abbiamo perduto, e che forse alcuni sono in grado di sostenere un
po' più facilmente degli altri, così come alcuni resistono meglio degli altri
alla mancanza d’ossigeno, e questa ricerca si avvale della condivisa esperienza
di un’esperienza riacquistata qui ed ora nel corso di un rapporto terapeutico e
grazie ad esso. E’ vero che l’impresa
psicoterapeutica comporta delle regole, delle strutture direi burocratiche, che
determinano la sequenza, il ritmo, il tempo musicale dell’azione terapeutica
considerata come un processo esteriore, e che queste possono e debbono essere
studiate con obiettività scientifica. Ma i momenti veramente decisivi, come sa
ogni paziente e ogni terapeuta che li abbia sperimentati, sono imprevedibili,
unici, indimenticabili, per sempre irripetibili e sovente indescrivibili.
Questo significa forse che la psicoterapia debba essere una religione pseudo
esoterica? No . Dobbiamo continuare a lottare in mezzo alla nostra confusione,
dobbiamo insistere a voler essere uomini.”[92]
CONCLUSIONE
Laing con le sue idee è riuscito a
mettere in moto un cambiamento, negli anni 70, che è arrivato anche in Italia
con l’esperienza di Franco Basaglia[93]
e la sua lotta contro i manicomi. Lotta che approdò nella famosa legge n° 180
del 13 maggio 1978, ma che tuttora non ha portato gli effetti sperati,
sopratutto perchè non ha contribuito, in maniera sostanziale, al rinnovamento concettuale ed operazionale della
psichiatria, senza poi considerare i ritardi sul piano operativo. Tale
rinnovamento è oggi, più che mai , necessario poichè ci troviamo di fronte a nuove situazioni problematiche.
Mi riferisco prima di tutto alle
caratteristiche della nostra società
che Pietro Coppo ha definito “normalmente psicotica”[94],
ovvero narcisista, autistica, abitata da stereotipi e fantasmi che si
continuano nella fragilità di un Io passivo, attivo solo nei processi mimetici. E’ evidente che, in
questo scenario, risulta difficile individuare lo psicotico da trattare, specie
se si considera l’accaduto recente, ovvero gli atti criminosi compiuti da
persone insospettabili che vivevano una vita “normale” ed erano socialmente
integrati. Si pensi ad esempio ai casi
di delitti efferati compiuti da giovani serial killers di cui la cronaca
quotidiana ci dà notizia.Nessun segnale insomma faceva trapelare la reale
situazione interiore di queste persone (vd il caso di Pietro Maso). Questa “psicopatologia da
post-modernità”[95],
fa cadere la certezza data da un comportamento normale e adattato.
Bisogna porsi a questo punto nuove
domande, sui meccanismi sempre più schizogeni della nostra società e sulla
possibilità e necessità, oggi, di definire in categorie standard ciò che è normale.
Questo è sempre più difficile vista la presenza di una molteplicità di
comportamenti nuovi, inconcepibili in passato, che oggi trovano spazio e
possibilità d’espressione. L’ultima frontiera, a quanto pare, rimane la follia,
nei confronti della quale, però, si
continua ad avere paura. Ma c’è oggi chi ancora crede nel rispetto delle possibilità umane, e che cerca di
sperimentare nuove vie, alternative alla psichiatria. Mi riferisco
all’esperienza di Giuseppe Bucalo che, a Furci Siculo, ha cercato di rendere
possibili le esperienze dei folli, evitando di definirle e di curarle.
Un’attività volta non a creare un luogo ad hoc, dove, si concede e permette
che le persone, gli ospiti, si divertano, lavorino o facciano qualsiasi altra
cosa; ma un’attività, quella teorizzata da Bucalo, finalizzata a permettere a queste persone di vivere la
loro esperienza; il che non significa abbandono e indifferenza, ma significa
lavorare per la costituzione di reti non psichiatriche: “ovvero a una rete di
persone e occasioni ordinarie che permettano di muoversi e comunicare senza
fare o avere paura.Un gruppo di persone che pratica il confronto attivo con i
comportamenti e le esperienze straordinarie e testimonia la possibilità di uno
scambio, di una tolleranza e di una dialettica fra i mondi possibili della
percezione umana.”[96]
L’esperienza di Bucalo, come
quella di altri in altre parti di Italia, tuttavia, non può bastare per
rinnovare la psichiatria, giacchè queste esperienze rimangono isolate e
vengono relegate nell’ambito
dell’antipsichiatria.
Credo che però il progressivo
espandersi dei confini e la presenza di società multietniche, renderà
obbligatori dei cambiamenti a livello teorico e pratico, per poter rispondere
alle diverse esigenze e problematiche strettamente legate alle diverse culture. Attualmente è in atto una forte
rivalutazione ed integrazione, che ci si augura possa contribuire all’auspicato
rinnovamento, di varie tecniche medico terapeutiche; infatti, la medicina ufficiale è, oggi, più disponibile
e aperta al confronto: ciò è dimostrato dalla
riscoperta di certe pratiche antiche, per secoli bandite dalla prassi
ufficiale, e dall’interesse verso i saperi e le tecniche mediche orientali a
fondamento delle quali vi è una visione
olistica ed unitaria dell’uomo.Credo che proprio un rinnovato punto di vista
sia quanto mai necessario e dovuto nei casi di persone che vivono un’esperienza
di confusione e disperazione, un nuovo modo che privilegi, appunto, un rapporto sempre più umano nei
confronti del paziente e che rifiuti quell’approccio medico terapeutico
riducente l’uomo a semplice oggetto di
analisi e studio. Riconosco, in tal senso, proprio nella teorizzazione di Laing
un punto di vista rinnovato ed
alternativo e mi auguro, che, dimostrata la modernità del cuore del suo
pensiero, al di là della contingenza temporale, si possa rivisitare la sua opera e coglierne i frutti per futuri cambiamenti teorici e pratici.
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[2]R,D. Laing La politica
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[3]R.D.Laing . Nascita dell’esperienza , tr.it.A.Mondadori
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[4]J.P.SARTRE ,Immagine e coscienza ,Psicologia fenomenologica
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[5]L.Binswanger da Psichiatria e
Fenomenologia di Mario Rossi Monti
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[6]R.D:Laing tr.it. La politica
dell’esperienza e l’uccello del paradiso ,
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vd pag17. Per maggiori
chiarimenti
si veda J.P.Sartre, tr.it. Immagine e Coscienza ,Psicolgia
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[8]Per chiarimenti si veda ;R.D.Laing e D.G.Cooper,tr.it. Ragione e
violenza,Editore Armando
Armando1973.
J.P.Sartre,tr.it.Critica della
ragione dialettica, Il
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[9]R.D.Laing ,H.Philipson,A.R.Lee, tr.it. La percezione interpersonale,
una teoria e un metodo di
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[10]R.D.Laing,H.Philipson,A.R.Lee ,TR.It. La percezione
interpersonale.Teoria e un metodo
di ricerca ,Milano.Giuffrè ,1983.
vd-pag.6
[11]R.D.Laing, H. Philipson,A.R.Lee op. cit.,pag. 10
[12]R.D.Laing ibidem ,
[13]R.D.Laing ibidem
[14]R.D.Laing ,op. cit. p. 25
[15]J.P.Sartre ,Questioni di metodo, incluso in Critica della Ragione
dialettica,Il Saggiatore,
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[16]J.P.Sartre,op.cit. pag75
[17]J:P.Sartre,op.cit.pag85.
[18]J.P.Sartre, L’essere e il nulla,il Saggiatore,Milano,1972.Pag 259
[19]J.P.Sartre,tr. it.Questioni di metodo ,incluso in Critica della Ragione
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[20]Aaron Esterson ,Foglie di prima vera.Un’indagine sulla dialettica
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[22]Da il “Miracle de le rose” di J.Genet.Citato da D.P.Sartre in Santo
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[23]R.D.Laing ,tr.it. L’io e gli altri .Psicopatologia dei processi
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[24]R.D.Laing. tr.it. L’io e gli altri,. Psicopatologia dei processi
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[25]R.D.Laing,. Tr.it. L’io diviso .Studio di psichiatria
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[26]R.D.Laing, tr.it. I ‘io e gli altri.Psicoterapia dei processi
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[28]R.D.Laing ibidem pgg 64-68
[31]R:D.Laing Tr.it..L’io e gli altri.
Psicopatologia dei processi
interattivi..Einaudi editoe ,
Torino,1969, pag 44.
[32]R.D:Laing ,ibidem.
[33]R.D.Laing. Tr.it: L’io diviso, einaudi, torino, 1969, pag 81.
[34]R.D.LaingTr.it. L’io diviso.Studio di psichiatria esistensiale.Giulio
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[35]Ibidem, R.D.Laing
[36]R.D.Laing, L’io e gli Altri. Psicopatologia dei processi
interattivi.,Tr.It. Einaudi
editoe,1969, pag 125
[38]Ibidem ,R.D.Laing.
[39]Per maggiori approfondimenti si vedano : Don. D. Jackson e
Watzlawich , Pragmatica della comunicazione
umana. Studio di modelli interattivi. Edizioni Astrolabio Roma 1971 e G.Bateson
Verso un’ecologia della mente edizine Adelphi Milano 1997
[40]R.D.Laing,Tr.it. La politica della famiglia.Le dinamiche del gruppo
familiare nella nostra società.,Giulio
Einaudi Editore,Torino,1973, pag 84
[41]Ibidem,R.D.Laing,pag 60 61.
[42]Ibidem R.D.Laing,pag19 –20
[43]Laing attinge a quanto detto da Sartre in Critica della ragione
dialettica. In riferimento alla
formazione dei gruppi , e alla loro azione nell storia.
[44]R.D.Laing, tr.it. La politica dell’esperienza,Feltrinelli Editore,
Milano,1968, pag88.
[45]R.D.Laing, Tr.it.,L’io e gli altri,Psicopatologia dei processi
interattivi,Einaudi
Editore,Torino ,1969, pag 157.
[46]Ibidem,R.D.Laing, pag 184
[47]Miistificazione,confusione,conflitto.
Di R.D.Laing ,in L’altra
pazzia. Mappa ontologica della
psichiatria alternativa.,Feltrinelli
editore, Milano, 1975, pag 317.
[48]Ibidem, R.D.Laing, pag321.
[49]R.D.Laing, L’io e gli altri. Psicopatologia dei processi interattivi,
Einaudi Editore,Torino,1969. pag
165
[50]R.D.Laing, Mistificazione,confusione e conflitto. in L’altra pazzia.
Mappa ontologica della
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[51]Ibidem, G.Bateson, pag 253.
[52]Ibidem,G.Bateson, pag263.
[53]R.D.Laing, Mistificazione,confusionee conflitto , in L’altra pazzia.
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[54]F.Basaglia F.Basaglia Ongaro, Maggioranza deviante. L’ideologia del
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[55]Ibidem F.Basaglia, pag 20.
[56]Per un approfondimento si veda
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[57]Albert Hoffman , I misteri di Eleusi, Stampa alternativa 1993
[58]John Weir Perry, Tr.it. La
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[59]R.D. Laing, Tr.it., La politica dell’esperienza, Feltrinelli
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[60]Silvano Arieti, Interpretazione della schizofdrenia , Feltrinelli
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[61]Carl Gustav Jung, Tr.it. , Ricordi, Sogni ,Riflessioni. Raccolti ed
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[62]Ibidem, C.G.Jung, pag 233.
[65]R.D.Laing, Tr.It. ,Nascita dell’esperienza,Arnaldo Mondadori Editore,
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[66]A.Esterson, Tr.It., Sul crollo mentale, da La follia, Documenti del
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[67]R.D.Laing, Tr.It., Intervista
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[68]R.D.Laing, Tr.It. ,Nascita dell’esperienza, Mondadori, Milano,1982, pag
150.
[69]S.Freud, Tr.It., L’interpretazione dei sogni, Demetra, Ferlina, 1995, pag
353.
[70]Ibidem, S.Freud, nota agguiunta
all’opera del 1899, pag 354
[72]Ibidem,R.D.Laing, pag116,117.
[73]Ibidem, R.D.Laing, pag122,123.
[74]David Cooper, Tr.It. La morte della famiglia, Einaudi editore, Torino,
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[75]R.DLaing, Tr.It. La politica dell’esperienza, feltrinelli Editore,
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[76]A.Sabbadini, Le comunità antipsichiatriche inglesi, tratto da L’altra
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[77]R.D.Laing, Tr.It. La politica
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[78]M. Schatzman, Pazzia e morale, da
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[79]Ibidem, M.Schatzman, pag 130
[80]Ibidem, M.Schatzman, pag 301.
[81]Ibidem,M.Schatzman, pag 128.
[82]R.D.Laing, Metanoia: alcune esperienze a Kingsley Hall, Londra, da
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[84]R.D.Laing, Metanoia: alcune esperienze a Kingsley Hall,Londra, da
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[85]R.D.Laing, Tr.It. L’io diviso.Studio di psichiatria esistenziale, Einaudi
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[87]R.D.Laing,Tr.It.,La politica della famiglia, Einaudi Editore, Torino,
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[88]Ibidem, R.D.Laing, pag45.
[89]Ibidem, R.D.Laing, pag 40.
[90]Ibidem ,R.D.Laing, pag47.
[91]Giuseppe Bucalo, Sentire le voci,. Giuda all’ascolto, Sicilia Punto L.
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[92]R.D.Laing, Tr.It. ,La politica dell’esperienza, Feltrinelli Editore,
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[95]P.Coppo ibidem pag.39-50
[96]Giuseppe Bucalo, Malati di niente, Manuale di sopravvivenza
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