UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE    

     FACOLTÀ  DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE 

      CORSO   DI  LAUREA  DI  SCIENZE  DELL’EDUCAZIONE

 

ANNO ACCADEMICO 1999-2000

 

 LAING  E IL SIGNIFICATO  ESISTENZIALE  DELLA SCHIZOFRENIA

 

Relatore:Chiar.mo Prof. Giorgio Concato

Candidata: Ilaria Varaldo

 

 

                                    

 

E una donna domandò: Parlaci del dolore

Ed egli disse:

Il dolore è la rottura dell’involucro che

racchiude la vostra comprensione.

Come il nocciolo del frutto deve rompersi,

affinché il suo cuore possa stare al sole,

così voi dovete conoscere il dolore.

Se voi in cuore sapeste continuamente

meravigliarvi dei miracoli quotidiani

della vostra vita, il dolore non vi sembrerebbe

meno ammirevole della gioia.

E accettereste le stagioni del cuore,

come avete sempre accettato il passar

delle stagioni sui campi;

E vegliereste con serenità negli inverni

del vostro dolore.

Gran parte del vostro dolore viene scelto

da voi stessi

E’ l’amara pozione con la quale il medico

dentro di voi guarisce il vostro io malato.

Perciò abbiate fede in lui e bevete il suo

rimedio in silenzio e tranquillità:

Poiché la sua mano ,sebbene dura e pesante ,

è guidata dalla tenera mano dell’Invisibile

E la coppa che porge, malgrado scotti le labbra,

è stata modellata con la creta che il Vasaioha

inumidito con le sue Sante lacrime.

 

[Kahlil Gibran, tr.it. Il profeta

Edizione Feltrinelli, Milano, 1991]         


 

 

 


INDICE

 

PREMESSA                                                                                     

 

CAPITOLO 1

LA FENOMENOLOGIA SOCIALE

 

1.1 I FATTI DELLA VITA E IL METODO SCIENTIFICO.                

1.2 LA TEORIA DELLA PERCEZIONE PERSONALE.                    

1.3 IL METODO REGRESSIVO-PROGRESSIVO       

                   

LA SCHIZOFRENIA ESPERIENZA INTELLIGIBILE

PRIMA PARTE: MODI DI ESPERIENZA INTERPERSONALE

 

2.1 LA FENOMENOLOGIA DELLA FANTASIA.                              

2.2 IL BISOGNO ONTOLOGICO PRIMARIO

2.3 LA CONDIZIONE SCHIZOIDE, E L’ELUSIONE  

       DELL’ESPERIENZA

2.4 SVILUPPI  PSICOTICI

 

SECONDA PARTE:

FORME DI AZIONE INTERPERSONALE.

 

2.5 LA RELAZIONE COLLUSIVA.                                                  

2.6 NORMALITÀ’ E FOLLIA NELLA FAMIGLIA.                            

2.7 LA MISTIFICAZIONE  DELL’ESPERIENZA                            

2.8 LA MISTIFICAZIONE DELLA SOCIETA’                               

 

CAPITOLO 3

 

SCHIZOFRENIA UN’ESPERIENZA POSSIBILE

 

3.1 L’ESPERIENZA PSICOTICA                                                  

3.2 LA METANOIA.                                                                        

3.3 KINGSLEY HALL.                                                                    

3.4 L’ESPERIENZA PSICOTERAPEUTICA                                 

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA.


 

 


PREMESSA

           

In questa tesi tenterò di delineare il pensiero  di R. D. Laing sulla schizofrenia da un  punto di vista  esistenziale che notevolmente si differenzia dalla visione psichiatrica della stessa. Infatti, in questa  sede, non si vuole stabilire se sia più valida l’interpretazione  psichiatrica o quella esistenziale, ma semplicemente si intende riportare il pensiero di R. D. Laing, psichiatra esistenziale, noto per aver aderito al movimento dell’antipsichiatria negli anni settanta, a fianco di personaggi come D.Cooper e A.Esterson.

Il dibattito di quegli anni verteva sugli opposti versanti della psichiatria e dell’antipsichiatria: se da  una parte si tentava di individuare le cause organiche della schizofrenia, dall’altra si cercava di dimostrare, al contrario, proprio l’inutilità, in mancanza di prove valide, di  definire la schizofrenia stessa  come malattia della mente  mettendo piuttosto in evidenza gli effetti disabilitanti che una tale  diagnosi può comportare.


A questo proposito è interessante quanto disse Laing in un intervista rilasciata a L.G.Comba  “Quando lei mi chiede “che cosa è la malattia mentale”, se vuol chiedermi:”ritiene necessario formulare un tale giudizio di valore” in questo caso la mia risposta è: no.Ma se la domanda”esiste la malattia mentale” si riferisce all’ipotesi che, quali che siano i fattori aggravanti che una persona può trovare nell’ ambiente sociale che la circonda, esiste da parte sua una variabile predisponente genetica  a crollare in uno stato di frammentazione, di allontanamento dal reale, che presenti i sintomi della” schizofrenia” , allora la mia risposta a questa domanda è che, perquanto io non abbia scelto di sostenerla, tuttavia ritengo che si tratta di un’ipotesi legittima. Ma la grande maggioranza della teoria e della pratica psichiatrica non si pone la domanda, tratta l’ipotesi come un fatto,  poi opera a un livello di secondo grado.Io non sono interessato al problema  dell’ eziologia della malattia mentale. Devo ancora convincermi che la malattia mentale esista, indipendentemente da ipotesi e giudizi di valore“[1].

Credo che sia molto chiaro il significato di questa citazione: Laing è interessato non alla “schizofrenia” come malattia, ma a questo tipo di possibile esperienza dell’essere umano; è interessato cioè alla schizofrenia  secondo il significato etimologico: Schiz = spezzato e Phrenos = anima o cuore.In questo senso, lo schizofrenico è chi ha il  cuore spezzato, ed anche i cuori spezzati, come si sa, guariscono, purchè si abbia abbastanza cuore da lasciarli guarire”[2].

A mio parere il pensiero di Laing è ancora oggi riproponibile e attuale perchè  il nocciolo del suo pensiero resiste al di là del clima fortemente politico e utopico degli anni settanta. Infatti, alla scivente, non appare affatto decontestualizzata la sua analisi della famiglia e della società nonostante quel momento storico sia superato; questo a significare forse la sua acuta capacità di entrare nei meccanismi più profondi delle relazioni umane,   laddove il cambiamento dei contesti storici non ha più senso. La sua analisi  critica della  società e del metodo scientifico mi appare oggi come ieri valida.

La società e la cultura attuale, basata sulla rincorsa verso modelli di efficienza e alte performance,  rifugge e ha paura della sofferenza psichica poichè essa  appare  un assurdo ed incomprensibile ostacolo, un freno limitante al raggiungimento di tali obiettivi, che privilegiano la dimensione esteriore ed estetica della vita dell’uomo e da cui ne deriva  una visione parziale e riduttiva dei disturbi psichici.

In questo contesto culturale “schizofrenico” chi non riesce a seguire il ritmo frenetico di  vita è considerato un “malato”, un’anomalia nell’equilibrio apparentemente stabile di un tale sistema sociale.

A mio parere il razionalismo medico scientifico ha probabilmente trascurato, per eccesso di efficienza,  il significato più profondo  dell’ esistenza umana .

Laing vuole proprio  dissacrare questo razionalismo scientifico, utile in molti settori di studio, ma non adatto alla comprensione dell’uomo e a ciò che concerne l’esperienza umana.

Egli, con la sua esperienza di psichiatra e da un punto di vista esistenziale,  ha voluto dimostrare che la “schizofrenia” non è un fenomeno incomprensibile di insorgenza improvvisa e di causa sconosciuta, ma che bensì’ essa si può  spiegare attraverso lo studio attento delle dinamiche familiari; egli ha cercato di  individuare quei  meccanismi psichici ed intrapsichici che portano un individuo alla  “crisi psicotica”.

In  Laing la “schizofrenia”, considerata esperienza  regressiva e patologica da una parte della comunità medica ufficiale, diventa  invece  un’esperienza possibile alla pari di altre esperienze umane; certo non una esperienza tra le più auspicabili per la sua stessa drammaticità, ma comunque un’esperienza tra le possibili.

Partendo da tali presupposti Laing ha cercato di dimostrare  che la psicosi ha una sua necessità e una sua propria  funzione: quella  di ricostituire il sé scisso dell’individuo; alla luce di tale convinzione bloccare tale processo significa misconoscerne il suo vero significato.

 

In definitiva tre sono i punti  fondamentali del pensiero di Laing su cui intendo soffermarmi:

·      nel primo capitolo tratterò la questione del metodo scientifico in relazione all’ esperienza umana;

·      nel secondo capitolo mostrerò come la schizofrenia sia un esperienza  intelligibile;

·      nel terzo capitolo come questa sia un esperienza  possibile.

 

 

  CAPITOLO 1

 LA FENOMENOLOGIA SOCIALE

I FATTI DELLA VITA E IL METODO SCIENTIFICO
Paragrafo 1.1

 

La riflessione di Laing sulla “schizofrenia”  si   muove, come dicevamo, all’interno di una profonda critica della scienza medica occidentale e del  suo metodo  razionalistico che ha individuato, in ciò che è oggettivo e oggettivabile, l’esclusivo ambito di realtà possibile, lasciando fuori quella parte della esperienza umana soggettiva  e intima  che esula  da una tale logica  scientifica. Ciò che voglio sottolineare è che, ad esempio, nel comportamentismo si dà rilevanza al comportamento osservabile dell’uomo prescindendo dai suoi moventi e dalle sue intenzioni  più recondite che  non trovano collocazione poichè non possono essere oggetto d’osservazione: è il comportamento in sè e per sè  ciò che interessa studiare.

In  questa logica un atto diventa una cosa,  il comportamento si riduce ad una risposta ad uno stimolo esterno cosicchè“la condotta umana diviene un ‘insieme di frammenti di comportamento da disporre su un tavolo e da esaminare”[3]. I comportamenti  perdono così  la loro intelligibilità e ciò che non è oggetto di scienza è considerato inesistente. Portato alle sue estreme conseguenze  il razionalismo, espresso ad esempio  nel comportamentismo, non permette  più lo studio dell’ uomo nella sua totalità.

Si potrebbe obiettare che alcune teorie come la psicanalisi, si interessino dei moventi nascosti delle azioni, ma la psicanalisi utilizza dei modelli interpretativi per comprendere il vissuto, si rifà cioè a dei costrutti teorici, quali il complesso di Edipo,o la teoria della libido, che però non trovano quasi mai un riscontro immediato nella percezione delle persone sottoposte a tale pratica terapeutica, si crea  la cosidetta  “resistenza” all’interpretazione psicanalitica. Anche Sartre dimostra che questa conclusione è paradossale. Infatti se si afferma che i comportamenti hanno una ragione inconscia come potrebbe poi la persona resistere a interpretazioni di cui non è consapevole? Significa affermare il contrario, ovvero che la persona è consapevole dei suoi moventi.[4]

La critiica di Laing dei metodi esistenti si inserisce in un contesto critico filosofico certamente più ampio  che ha le sue radici nella fenomenologia di Husserl, nell’esistenzialismo di Sartre, negli scritti del filosofo tedesco Heidegger  e inoltre nel pensiero dello psichiatra esistenziale Ludwig Binswanger concorde quest’ultimo nell’affermare che “nel campo della psicologia bisogna necessariamente rinunciare all’ideale delle scienze naturali[5], nel senso che un metodo naturalistico applicato allo studio dell’esperienza umana spersonalizza il vissuto del soggetto.

Proprio la stessa esigenza di cogliere l’altro come persona e non più come oggetto conduce Laing  a rifarsi all’esistenzialismo e alla fenomenologia sociale, scienza quest’ultima, che rimette l’ uomo  e la sua esperienza  al centro del proprio studio: è quindi una scienza adeguata al suo oggetto. Ma questa  scienza della persona deve lasciarsi alle spalle  un altro limite tipico della cultura occidentale razionalistica: l’antica divisione tra interno e esterno , tra io e il mondo, tra esperienza e comportamento “Il rapporto di esperienza a comportamento non è quello di interiore ad esteriore; la mia esperienza non si trova dentro la mia testa. La mia esperienza di questa stanza è là fuori nella stanza.”[6], ovvero nel momento in cui si decide di  studiare  l’ esperienza umana nella sua totalità, nel senso di cogliere pienamente come ognuno di noi percepisce  sè stesso , l’altro e il mondo, risulta limitante e fuorviante, per una vera comprensione,  l’utilizzo di tali divisioni  concettuali.

L’intento di Laing, attraverso la fenomenologia sociale, è quello di mettere in relazione  la mia esperienza del comportamento altrui con l’esperienza altrui del mio comportamento; questo  campo di studi è  l’ inter - esperienza: lo scambio e il confronto del mio essere nel mondo è imprescindibile dall’essere nel mondo dell’altro. 

Ma come è possibile studiare l’esperienza altrui, capire cioè quale sia quel complesso intreccio di percezioni che ognuno di noi ha su stesso, sull’altro e sul mondo, se questa, pur essendo evidente alla persona che la vive, è invisibile  agli altri?. 

Laing afferma che anche se io non posso vedere e cogliere l’esperienza  dell’altro nella sua globalità,  limitandomi  a studiare l’evidente, ovvero unicamente il comportamento, non conoscerò  mai veramente la persona con tutti i suoi moventi intimi  e avrò una visione riduttiva e distorta della realtà dell’altro.  Invece per Laing le esperienze delle persone possono essere colte e comprese  tenendo conto di due elementi : esperienza e comportamento che si  pongono in una relazione circolare, dove l’esperienza personale definisce l’azione, il comportamento e quest’ultimo trasforma l’ esperienza,come lui stesso scrive “in termini di esperienza come centro  di orientamento dell’universo obiettivo, ed in termini di comportamento come l’origine degli atti”.[7]

Alla luce di tali presupposti teorici non possiamo differenziare e definire nettamente i comportamenti sani e i comportamenti folli, bensì dobbiamo prendere atto che  esistono solo  dei   modi  possibili,  seppur strani e stravaganti, di trasformare la nostra esperienza personale in comportamento.

Tuttavia nella nostra società l’elemento della possibilità viene spesso soppresso: il comportamento etichettato come schizofrenico non viene contemplato tra le possibilità dell’esperire umano, il più delle volte, non si coglie l’esperienza dell’essere umano nella sua  interezza e nelle sue ragioni profonde, e si trasforma ciò che è frutto di una prassi, ovvero l’insieme degli eventi, dei fatti e delle azioni di diversi soggetti agenti con cui si entra in realzione che condizionano la vita di una persona nella sua soggettività, in processo[8], ovvero come risultato di una serie continua di operazioni senza un attore agente, di cui il soggetto è  solo passivo testimone.

 

LA TEORIA DELLA PERCEZIONE INTERPERSONALE  

Paragrafo 1.2

 

Nel paragrafo precedente  abbiamo  visto come per Laing sia molto importante l’esperienza personale ai fini della comprensione dell’ essere umano; ma naturalmente ora viene da chiedersi: come si forma questa esperienza? E’ a questa domanda che cercherò di dare una risposta. Come ben sappiamo l’essere umano  impara a strutturare le proprie percezioni in primis dalla famiglia, che veicola insieme alle proprie regole anche quelle della cultura d’appartenenza e del contesto sociale nel quale  vive.

Questa serie di percezioni diventano così i criteri mediante i quali si giudicano certi sentimenti  come l’amore, la tristezza, l’odio. Ma  Laing non si limita a studiare ciò che avviene nell’ individuo, come se fosse una monade all’interno della quale avvengono dei processi intrapsichici dove gli altri subentrano solo come oggetti interni, come avviene nella psicoanalisi, né si limita a studiare le interazioni tra individui escludendo ciò che avviene dentro alle persone, come  accade nell’approccio transazionale di Palo Alto. 

Possiamo dire che Laing mette insieme tutti i contributi delle varie discipline: dalla psicanalisi, alla teoria transazionale, alla teoria dei giochi.  Ne viene fuori una teoria  definita  della percezione interpersonale.

Questa teoria lainghiana si inserisce in quel filone di studi che mira al  superamento di quelle  teorie “Egocentriche”, che pongono, cioè, l’IO al centro del loro costrutto teorico, poiché, come già altri autori noti, ad esempio Watzlawich e D. Jacckson,   Laing inserisce accanto all’Ego anche l’Alter; nel mondo personale ed individuale, il soggetto  non è l’unico essere che percepisce e agisce  ma vi sono anche gli altri soggetti i quali non sono semplicemente oggetti del mio mondo interiore  ma  controparti fondamentali per la realizzazione della propria identità di persona ovvero elementi di un processo di costruzione, modificazione e ricostruzione continua, dinamica e dialettica del proprio IO; usando un’affermazione lainghiana gli altri sono i nostri  centri di  riorientamento  nei confronti della universo oggettivo”[9].

Questi altri, infatti, non sono semplicemente delle altre individualità a sè stanti con cui si hanno solo scambi comunicazionali,  ma essi sono  significativamente  in relazione con l’io degli altri  producendo, in  modo interattivo, con tutto il bagaglio culturale, familiare e personale  patrimonio dell’essere dell’uomo nella sua totalità, effetti reattivi e di continuo aggiustamento dell’immagine di sè.

Ovvero l’ambito di esperienza di ciascuno non è occupato solo da me stesso , cioè dall’ immagine che ho di me stesso e dell’altro , ma anche dalla mia  immagine della immagine che l’altro (tu, lui, lei, loro) ha di me. Tale intreccio di percezioni è definito da Laing  metaprospettiva e questo schema può essere ampliato fino a comprendere meta-meta e meta- meta prospettive all’ infinito.

Ma ciò che più conta è che ognuno di noi realizza la propria  identità  sintetizzando e interiorizzando l’immagine che  ha di sè stesso con la propria immagine della immagine che l’altro ha di noi.

Queste immagini che l’ altro ha di me, che sono tante quante le persone con cui ci relazioniamo, non debbono essere necessariamente accettate, “ ma non possono essere ignorate nello sviluppo costitutivo di un senso per la mia identità”,[10] e come  vedremo in seguito  questa disgiunzione tra come mi vedo io  e come mi vedono gli altri è esistenzialmente vitale quando   gli altri in questione sono i familiari,  che sono i primi a entrare in gioco nella formazione dell’identità.

Fin qui ho cercato di riassumere quanto dice Laing riguardo al come si organizza l’esperienza personale di noi stessi, ma ora per comprendere pienamente l’innovatività del suo  pensiero bisogna soffermarci sull’ approccio scientifico utilizzato per comprendere il comportamento di un individuo.

 

Per un approccio scientifico agli individui dobbiamo partire da due assiomi fondamentali:

 

1)      Il comportamento è una funzione dell’esperienza;

                                                                                                                                                                                    

2) sia l’esperienza che il comportamento sono sempre in relazione a qualcuno o a qualcosa altro da sè;[11]

 

Il che vuol dire che per comprendere il comportamento di un individuo si devono includere almeno due persone ed una situazione comune, inoltre si devono considerare non solo le interazioni dei due, ma anche la loro interesperienza.

 

Questo è lo schema d’ interazione che propone Laing [12]

 

 Comportamento di Peter ©                    Esperienza di Paul (E)

     

                                                                                                        

 Peter                                                                                      Paul

 

Esperienza di Peter (E)                         Comportamento di Paul©                                  

 

 

“Secondo questo schema , il comportamento di Peter verso Paul è in parte funzione delle esperienze che Peter fa di Paul. L’esperienza che Peter fa di Paul è in parte funzione del comportamento di Paul verso Peter...e viceversa”[13].

Il comportamento di ciascuno nei confronti della altro  è mediato dall’esperienza che ciascuno ha della altro, cosi’ come l’esperienza è mediata dal comportamento  di entrambi.

C’è un condizionamento reciproco dove i nostri atti sono condizionati  dall’ interpretazione che diamo agli atti dell’ altro. Ciò che può essere un ‘atto d’amore per uno, è di odio per un’ altro; infatti non sempre le  interpretazioni che diamo di un’atto coincidono con quello che l’ altro vuole esprimere   con quel comportamento.

Ma il problema non sta tanto in questa diversità di espressione;  il vero problema consiste nel non rendersi conto che quel comportamento che per noi vuole esprimere ad esempio superficialità , per l’altro, invece,  esprime vivacità. Questa discordanza di interpretazioni  non viene letta per quella che è, ma viene trasformata e recepita come un’azione cattiva, insensata  o addirittura fruttto di pazzia. Entra in gioco, in tale rimando di percezioni, un’altra componente: la fantasia (di cui tratterò più dettagliatamente nel prossimo capitolo). La dimensione che più facilmente viene fantastizzata è quella relativa alla dimensione interiore dell’altro.

 

Ad esempio :

 

          Peter                                                            Paul

1) Sono arrabbiato                                      1) Peter è arrabbiato

2) Paul agisce con molta calma                     2) Cercherò  di  aiutarlo

3) se P, fosse interessato                                   rimanendo calmo 

  dovrebbe coinvolgersi                                3) lui si arrabbia di più

4) P.sà che questo mi fa a                            4) mi accusa di volerlo

 arrabbiare                                                      offendere io resto ancora calmo

 

 

Questo gioco può andare avanti a lungo creando una “spirale di prospettive reciproche errate”. Laing afferma in proposito: “E’ in questo regno che si deve entrare se, per esempio, uno voglia capire in che modo le attribuzioni di una persona nei riguardi degli altri possono cominciare ad essere di particolare disturbo  e disgiuntive per gli altri, e da costoro venire costantemente invalidate, fino al punto che la persona  cominci ad essere oggetto dell’attribuzione globale di essere pazza.”[14]  

 

 

     IL METODO REGRESSIVO PROGRESSIVO

Paragrafo 1.3

 

 

Fin qui abbiamo definito il procedimento per comprendere l’esperienza e il comportamento di una persona, ma ora dobbiamo affrontare un’altra questione: con quale metodo indaghiamo e ricostruiamo il passato di una persona, in modo che il materiale raccolto ci aiuti  a mettere in luce il presente? Ovvero quando ci troviamo di fronte a una persona che vive un’esperienza di confusione e scissione dell’io, come facciamo a rendere intelligibile ciò che a prima vista sembra oscuro , come facciamo a ricostruire la storia che ha condotto quella persona ad una tale crisi? Il metodo usato da  Laing, ricco di richiami all’esistenzialismo sartriano, è definito METODO  REGRESSIVO PROGRESSIVO.

Sartre in QUESTIONS DE METHODE (1960) definisce il metodo regressivo progressivo come l’approccio metodologico dell’ esistenzialismo, che permette di indagare nella storia individuale e sociale. Questo metodo viene definito nell’ambito della critica al marxismo, che secondo Sartre, ha la grave colpa  di aver tralasciato, nella storia, la dimensione umana, considerando l’uomo un prodotto passivo della stessa, determinato e condizionato dagli eventi e dalle condizioni  storico economiche di ogni epoca. L’interpretazione marxista porta alla divisione della società in classi, quella del  proletariato  e quella della classe dirigente, dove da una parte c’è chi subisce i condizionamenti economici e dall’altro chi li determina.

Per Sartre la storia è opera di “tutta l’attività di tutti gli uomini”[15]. L’estraneazione che l’uomo sente  rispetto alla storia, vissuta come  processo, è spiegabile  con l’incapacità di sentirsi parte integrante e attiva di quel processo, cosicchè si determina quella incapacità di cogliere e percepire il risultato totale e il senso globale degli eventi  storici singoli  a cui tutti gli individui concorrono, la cosidetta  prassi: “la storia mi sfugge non perché io non la faccio, ma perché anche l’altro la fa.”.[16]

Questo perché la storia sociale come quella individuale  ha un movimento dialettico, di continuo superamento dell’esistente in prospettiva di un “possibile”, creando cosi’ sempre nuove sintesi  e totalizzazzioni “una vita si svolge a spirali; ripassa sempre per gli stessi punti ma a livelli diversi d’integrazione e di complessità”[17]. Secondo Sartre la condotta umana è condizionata oltre che dai fattori presenti anche dal progetto di vita  futura; ogni uomo non si limita a vivere come un’epoca prescrive, ma dà il via a un superamento dell’esistente attraverso un progetto proprio  di vita.

In questa prospettiva si introduce il metodo R.P.,che ci permette di comprendere la condotta umana  finale partendo dalla condizione originaria (regressivo), analizzando gli eventi passati alla luce del progetto individuale , che è poi il presente a cui si è giunti dopo tante contraddizioni   (progressivo). Appare chiara una differenza  rispetto agli altri metodi: l’interesse prestato, nell’esistenzialismo sartriano, per tutte le tre dimensioni temporali, passato, presente,futuro laddove nel metodo psicanalitico si accentua l’interesse solo  sul passato o in quello transazionale sul momento attuale “il qui ed ora”.

  Sartre  rifiuta  la concezione del tempo come dimensione coesa  e dotata di natura oggettiva e esterna all’essere. Il tempo esiste in quanto esiste l’essere che lo utilizza  per realizzare i suoi possibili “il tempo è puro nulla in-sè e sembra che possa avere un essere solo nell’atto col quale il per-sè lo supera per utilizzarlo. Ma d’altra parte, poichè io tendo verso un possibile solo attraverso una serie organizzata di possibili ....il tempo mi si manifesta come forma temporale oggettiva, come schieramento organizzato dei probabili...”[18]

In questa prospettiva, se si vuol conoscere l’essere non ci si può soffermare solo su una di queste dimensioni,  perchè così si rischierebbe di non avere una visione totale del movimento e del divenire dell’essere.

Con il metodo esistenzialista dell’ “andirivieni” si determina quindi, “progressivamente la biografia, approfondendo l’epoca ,e l’epoca approfondendo la biografia. E lungi dal cercare lì per lì d’integrare l’una all’altra, le manterrà separate finchè l’assimilazione reciproca si attui da sè e metta un termine provvisorio alla ricerca.”[19]

Sartre descrisse, fenomenologicamente, personalità come quella di Flaubert e di  Jean Genet, mostrando come la genialità di questi artisti non sia un dono della natura o di Dio ma un uno sbocco inventato e costruito giorno per giorno, dove ogni cosa,  la scrittura, lo stile, rispecchiava le scelte effettuate durante il percorso  di vita, scelte di fuga dai condizionamenti, e di libertà di realizzarsi nel mondo come totalità.  Laing  a sua volta si rifà a questo metodo, però  portandovi dei contributi personali, ovvero lo  inserisce all’ interno della sua teoria  della percezione interpersonale, che come abbiamo detto in precedenza punta l’attenzione sull’esperienza e sul comportamento della persona.

Quindi è imprescindibile, ai fini della comprensione  del comportamento dell’uomo, l’osservazione delle sue relazioni  tra i vari componenti del gruppo familiare e della sua esperienza di essi, in quanto persone,  in relazione con se stesse, con ognuno degli altri  e col gruppo che formano. Tuttavia per avere conoscenza di queste relazioni bisogna osservare direttamente, ovvero lo studioso deve interagire con il gruppo, poichè si può comprendere gli altri solo facendo esperienza dell’esperienza dell’altro. L’osservatore, però, ha bisogno di alcune linee guida per comprendere il sistema familiare  senza farsi trascinare nelle stesse dinamiche oggetto d’osservazione e senza irrigidirsi in posizioni  personali che non tengono conto della realtà del sistema in oggetto.

Infatti succede spesso che l’osservatore si fa in primis un’ idea del sistema che poi cerca di confermare man mano che ha nuove informazioni, finendo per manipolare i dati e per adattarli alla propria idea, eliminando le contraddizioni interne, che invece sono rilevanti per avere una visione complessa  e non distorta della prassi familiare.Vediamo invece che questo metodo, che ha un movimento dialettico, si serve proprio delle contraddizioni per giungere alla comprensione del sistema familiare; come spiegato da Esterson, che descrive le tre fasi salienti del metodo R.egressivo - Progressivo:

 Nel primo momento l’osservatore registra fenomenologicamente la situazione e le sue contraddizioni, quelle del resto del sistema e quelle che lo coinvolgono direttamente in quanto partecipante ad esso.Nel secondo momento , di tipo regressivo-analitico,egli analizza storicamente queste due serie di elementi ,la prima in termini di storia del sistema ,la seconda in termini di storia con il suo rapporto con esso.Nel terzo movimento, di tipo progressivo sintetico, i risultati  dell’analisi storica vengono rapportati, grazie ad un ipotesi, agli eventi osservati  fenomenologicamente.”[20]

Questo metodo che a prima vista può sembrare complicato e poco attuabile in realtà è stato utilizzato da Laing e Esterson per rendere intelligibile la prassi familiare di undici famiglie  all’interno delle quali c’era un soggetto diagnosticato come “schizofrenico”.

Con questo metodo, infatti, Laing ed Esterson hanno mostrato come il comportamento ”schizofrenico” che sembra bizzarro e inspiegabile, ha invece una sua ragion d’essere se visto alla luce della prassi familiare, che viene ricostruita conoscendo, sia il progetto esistenziale che la famiglia ha, sia le mistificazioni che avvengono fra i vari componenti del gruppo, sia  il sistema di fantasia in cui sono immersi i membri di quel gruppo familiare. Ciò è spiegabile in quanto ognuno di noi assimila il contesto in cui vive e lo incorpora nel  rapporto con se stesso. “Ne deriva ..un sistema di relazioni in cui, e per cui, sussistiamo; e questo sistema lo riproiettiamo poi all’esterno sul  sistema che ci circonda, che interpretiamo in conformità”[21].

 

 

 CAPITOLO 2

     LA SCHIZOFRENIA ESPERIENZA   INTELLIGIBILE

 

  PRIMA PARTE

  MODI DI ESPERIENZA INTERPERSONALE

 

LA FENOMENOLOGIA DELLA FANTASIA

  PARAGRAFO 2.1

 

 

“L’immaginazione mi circonda di una folla di avventure seducenti, destinate forse ad addolcire  il mio incontro con il fondo di quel precipizio- perchè io credevo che ci me. Esaltata,in qualche modo,codesta  nuova facoltà,sorta dall’ immaginazione,ma più alta di essa,me le mostrava, me le preparava,le organizzava, tutte pronte a ricevermi.Bastava poco che io abbandonassi l’ avventura disastrosa che io il mio corpo fosse un fondo , ma la disperazione non nè ha- e, via via che cadevo, la velocità di caduta accelerava la mia attività celebrale, la mia instancabile immaginazione tesseva.Tesseva altre avventure e delle altre ancora, e sempre più rapidamente.Alla fine trascinata, esaltata,dalla violenza, mi parve a più riprese che essa non fosse più l’ immaginazione, ma un altra,più elevata facoltà, una facoltà salvatrice.Tutte le avventure inventate e splendide,sempre più assumevano una sorta di consistenza nel mondo fisico.Appartenevano al mondo della materia,non qui tuttavia,mi presentivo che,in qualche luogo, esistessero.Non ero io che le vivevo:esse vivevano altrove e senza di viveva,che abbandonassi il mio corpo(ho dunque avuto ragione di dire che la disperazione fa uscire da se stessi)e mi proiettassi in quelle altre avventure consolanti che svolgevano parallelamente alla mia povera avventura:Sono io stato, grazie a una paura immensa, sulla via miracolosa dei segreti dell’ India?” [22]

 

 

In questo capitolo cercherò di delineare come Laing renda intelligibile la schizofrenia e per rendere più chiara l’esposizione tratterò la questione da due punti di vista:

1)      dell’esperienza interpersonale,cioè come una persona può collocarsi in una posizione falsa,

2)      delle forme di azione interpersonale , ovvero le interazioni che si verificano fra l’io e gli altri, e come una persona venga a  trovarsi in una posizione falsa come funzione dell’azione degli altri,  quest’ultimo  punto verrà sviluppato nella seconda parte. Tale  divisione è fittizia e solo funzionale alla  facilitazione dell’esposizione poiché nella realtà questi due elementi sono imprescindibili.

Come abbiamo avuto modo di dire in precedenza l’esperienza di me stesso è mediata dall’ esperienza che l’altro ha di me e viceversa . Non esistono degli eventi esclusivamente intrapsichici o esclusivamente condizionati dalle dinamiche di gruppo,  ma c’è un intrecciarsi di fattori.

Per comprendere il comportamento di una persona dobbiamo conoscere come questa persona si rapporta con se stessa ,con l’altro e con il mondo, in una parola dobbiamo conoscere come questa persona percepisce  e fa esperienza. Se non comprendiamo i modi con cui l’uomo fa esperienza allora ci risultano  incomprensibili le azioni umane.

Laing afferma che ognuno agisce e sperimenta se stesso e gli altri nell’ “immaginazione”, nella “realtà” e nella “fantasia”.

Le prime due modalità  sono conoscibili poichè sono modi di esperienza di cui la persona è consapevole ed è in grado di comunicarle agli altri.

Per quanto riguarda la fantasia, invece, questa rimane oscura alla persona che la vive, oscura si intende non nel contenuto ma nella modalità ,ovvero si scambia per reale ciò che invece è frutto della fantasia. Ad esempio Paul fa delle attribuzioni sul comportamento di Mary, Paul sente che Mary è avida , Mary sente che Paul è meschino, Paul sente che Mary pretende troppo da lui, mentre Paul sente che Paul non le dà abbastanza. Considerando il fatto che Paul ritiene di essere più che generoso, egli si risente di essere considerato meschino. E considerando che Mary ritiene di accontentarsi di poco , lei si risente di essere considerata avida. Il circolo diventa sempre più vizioso: Avidità e Meschinità sono sempre più confuse  tra di loro, ormai il sistema è vissuto in termini di fantasia, e non si percepiscono più gli atti per quello che l’altro vuole esprimere.

Vediamo che la fantasia ha un ruolo molto importante nelle relazioni con sè stessi e con gli altri e quindi il suo approfondimento non può essere tralasciato.

Attraverso lo studio di questa particolare modalità d’esperienza  possiamo capire il perchè lo “schizofrenico” perda ogni contatto con la realtà e perchè viva in un sistema di fantasia.

La fantasia non è una modalità d’esperire patologica nè esclusiva  degli stati alterati: è presente in tutti, ma integrata con  percezioni realistiche dell’esperienza, infatti la fantasia, come afferma M. Klein nei suoi studi sullo sviluppo del bambino, è la prima modalità d’esperienza del bambino attraverso la quale  egli comincia a dare senso al mondo; le fantasie  vengono mano mano sostituite da modalità più mature di fare esperienza, ma queste permangono nell’uomo adulto e danno il senso e il contenuto alle azioni.

Secondo la  psicanalisi la fantasia è una modalità inconscia fondamentale e primaria per sperimentare sè e gli altri, ad esempio il bambino che mostra il desiderio del seno materno, sperimenta questo desiderio con una fantasia precisa “voglio succhiare il capezzolo”. Secondo la teoria psicanalitica  la fantasia è un’esperienza interiore, cioè è un’esperienza intrapsichica, che  viene vissuta come reale dalla persona e che ha degli effetti sulla realtà, ma che per spiegare come avvenga  questo passaggio, si serve di alcuni meccanismi mentali (conversione, proiezione, etc.). Tutta questa macchinosità è la conseguenza della visione dualista dell’essere umano (interno-esterno, psiche-corpo, realtà psichica-realtà mentale).

Per Laing invece la persona è una totalità dove corpo e psiche sono indivisibili, così come il comportamento e l’esperienza e così, anche la fantasia, non può essere un‘esperienza solo psichica e individuale.

Al fine di chiarire la fenomenologia della fantasia, Laing individua dieci proposizioni:

 

·      1) Essa è un modo di esperienza .Come tale non è nè più interiore che    esteriore.

·      2) Essa è un modo fondamentale di sperimentare se stessi in relazione con gli altri, e gli altri in relazione con sè stessi.Come tale, essa non ha bisogno di essere più infantile che adulta , nè più primitiva che  progredita.

·      3) Dal punto di vista ontogenetico essa è probabilmente il  primo modo d’esperienza a nascere che precede cronologicamente il sorgere   della  consapevolezza riflessiva.

·      4)  La vita fantastica degli adulti è potenzialmente uno sviluppo della vita  fantastica infantile. Solo quando questo sviluppo sia stato contrastato  arrestato la vita fantastica adulta appare una diretta ripetizione della   fantasia infantile.

·      5) La maggior parte delle persone non sono consce di questo modo di  esperienza, ma non è sempre necessariamente così. Quando diventa interamente e radicalmente consapevole della fantasia in termini di contenuto  che di modalità , la persona è soggetta nel suo intero essere   ad una rivalutazione di sè e degli altri.

·      6) Tutta l’esperienza che è inconscia ad una persona non è  necessariamente fantasia.

·      7)Quando una persona è inconscia della propria fantasia, questa fantasia può essere ovvia ad un’altra persona, se questa è diventata consapevole della fantasia.

·      8)Le fantasie implicano motivi del pieno/vuoto, buono/cattivo,distruzione/riparazione,angoscia/sicurezza,e così via. In fantasia, questi motivi sono sperimentati primariamente in termini fisici. In sede di relazione vi sono sempre implicate unione, confusione, separazione, scissione, distruzione, riparazione di corpi e altre parti di corpi.

·      9) Le distinzioni fra io ed altro ,fra l’ insieme di una persona e   parti di una persona ,non reggono per quanto riguarda la fantasia.

·      10) Si vive continuamente di implicazione e di partecipazione  con la modalità della fantasia delle altre persone, e ciò è   reciproco.Il rapporto io-altro ,che può avvenire a livello di fantasia ,è altrettanto fondamentale per i rapporti umani nel loro complesso,delle interazioni di cui la maggior parte delle persone è   per  la maggior parte del tempo consapevole”.[23]

 

Come abbiamo già detto la fantasia è una modalità di fare esperienza comune a  tutti, tuttavia vi sono dei gruppi quali i gruppi di lavoro, di studio e i gruppi familiari, di cui in particolare intendo trattare, all’interno dei quali essa è la modalità prevalente.

Vivere all’interno di questo sistema, di questo nesso fantastico significa perdere la propria distintività individuale, essere alienati, perché si perdono le proprie percezioni e valutazioni,  in quanto si partecipa alla fantasia del gruppo.

La persona viene collocata in una posizione falsa che però non viene percepita come alienazione.

Tuttavia lo psicotico nei suoi deliri, in cui sente di essere perseguitato o che qualcuno gli legge nel pensiero o gli vuole rubare il cervello, esprime la sua parziale appercezione  della posizione falsa che occupa nel sistema sociale di fantasia.

Ma all’interno del nesso familiare ci possono essere necessità diverse di scuotersi dal sistema di fantasia . Se infatti una persona vive in un nesso dove il suo sistema di fantasia viene condiviso non c’è nessuna necessità di sforzarsi di emergere. Invece se si trova in una posizione insostenibile il suo bisogno di emergere è più disperato.

Laing sostiene che un nesso di persone può influenzare la fantasia che l’altra persona ha di sè stessa e degli altri, in modo che la sua fantasia divenga più congiuntiva o disgiuntiva nei riguardi dell’altrui fantasia. Se la fantasia che una persona ha di una situazione comunemente percepita è dissonante da quella del resto del nesso, allora le sue azioni diventeranno sempre più dissonanti, fino a quando questa persona verrà definita diversa, ovvero pazza o cattiva.

 

 

IL BISOGNO ONTOLOGICO   PRIMARIO

 paragrafo 2.2

 

 

Fino a questo punto si è parlato di come un nesso familiare può mettere una persona in una posizione falsa. Ma cosa vuol dire essere messi in una posizione falsa?

Il termine “posizione” viene usato in senso esistenziale, ovvero  si vuol intendere l’essere -nel mondo di una persona, e la realizzazione della  propria soggettività o identità, mediante la ricerca e la sperimentazione dell’ io latente.

Una posizione è autentica quando una persona  riesce attraverso i suoi atti a realizzare pienamente il proprio essere, cioè a essere quello che si è. Mentre essere “inautentici” vuol dire non essere sè stessi,  non essere quello che si dimostra di essere.

E’ conseguente che una posizione è vera quando un uomo “sentirà che intende ciò che dice, e dice ciò che intende. In altri termini, le sue parole, o le sue altre modalità espressive, sono vere  manifestazioni della sua esperienza, e delle sue intenzioni reali.”[24]

Viceversa una posizione è falsa quando gli atti non esprimono le intenzioni e l’esperienza reali e quindi la propria identità.

Abbiamo già avuto modo di chiarire come si forma l’ identità di una persona e come questa sia determinata da come gli altri ci percepiscono.

L’identità abbiamo detto è la sintesi fra l’immagine che si ha di sè stesso con la propria immagine della immagine che l’altro ha di noi. Quindi l’altro è determinante in questo processo, ed è per questo che può agire in modo da non permettere la formazione dell’identità (le modalità le tratteremo nel prossimo capitolo).

Nella comprensione della schizofrenia ci risultano quindi fondamentali i concetti di fantasia e identità.

E’agendo a livello di fantasia che si mette la persona in una posizione insostenibile, ovvero squalificando le percezioni che uno ha di se stesso e della realtà , non permettendo di assumere nessuna posizione  vera e propria, neppure nella sua stessa fantasia.

In questo sistema la persona non riesce a emergere poichè non ha nessuna possibilità di realizzarsi come essere autonomo e individualizzato.

Questa azione parte dai primissimi giorni di vita. Infatti le cure, le attenzioni, l’essere riconosciuto come un essere con le sue esigenze, con le sue caratteristiche, i suoi bisogni , sono fondamentali per porre le basi del senso d’identità.

Laing afferma che i genitori delle persone schizofreniche non percepiscono il bambino per come esso è, ma per come lo vogliono vedere, il bambino reale non viene vissuto, perchè vivono in funzione di un bambino fantastizzato. Si capisce come dai primissimi anni di vita il bambino viene messo in una posizione falsa.

E’ in questo contesto che il bambino non sviluppa il senso di sè stesso come reale e differenziato dagli altri. Difatti le persone schizofreniche si sentono irreali, sentono di non essere vive, hanno paura che gli altri possano fargli del male, ogni situazione li terrorizza ed è una minaccia. Tutto questo perchè si trovano in una situazione di insicurezza ontologica primaria.Ovvero  manca quella sicurezza sulla realtà e unità dell’essere .

Infatti Laing afferma che in circostanze normali  la venuta al mondo di un nuovo organismo vivente coincide con l’inizio di rapidi processi, in virtù dei quali il bambino si sente vivo e reale ed ha il senso di essere un’entità, continua nel tempo e provvista di un posto nello spazio”[25]

In alcuni casi però questi processi così necessari non avvengono lasciando così il posto ad un senso di irrealtà.

L’insicurezza ontologica  esprime la possibilità tragica dell’annullamento o non-essere, in questo caso “l’uomo affronta il non essere come perdita parziale dell’unità sintetica dell’io, accompagnata da una perdita parziale di rapporto con l’altro, in una forma definitiva, nell’ipotetico stato finale di non-entità caotica e di perdita totale di rapporto con l’altro”.[26]

Vediamo quindi che se un bambino  non è stato percepito mai come reale dagli adulti non potrà poi percepire nemmeno sè stesso e gli altri come reali.

Quando viene meno la sicurezza ontologica allora anche le circostanze della vita quotidiana diventano un pericolo continuo e mortale per il proprio essere, anche le cose che per noi sono irrilevanti assumono un significato speciale e si caricano di pericolosità.

Questo grave stato di ansietà, originato nella tenera infanzia, produce una vulnerabilità che dura per tutta la vita dell’individuo. Questo cerca disperatamente di difendersi mettendo in atto una serie di processi, ma come vedremo più avanti gli si ritorcono contro.

L’individuo ontologicamente insicuro, cerca in un primo momento di cambiare sè stesso per venire a patti con la realtà, ma sotto l’azione mistificante del sistema familiare è costretto a modificare la realtà , o meglio modifica ancora una volta sè stesso creando un sistema di fantasia che gli permetta di affrontare la realtà che gli sfugge .

Ma ritorniamo un attimo indietro e cerchiamo di definire le forme di quest’ansietà; Laing ne individua tre dandogli un nome convenzionale:

 

1) Risucchio: questa è una particolare forma d’ansietà e consiste     nella    paura di ogni rapporto in quanto tale  persino  con  sè stesso, poichè c’è un’enorme paura di perdere la   propria  autonomia, c’è appunto la paura di essere   risucchiati , inghiottiti e perciò annientati.

“Il risucchio è vissuto come il rischio costante di essere compreso, o di  essere amato, o semplicemente di essere visto”[27]

 

2) Implosione: è’ la paura terrificante che il mondo possa sfondarci e cancellare l’identità. Questo perchè  ci si sente vuoti   e mentre da una parte c’è un forte desiderio di sentirsi pieni, dall’altra c’è il terrore che questo avvenga.

 

3) Pietrificazione e spersonalizzazione: il termine pietrificazione viene usato in tre accezioni:

a)  la paura  o incubo di essere trasformato in pietra;

b)il terrore che ciò accada e che ci si trasformi, da persona   viva, in una cosa morta senza soggettività e personalità (pietra, robot).

 

Attraverso la spersonalizzazione si trasformano  gli altri in una cosa  perchè si ha paura che gli altri lo facciano con noi; si riduce  l’altro a un oggetto perchè si ha paura di divenire, noi, per gli altri, oggetti. Questo processo però è un circolo vizioso perchè più si tenta di  conservare la propria autonomia e identità annullando l’altro,  più si sente la necessità di farlo. In questo modo si va incontro a due fallimenti: l’incapacità di mantenere il senso di sè come persona quando si è con l’altro e l’incapacità di mantenere questo senso quando si è soli. Vediamo quindi che se l’individuo non si sente autonomo non può sentire normalmente nè la sua separazione nè la sua relazione con l’altro. Riporto qui, a titolo esplicativo  un caso descritto da Laing nel testo “Io diviso”: “L’ansia del sentirsi soli.”

Il disturbo accusato dalla signora R. .era un timore di stare per la strada(agorafobia).Ad un esame più attento risultò che l’ansietà nasceva quando cominciava a sentirsi da sola,per strada o in qualunque altro luogo.Era capace di cavarsela per conto su, ma solo se non si sentiva completamente sola.La sua storia, in breve,era la seguente.Era figlia unica. Non era stata trascurata,nè c’era stata ostilità visibile nella famiglia.Tuttavia era sua impressione che i genitori fossero sempre troppo occupati l’uno dell’altro per accorgersi di lei.Crescendo ,desiderava riempire questo vuoto nella sua vita, ma non era mai riuscita ad essere autosufficente,,nè a sentirsi partecipe completamente del suo mondo personale,il suo desiderio più forte  era sempre quello di essere importante per qualcuno...

 Crebbe diventò molto piacente, e a diciassette anni sposò il primo uomo che se ne accorse veramente.I suoi genitori ,in un modo che a lei sembrava caratteristico, non si erano mai accorti , fino all’annuncio del fidanzamento ,che la loro figlia fosse mai stata turbata per qualche cosa. Ora, al calore delle attenzioni del marito, si sentiva trionfante e fiduciosa.Ma il marito era ufficiale dell’esercito e poco dopo venne trasferito all’estero;la ragazza non potè seguirlo.A questa separazione seguì uno stato di panico  grave . Tuttavia arrivò un aiuto sottoforma di malattia della madre.

La paziente ricevette un appello urgente dal padre, che le chiedeva di venire a casa per aiutarla. Non vi fu più traccia di panico fino a quando, alla morte della madre, cominciò a preoccuparla l’idea di lasciare quel luogo, dove finalmente contava tanto ,per raggiungere il marito. L’esperienza dell’anno trascorso la faceva sentire,per la prima volta, di essere finalmente la figlia dei suoi genitori,e al confronto essere la moglie di suo marito le pareva superfluo. E’ancora da notare l’assenza di dolore per la morte della madre. Più che altro era spaventata dall’idea di restare sola.

Raggiunse il marito all’estero,e per alcuni anni condusse una vita gaia. Ma le attenzioni di lui diminuirono e allora cominciò a sentirsi inquieta e insoddisfatta;il matrimonio finì    in una separazione , e la paziente tornò a Londra a vivere col padre. Mentre viveva con lui diventò l’amante e la modella di uno scultore ,e viveva così da diversi anni quando,a ventotto anni di età, venne da  me.

Ecco come si esprimeva parlando di come si trovava per strada: << Per strada la gente va e viene pensando ai propri affari. Non si incontra mai qualcuno che ti riconosca.. Nessuno sà chi sei...nessuno si cura di te.>>.

Il punto centrale della sua vita è la sua mancanza di autonomia ontologica.

Se manca la presenza fisica di una persona nota, le sfugge il senso della sua identità. A questo venir meno del suo essere è dovuto il panico:per esistere ha bisogno di qualcuno che creda nella sua esistensa.Per lei esse est percepi, essere vista, cioè,non semplicemente come una passante anonima o come una conoscente casuale. Anzi era proprio  questo modo di essere percepita a pietrificarla.”[28]

 

   LA CONDIZIONE SCHIZOIDE    E     L’ELUSIONE DELL’ESPERIENZA                  

paragrafo 2.3

 

La persona insicura ontologicamente vive nel terrore dell’annullamento, del non-essere. Gli altri, come portatori di una soggettività, lo gettano nel panico, in quanto crede che possano leggere nella sua mente e capire i suoi  pensieri. La risposta a quest’ansia si attua  nella spersonalizzazione dell’Altro, nel renderlo un oggetto.

Ma in questo non ci sarebbe niente di schizogeno, infatti Sartre afferma  che “il timore è una reazione originaria, il modo con cui io riconosco altri come soggetto fuori portata ed implica una comprensione della mia epsità che può e deve servire come motivo per costituire altri come oggetto[29]. Ovvero il timore di divenire oggetto per l’altro mi induce a rendere l’altro tale, e in questo modo  mi definisco come soggetto, naturalmente anche l’altro è impegnato nella stessa operazione.

Quindi se quest è un modo naturale di reagire dell’essere, ma allora dove è l’anomalia?

Laing sostiene che il soggetto schizoide non si limita a trattare  l’altro come oggetto, tratta anche sè stesso come una cosa un oggetto, ovvero all’estremo dei due poli, dove normalmente l’altro è oggetto e l’io il soggetto, qui non ritroviamo più il soggetto. Troviamo ancora un oggetto , in quanto lo schizoide non si percepisce come soggetto, non  ha  il senso della propria realtà e identità, e così per difendersi rende sè stesso un oggetto.

Questa manovra che la persona attua su sè stessa, Laing la  definisce elusione o nel linguaggio Sartriano malafede. Sartre ne fa un esempio “Consideriamo questo cameriere .Ha il gesto vivace e pronunciato,un po' troppo preciso,un po' troppo rapido, viene verso gli avventori con un passo un pò troppo vivace, si china con troppa premura, la voce, gli occhi esprimono un interesse un po' troppo pieno di sollecitudine per il comando del cliente poi ecco che torna tentando di imitare nell’andatura il rigore inflessibile di una specie di automa, portando il vassoio con una specie di temerarietà da funambolo,in un equilibrio perpetuamente instabile e perpetuamente rotto, che perpetuamente ristabilisce con un movimento leggero del braccio e della mano.Tutta la sua condotta sembra un gioco.Si sforza di concatenare i movimenti come se fossero degli ingranaggi che si comandano l’un l’altro,la mimica e perfino la voce paiono meccanismi ;egli assume la prestezza e la rapidità spietata delle cose.Gioca si diverte. Ma a che cosa gioca? non occorre osservare molto per rendersene conto; gioca ad essere un cameriere.”[30]

Vediamo, quindi, che il ragazzo rappresenta il cameriere, come può fare un attore ,  ma in effetti non lo è. Si immagina e si comporta come se lo fosse ma non lo è. “L’elusione è una manovra dell’io in relazione sia all’io e/o agli altri che alle cose. Nell’elusione uno modifica la propria posizione originaria verso sè stesso; quindi simula di abbandonare questa simulazione in modo di dar l’impressione di essere tornato al punto di partenza ,ma di fatto egli avrà soltanto simulato di averlo fatto mediante una doppia simulazione”[31].

Laing ,questo rapporto elusivo con la propria posizione, lo descrive così:

1.- “Uno sta’ seduto in una stanza.

2.-Egli immagina o simula che la stanza non sia una stanza reale,  ma una stanza creata dalla propria immaginazione.

3.-Dopo aver simulato ciò al punto da convincersi che la stanza è  soltanto immaginaria, egli comincia a simulare che la stanza sia  reale e niente affatto immaginaria.

4.-Egli finisce ,perciò, col simulare che la stanza reale sia reale, piuttosto che percepirla come tale”.[32]

Attraverso l’elusione la persona vive in un sogno, dove fantasia, immaginazione e  realtà si intrecciano e diventano indistinguibili.

Immerso in questo sistema la persona elude la realtà e gli altri, che vengono  visti come personificazioni della fantasia, divengono  dei fantasmi incarnati.

Questa persona invece di essere ciò che è, simula di esserlo, in questo modo, mente a sè stessa, naturalmente sa che è una menzogna e ne conosce il motivo, (anche se lo vuole dimenticare),  agisce  dunque in malafede, perchè  con i suoi atti  non esprime sè stesso ma un sè falso, costruito, di facciata, dietro il quale si nasconde il vero io .

Possiamo dire che la persona sotto la spinta delle sue paure di disgregazione si dissocia , si divide in due ; Costruisce una personalità di facciata, che cercherà di compiacere gli altri, detta del falso io,  e una personalità interiore, il vero io, che assumerà una posizione di distacco dal falso io.

Il falso io è identificato con il corpo, che viene vissuto come esterno, mentre l’io vero è l’io incorporeo  che osserva .

Vediamo che nella condizione schizoide si ha una scissione fra l’io e il corpo. Dove il vero io è sentito come incorporeo, mentre le esperienze corporee sono sentite come parte del falso io, quindi estranee, in quanto il vero io, percepisce il falso io come una cosa esterna a sè stesso, e lo tratta alla stregua delle cose.

Questa divisione può essere rappresentata schematicamente così:

                                     

                                    io= (corpo -altri)

                            invece del  normale dualismo

                                     (io/corpo)=altri

 

Così l’io interiore rimane escluso da ogni contatto con la realtà; la conseguenza di ciò è il senso di irrealtà che assale l’io interiore il quale sente di perdere la vitalità e l’identità giacchè  il falso io ha  vita autonoma, non esprime l’io vero, nè porta nutrimento a questo. Rimanendo così isolato, l’io interiore, si nutre di sogni e immaginazione, non agisce nella realtà ma bensì nella fantasia.

La fantasia non essendo immersa in qualche misura nella realtà si svuota e diventa sempre più irreale. L’io entra così in rapporto solo con oggetti e persone immaginarie ,anche se di questo non si è sempre consapevoli.

Il falso io o io corporeo, invece, mantiene  i rapporti diretti con la realtà: esso si forma nella sottomissione alle intenzioni e aspettative degli altri, vere o  immaginarie; inoltre, il falso io ha la tendenza ad assumere un comportamento  di obbedienza e sottomissione  agli altri; questo comportamento viene considerato dagli altri come sintomo di  bontà. Si verifica spesso che la ricerca di cambiamento, messo in atto da persone con tali comportamenti, per il raggiungimento di  una maggiore autonomia, venga interpretato dai genitori come cattiveria, ovvero la persona è buona fino a quando è obbediente e invischiata nel sistema fantastico familiare, mentre è cattiva quando cerca di essere sè stessa e di uscire dal sistema di falsificazione in cui vive.

L’attività osservabile è spesso perfettamente normale, il marito ideale, il bambino modello, l’impiegato solerte: niente farebbe presagire il terrore e l’odio che si cela dietro a tanta docilità nei confronti degli altri. Tuttavia  questi sentimenti celati, possono straripare nella psicosi o esprimersi  attraverso dei modi compatibili con il falso io, ovvero assumendo le caratteristiche delle persone a cui è diretta la propria docilità. Si arriva ad un vero e proprio impersonare l’altro, fino a quando l’odio per tale interpretazione non  induce a impersonare delle caricature delle persone odiate.

In questa situazione schizoide, anche il rapporto fra falso io e vero io è caratterizzato dall’odio in quanto la finzione così messa in atto viene vissuta come una minaccia per la propria identità, che diventa sempre più irreale, in quanto l’ identità,  per essere percepita come vera, ha bisogno di essere riconosciuta dagli altri. Tutto questo meccanismo attuato dallo schizoide e che dovrebbe allontanare l’ansia, in realtà gli si ritorce contro, perchè l’io corporeo prende una vita propria, mentre l’io incorporeo si nutre di immaginazione e di sogni. L’io incorporeo non ha nessun contatto con la realtà e così finisce per impoverirsi, diventa completamente irreale,  non riesce a conservare il senso dell’ identità, già così precario e aggravato ulteriormente dalle sue stesse manovre.

Riportiamo un altro caso esposto da Laing per comprendere meglio tali meccanismi: “Il caso di David

David aveva diciotto anni, era figlio unico; sua madre era morta quando il ragazzo aveva dieci anni, e da allora questi era vissuto con il padre. Il padre non capiva perchè mai andasse dallo psichiatra, perchè secondo lui non ce n’era nessun bisogno.

Gli insegnanti invece erano preoccupati: il ragazzo sembrava allucinato e si comportava in modo bizzarro.Per esempio si presentava a lezione avvolto in un mantello e con un bastone da passeggio;i suoi modi erano estremamente manierati, e il suo linguaggio si componeva in gran parte in citazioni....

Non era soltanto eccentrico: la mia impressione era che giocasse a fare l’eccentrico. Ma per quali ragioni poteva volere un effetto simile?

Risultò che in realtà, come attore, aveva anche molta pratica, perchè aveva sempre interpretato una parte, almeno dal tempo della morte della madre.Prima di allora disse:”Ero soltanto quello che voleva lei”. Della sua morte disse:”Mi sembra di ricordare che ne fui piuttosto contento. Forse ho anche sentito del dolore, o forse mi piace pensare che l’ho sentito”.Fino alla morte della madre, dunque,  era stato semplicemente quello che lei voleva; ma dopo la sua morte non gli era stato più facile essere sè stesso, ed era convinto che ciò che chiamava il suo “io” e la sua “personalità”  fossero in realtà due cose del tutto distinte.

Il suo io non si rivelava mai direttamente .Sembrava che, uscendo dall’infanzia, egli avesse portato con sè da una parte questo suo io, e dall’altra “ciò che sua madre voleva che fosse” cioè la sua personalità; e che, partendo da questa situazione, si fosse poi proposto come compito,e come ideale da raggiungere, di rendere il più completa possibile la frattura fra il suo io e quello che vedevano gli altri[..].Il ruolo che aveva impersonato durante la scuola media era, secondo la sua stessa descrizione, quello di un ragazzo precoce, di ingegno acuto,ma piuttosto tagliente e freddo di carattere. Poi, sempre secondo il suo resoconto, versi i quindici anni si era reso conto che questa parte gli procurava troppe antipatie. Allora aveva deciso di modificare il personaggio e renderlo meno sgradevole.

I suoi sforzi per conservare questo tipo di organizzazione si urtavano contro due ostacoli.Il primo non lo preoccupava tanto seriamente:era il pericolo di essere spontaneo[..]

Il secondo ostacolo era più grave .anche perchè non era stato previsto[..]

Per tutta l’infanzia gli era sempre piaciuto di rappresentare delle parti davanti allo specchio.Lo faceva anche adesso, ma si era accorto di lasciarsi assorbire troppo dalla parte, cioè di essere spontaneo, e temeva che questo fosse la sua rovina. I ruoli che impersonava davanti allo specchio erano sempre ruoli femminil .ma a un certo punto si era accorto di non potersi più fermare: si sorprendeva a camminare, senza volerlo, come una donna; a vedere e pensare come potrebbe fare una donna. Questa era la sua situazione attuale, e questo spiegava il suo abbigliamento bizzarro. Perchè aveva constatato che soltanto vestendosi e agendo come faceva poteva arrestare il comportamento donnesco, che minacciava di inghiottire non soltanto le sue azioni ma anche il suo vero io” [33].

 

 SVILUPPI  PSICOTICI

    paragrafo 2.4

 

 L’individuo schizoide vive in uno stato di scissione, dove il falso io gestisce i rapporti con gli altri, mantenendo in molti casi un perfetto adattamento alla realtà. Questo sta a significare che non sempre si va incontro ad una crisi psicotica. Infatti una persona può vivere tutta la vita in questo stato, senza mostrare nessuna stranezza o insofferenza.

E’ determinante a tal fine, ancora una volta, il contesto nel quale la persona vive.  Lo schizoide può vivere tutta la sua vita in questo stato di malafede, ma perchè questo accada si devono verificare due condizioni:

 

·      Il sistema fantastico, nel quale l’ io vero è immerso, deve essere in qualche modo  condiviso dal resto del sistema familiare.

·      Il falso io, che la persona ha costruito per soddisfare le esigenze e le aspettative dei  familiari, non deve essere  vissuto come totalmente estraneo e soffocante da parte dell’io vero,  ma deve essere in parte accettato.

 

In questo modo l’individuo riesce a mantenere il senso della propria identità, anche se un’identità falsa, e il contatto con la realtà, o meglio con quella particolare realtà che è condivisa dal sistema familiare. Altre volte però queste condizioni non si vengono a creare, il soggetto vive il falso io come totalmente estraneo da sè e inoltre le condizioni esterne, ovvero la famiglia, non gli permettono di realizzare un’ identità , perchè lo sottopongono a messaggi contrastanti.

Così l’io vero si chiude totalmente in uno stato fantastico. Le uniche sue funzioni  diventano appunto la fantasia e l’osservazione. E naturalmente questo agire solo nella fantasia lo porta a perdere non solo ogni contatto con la realtà, ma anche il senso della realtà.

Infatti l’io interiore diventa completamente irreale e “fantastico”, diviso e morto, anche quel piccolo senso della propria identità viene perso. L’io si carica, inoltre, sempre più di odio , di paura e di invidia.

Contemporaneamente il falso  io si estende sempre di più, diventa sempre più autonomo e viene disturbato da frammenti di attività involontaria. Tutto ciò che appartiene al falso  io si fa sempre più irreale, falso, morto e meccanico.

Il sistema del falso io non è più in grado di adattarsi alla realtà, tanto più che l’io interiore, immerso nella fantasia, non modifica le sue fantasie, perchè non c’è più l’ intenzione nè di verificarle nè di correggerle. Ormai l’io non fa più nessuno sforzo per agire sulla realtà. L’io si dissocia completamente dal corpo, che viene percepito come in possesso degli altri.

Questo è l’ultimo passo che porta alla psicosi, l’individuo, ormai, è diventato irreale e morto, la realtà e la vita non possono essere più direttamente vissute, per cui  l’io si carica di odio e invidia per la vita degli altri che gli appare ricca e   vivida. Laing afferma che l’io, in questa  fase, è orale e primitivo: “in quanto appunto è vuoto e ,pur  temendolo sopra ogni altra cosa, desidera di essere riempito.[34]

Tuttavia per evitare il senso di colpa che sentirebbe, se accettasse la bontà e la vita  presente negli altri, cerca di  distruggere questa positività, per salvare sè stesso. L’io così fantastizzato acquisizione e distrugge la realtà attraverso degli atti a cui attribuisce un significato magico: toccare, copiare, imitare. Attraverso queste operazioni l’individuo cerca di evocare in se stesso quelle  stesse impressioni  positive della realtà  che lui scorge come reali nella vita degli altri. Un’altro modo estremo per sentirsi vivi è attraverso il dolore fisico, che queste persone si provocano volontariamente;  ma  le manovre schizogene, che l’individuo mette in atto per difendersi dall’ansia e dal terrore, gli si rivoltano contro. Tuttavia la psicosi non deve essere vista come una una riposta patologica: essa rappresenta il tentativo estremo che l’individuo compie per essere sè stesso, anche se convive in lui il desiderio opposto, quello di non essere.

Infatti la persona che si trova in questo stato cerca in tutti i modi di confondere gli altri, comportandosi e parlando in un modo bizzarro e strano. La difficoltà nel comprendere il comportamento schizofrenico sta da una parte  nella voluta enigmaticità, dall’altra nel  riflesso di un, ormai, diverso ordinamento della sua esperienza.

Tuttavia vi sono casi  di psicosi  che sono ancora  più complessi: gli individui così scissi  hanno attuato un progetto di ulteriore distruzione, quello di “uccidere” sè stessi.

Queste persone durante  il loro delirio dicono di essere morte o di essere state derubate del loro io. In realtà questa negazione dell’essere è uno strumento per la conservazione dell’essere stesso. Lo schizofrenico crede di aver “ucciso” il proprio  io, e ciò allo scopo di evitare di essere “ucciso” dalla realtà da cui rifugge.

In breve Laing riassume così le fasi del processo psicotico:

·      1) “L’orientamento dell’io è orale e primitivo: esso è preso dal dilemma di   salvare la sua vita senza assorbire nulla, perchè ciò lo terrorizza ,e  diviene perciò arido e desolato.

·      2 ) L ’io si carica di odio per tutto ciò che sta’ <<là fuori>>.  L’unico modo di distruggere e non distruggere ciò che è la fuori può sembrare quello di distruggere sè stesso.

·      3) Il tentativo di uccidere l’io può essere intrapreso deliberatamente. Esso è in parte una manovra difensiva (se sono un morto non mi si può uccidere), in parte un tentativo di obbedire al crudele senso di colpa che opprime l’individuo (non si ha nessun diritto di vivere).

·      4) L’io interiore si divide a sua volta, perdendo la sua integrità  e la sua identità.

·      5 )Esso perde sia la sua realtà, sia ogni accesso diretto alla realtà che esiste fuori di lui.

·      6 )Il rifugio dell’io diventa una prigione;quello che doveva essere un paradiso diventa un inferno. Perde persino la tranquillità di una cella solitaria, diventa una camera di tortura. L’io interiore è infatti perseguitato dai frammenti concretizzati di se stesso, o dai suoi stessi fantasmi, divenuti incontrollabili”.[35]

 

Vediamo quindi che nello schizofrenico si trovano le stesse fratture presenti nello stato schizoide: io interiore - io corporeo: il corpo viene percepito come estraneo all’io, mentre quest’ultimo continua ad operare nella fantasia, oppure nei casi più gravi cessa di funzionare  completamente.

Questo avviene quando il <<centro>> non tiene più, ovvero quando l’io interiore diviso ulteriormente perde la sua identità e la coesione, divenendo  una <<non entità caotica>> ovvero, entra in  uno stato di disintegrazione completa, a volte non più compatibile con la vita come nel caso  dell’ebefrenico - catatonico cronico.

Però ci sono casi meno gravi di questo e sono quelli in cui l’io è ancora integro e mantiene, almeno, un minimo senso di  identità.

 

 

SECONDA PARTE

FORME DI AZIONE INTERPERSONALE

LA RELAZIONE COLLUSIVA

paragrafo 2.5

 

L’approccio teorico di Laing risalta l’importanza delle relazioni interpersonali, rifiutando così tutte quelle teorie che si basano esclusivamente sui processi intrapsichici.

Ogni individuo vive la propria vita in virtù dell’altro, che può essere sia reale che immaginario.

L’uomo per esistere  ha bisogno del riconoscimento dell’altro, cosa che abbiamo appurato nel caso delle manovre schizoidi, che ci hanno mostrato come non si possa realizzare un’identità solo per sè stessi, la cui conseguenza sarebbe il senso di irrealtà che invade l’essere. L’identità, come abbiamo più volte sottolineato, ha bisogno della presenza dell’altro, non si può pensare ad un’identità completamente astratta. Ogni rapporto implica una definizione dell’io tramite l’altro, e dell’altro tramite l’io.

Vediamo che un’ aspetto rilevante della struttura relazionale è la complementarità, ( questo termine  Laing lo  usa non con il significato che è stato dato  da Haley e dai teorici della    comunicazione, che considerano  la complementarità e la simmetria, due categorie fondamentali in cui si possono dividere tutti gli scambi di comunicazione ).  Laing usa questo termine per sottolineare, la necessità esistenziale per ogni individuo, di realizzare la propria identità attraverso l’altro. Ovvero l’uomo ha bisogno della moglie per essere marito, la donna ha bisogno di  un figlio  che le conferisce l’identità di madre.

Tuttavia questa complementarità può essere genuina o falsa:

·      è genuina quando due persone in una relazione, riescono mutuamente a confermare l’altra o far da genuino complemento all’altra,questo richiede sicurezza di sè e fiducia nell’altro;

·      è falsa quando si “costringe” l’altro ad assumere un identità falsa per confermare l’identità  fantastica   che si vuole assumere.  

In questo caso non si può parlare più di una normale relazione complementare ma siamo in presenza di una collusione, dove collusione significa “gioco giocato da due o più persone, mediante il quale esse ingannano se stesse , un gioco che implica un autoinganno reciproco”[36]. E ancora “la collusione sarà riferita a quelle manovre interpersonali in cui si esprime una cooperazione fra l’io e gli altri ,vale a dire quei processi interpersonali in cui ciascuno gioca  volontariamente al gioco altrui, magari senza rendersene completamente conto”[37].

Attraverso il gioco collusivo una persona usa l’altra per personificare la propria visione fantastica, costringendo l’altro ad assumere una posizione falsa, dove questa, non rappresenta altro che il suo atto di collusione, infatti quest’ultimo  desidera ardentemente assumere il  falso io.

E attraverso questo concetto di collusione che si spiega come mai alcune  persone  schizoidi non evolvano  nella psicosi. Perchè all’interno del sistema familiare, c ‘è qualcuno o più di qualcuno, che ha bisogno del  falso io  dell’altro per personificare la sua fantasia, e viceversa.

L’altro, in queste circostanze, può sperimentare un senso di colpa, dove se non si lascia attrarre in rapporto di collusione, si sentirà colpevole  di non diventare la personiificazione richiesta dall’altro. Se però soccombe, se viene sedotto, può sentirsi estraniato dalle proprie possibilità, e così “colpevole di tradimento verso sè stesso”.[38]

La collusione viene “cementata” quando entrambi riescono a confermarsi nelle loro posizioni di fantasia, riuscendo a darle, così, una sembianza di realtà.

Vediamo quindi che ognuno ha bisogno dell’ altro per realizzare questo sistema fantastico. Per cui chi si rifiuta di accettare il falso io, di cui  la famiglia necessita, subisce la pena della condanna, poichè il rifiuto viene  considerato  un “tradimento”. A questo punto può essere sottoposto ad un’azione di invalidazione e mistificazione. Naturalmente, questo risultato viene  conseguito involontariamente, poichè coloro che ingannano sè stessi, sono costretti a ingannare anche gli altri. Il fine ultimo è il mantenimento dello status quo, ovvero l’equilibrio precario che la famiglia ha creato.

 Per cui viene squalificato chi, rifiutandosi di essere parte del gioco, può scoprire le carte.

 

 

   NORMALITÀ  E FOLLIA NELLA    FAMIGLIA

 paragrafo 2.6

 

Si è parlato, fino ad ora, della collusione fra membri di una famiglia, per il mantenimento del sistema fantastico. Ma forse  è necessario specificare  che cosa sia e come operi la famiglia. Certo noi tutti sappiamo come sia determinante  la famiglia nella formazione della personalità di un individuo, ma poco sappiamo di come la famiglia, come sistema interiorizzato, condizioni tutte le nostre relazioni, sia intrapersonali che interpersonali.

Per comprendere come una persona arrivi ad essere giudicata schizofrenica è necessario conoscere come la famiglia, come sistema interiorizzato, agisca sui suoi membri. Con questo non si vuole affermare che esistano certi tipi di famiglie che sono “produttrici” di schizofrenia.

Ogni famiglia vive all’ interno di un sistema fantastico: non è questo che la rende patogena; la fantasia, come abbiam visto, è uno dei modi di fare esperienza e quindi  tale modalità non è psicotica in sè stessa.

Laing non afferma che la famiglia produca la schizofrenia, ma che è possibile rendere intelligibile il comportamento psicotico, se lo osserviamo all’ interno del contesto familiare.

Il comportamento irrazionale, diventa ragionevole alla luce del  comportamento irrazionale che anche la famiglia assume, che a sua volta acquista intelligibilità se si conosce il contesto sociale in cui è inserita. Sia Laing che Esterson sono concordi nel considerare le suddette famiglie  non adattate alla società, c’è in queste una difficoltà di integrazione, e una resistenza al cambiamento e alle influenze esterne.

La famiglia dello “schizofrenico” si presenta come un  sistema chiuso, che tende all’omeostasi, attraverso meccanismi di retroazione negativa, che agiscono per minimizzare il cambiamento.

Laing fa sua l’idea, dei teorici della comunicazione, della famiglia come sistema, ma la arricchisce di implicazioni esistenziali. Ovvero egli  non si limita a prendere in considerazione solo gli scambi comunicazionali tra i  soggetti della relazione, escludendo la componente interiore, ma anzi ha una visione integrale della relazione.

Questo significa che la famiglia non va intesa semplicemente  come un gruppo che agisce secondo delle regole di comunicazione precise[39], essa è anche un sistema fantastico interiorizzato da ogni componente della famiglia.

Ognuno di noi interiorizza la famiglia come sistema, ovvero come insieme di rapporti, e insieme interiorizza le regole della società in cui vive. Si interiorizzano i genitori come vicini o distanti, in rapporto di amore, di conflitto, e ancora si interiorizzano i fratelli, e i loro rapporti con i genitori e con noi. Questa serie di interiorizzazioni condiziona i nostri rapporti con gli altri; ovvero non si fa che proiettare sugli altri questo insieme di relazioni. Accanto a queste proiezioni si aggiungono altre proiezioni che derivano dalle generazioni precedenti, e che diventano nostre tramite i genitori. Si viene a creare così un complesso sistema fantastico che  è la combinazione di almeno tre fattori:

 

1) “ Ciò che è stato proiettato dalla generazione precedente su la  generazione attuale;

2) ciò che è stato indotto in essa dalle generazioni precedenti;

3) la sua reazione a queste proiezioni e induzioni.”[40]

Tutte queste proiezioni e induzioni se non vengono risolte dalle varie generazioni, alla fine si intrecciano fino ad incarnarsi  nell’individuo e diventano ciò che Laing ha definito  nodo,  groviglio, ovvero  l’interiorizzazione di una situazione familiare che si perpetua da generazioni.

Questo nodo immobilizza l’individuo in quanto le sue relazioni con gli altri e con se stesso sono determinate da queste fantasie e lo portano ad assumere un comportamento che viene poi considerato schizofrenico.

Vediamo ad esempio il caso di un giovane di ventiquattro anni. “Egli esperiva sè stesso nel modo seguente:

Lato destro:mascchio.

Lato sinistro:femmina.

Lato sinistro più giovane del lato destro. I due lati non combaciavano.Entrambi i lati sono marci, ed egli sta  marcendo con essi, va incontro ad una morte precoce.Notizie ottenute dalla psicanalisi e da altre fonti:

La madre e il padre si erano separati,quando egli aveva    cinque anni. La madre diceva che assomigliava al padre. Il padre diceva che egli assomigliava alla madre. La madre diceva che il padre non era un vero uomo.Il padre diceva che la madre non era una vera donna. Per Paul avevano ragione  tutti e due. Di conseguenza da un lato (o,come diceva lui, dal lato destro) era un omosessuale con ruolo femminile e dall’altro (dal lato sinistro) era una lesbica con un ruolo maschile.

Il padre della madre (PM) era morto subito dopo la nascita di Paul.

La madre di Paul diceva che egli aveva preso dal proprio padre.

Ma il problema dell’alternativa reale-irreale si era ripercosso in questa famiglia per numerose generazioni.

La madre della madre(MM) non considerava il proprio marito (PM) come un vero uomo.

Anche il padre della madre (PM) non considerava la propria

moglie (MM) come una vera donna.

Attraverso la mediazione della madre, Paul pensava che il padre di lei (il nonno di Paul) si identificasse con l’identificazione della propria madre(la bisnonna di Paul) con il rapporto tra suo padre(il bis bis nonno di Paul)e sua moglie(bis bis nonna di Paul). Attraverso le mediazioni del padre,Paul pensava che il padre di suo padre si identificasse con l’identificazione della propria madre (la bis nonna di Paul) con la moglie ideale di suo padre(il bis-bis-nonno di Paul).Vediamo quindi che quando ci si sforza di entrare in un insieme familiare che si estende per tre generazioni, la situazione diventa di una complessità quasi inestricabile”.[41]

Naturalmente si è del tutto inconsapevoli sia “della famiglia”, come fantasma , sia delle proiezioni che facciamo sugli altri.

Questo perchè, nel processo di interiorizzazione, “la famiglia” subisce delle modulazioni e delle altre trasformazioni che rimangono come una serie di schemi di sequenze spazio-temporali da rappresentare e che  affiorano alla consapevolezza rivestiti di immagini diverse. A questo proposito risulta chiarificante “il caso di Jane, che all’età di diciassette anni presentava i sintomi di una schizofrenia simplex precoce. Attiva a scuola, normalmente circondata da amici, specialmente di tennis, da parecchi mesi era divenuta inattiva, indifferente e chiusa in sè stessa. Era caduta quasi totalmente nell’immobilità e nel silenzio. Tuttavia permetteva che la si vestisse..non prendeva nessuna iniziativa e lasciata a sè stessa non faceva nulla.Era assorta in una fantasticheria che prendeva la forma di una perpetua partita di tennis:doppi misti, la folla, il campo, i giocatori e il continuo avanti e indietro della palla  lei era  tutti questi elementi, specialmente la palla...La sua famiglia, riunita sotto un solo tetto, era composta del padre,della madre,del padre della madre e della madre del padre, schierati gli uni contro gli altri, il padre e la propria madre contro la madre alleata  al proprio padre: doppio misto. Nel loro gioco la palla era Jane. Per dare un esempio della precisione di questa metafora: le due parti interrompevano le comunicazioni reciproche dirette per settimane intere e continuavano a comunicare attraverso Jane.La madre si volgeva a Jane per comunicarle “Di’ a tuo padre di passarmi il sale”. Jane diceva a suo padre: “Mamma chiede che tu le passi il sale”, e così via, in continuazione per ogni comunicazione”.[42]

All’ interno della famiglia impariamo cosa si può fare in presenza degli altri e cosa non si può fare,  impariamo cosa è lecito, e cosa invece non lo è. La famiglia è la società in piccolo, così attraverso questa impariamo alcune regole ,a cui dobbiamo attenerci. L’interiorizzazione reciproca, da parte di ciascun componente, di questo insieme di regole, definisce l’unità su cui si fonda la famiglia. Questo “oggetto comune”  che cementa il gruppo, Laing lo definisce “nexus”. “Ogni componente del gruppo, quindi, incarna il nexus, e inoltre questo definisce il gruppo come un  NOI comune, in opposizione a LORO, gli estranei alla famiglia”[43]

Così il nexus della famiglia è un’entità che deve essere conservata in ciascuno e da ciascuno, diventa scopo prioritario della famiglia quello di difendere l’ unità del nexus. O meglio di mantenere l’omeostasi, nel senso di minimizzare i cambiamenti che poterebbero mettere in pericolo l’unita del sistema fantastico della famiglia.  L’omeostasi viene mantenuta attraverso dei meccanismi di retroazione negativa. Il meccanismo usato dal nexus è quello del terrore. Ovvero il nexus tende ad inventare dei pericoli esterni (mondo ostile) che diano una ragion d’essere al gruppo. Inoltre questa paura di un mondo ostile motiva l’atteggiamento iper-protettivo della figura materna nei confronti dei vari membri. Quindi ricapitolando questa iper-protezione, si basa su alcuni presupposti:

1) Un’immagine fantastica del mondo come estremamente pericoloso;

2) La creazione all’interno del nexus di un terrore di questo pericolo esterno.L’attività del nexus consiste nel creare terrore.[44]

 

Ogni membro della famiglia deve essere così impegnato in questa difesa del nexus, ogni defezione è meritevole di punizione e  significa la “morte”, ovvero l’esclusione.

Per evitare lo scioglimento del gruppo vengono messi in atto altri meccanismi di controllo:

·      Il reciproco interessamento: ovvero ognuno si interessa di ciò che l’altro fà, sente o pensa. Diventa un diritto interessarsi dell’altro, ma questo non porta ad una effettiva conoscenza della diversità dell’altro. Perchè  alla base c’è una impenetrabilità della  percezione, ovvero l’ incapacità  di percepire correttamente i punti di vista dell’ altro.

·      Ci si aspetta che ognuno  sia controllato dagli altri e a sua volta li  controlli, sfruttando l’influenza reciproca.

Il rispetto acritico delle regole fondamentali della famiglia. Questo significa che il  nexus si regge su alcune regole che devono essere rispettate, ma di cui è vietato essere consapevoli. Se qualche membro contravviene a questo principio viene mistificato. Esiste una resistenza familiare concertata per impedire che si scopra che cosa sta accadendo, e si mettono in moto complicati stratagemmi per tenere tutti all’oscuro.

Vediamo quindi che il nexus familiare è un’unità indifferenziata, a scapito dell’individuazione e autonomia dei suoi membri, come abbiamo detto nello scorso paragrafo vi è una collusione  fra i vari membri, che permette ad ognuno di realizzare la propria identità  fantasmatica e allo stesso tempo di mantenere il sistema fantastico del nexus.

Attraverso  la collusione e i reciprochi controlli si crea uno pseudo accordo, si realizza quello che viene definito come pseudomutualità (Wynne), che è il tentativo di mantenere un’apparenza di uniformità, dove ogni divergenza è considerata un pericolo per l’unità del gruppo; quest’apparenza, naturalmente,  è  un’ armonia presunta , che funge da  facciata e che dà l’impressione che esista un  accordo fra i vari   membri.

 

 

           LA MISTIFICAZIONE DELL’ESPERIENZA

  paragrafo 2.7

 

 

Laing  afferma che: “l’io può essere collocato in una posizione falsa, al limite insostenibile, dall’azione degli altri”.[45]

Abbiamo già avuto modo di spiegare come una persona possa essere messa in una posizione falsa attraverso un rapporto di collusione con l’altro e come, tale posizione falsa, rispecchi ciò che l’io vuole essere per gli altri, cioè la sua personalità fantastica, costruita, nei casi di persone schizoidi, come difesa dall’angoscia che, su di loro, la realtà  provoca.

Adesso prendiamo in considerazione come una persona possa essere messa dagli altri in una POSIZIONE INSOSTENIBILE, a causa del suo rifiuto di colludere e di vivere nell’inautenticità. Una persona designa la propria soggettività e al contempo la sua posizione nel mondo attraverso le attribuzioni che gli altri, fin dall’infanzia, gli fanno. Tuttavia le attribuzioni compiute da P riguardo ad A possono avere un carattere concordante o discordante con le attribuzioni di A riguardo a sè stesso. Va da sè che le attribuzioni possono essere accettate o rifiutate, ma questo non può succedere durante l’infanzia, quando l’individuo occupa una posizione  di inferiorità  rispetto agli adulti.

Di conseguenza questi, avranno un ruolo decisivo nella formazione del senso che A  giungerà ad avere delle proprie capacità di agire, delle proprie percezioni, intenzioni, sentimenti.

Ecco alcuni esempi di attribuzioni mistificanti:

“Tu dici questo. Ma io so che non vuoi dire quello che dici”.

“Tu puoi pensare di avere questi sentimenti, ma io sò che non è vero”.Il padre dice al figlio,che ha subito prepotenze a scuola e implora che gli sia consentito di abbandonarla: “Io so che non è vero che tu voglia lasciare la scuola, perchè nessuno dei miei figli è un codardo[46]

 

Si vede chiaramente che queste attribuzioni non rispecchiano la realtà della persona, ma più che altro la percezione fantastica che il genitore ha del figlio, quindi sono delle attribuzioni false che diventano delle ingiunzioni:  sii quello che ti dico di essere.

Questa modalita di relazione, Laing l’ha definita mistificazione.

La funzione principale della mistificazione è il mantenimento dello status quo. Infatti questo tipo di comportamento entra in azione o si intensifica quando il nesso familiare si sente minacciato da uno o più membri dello stesso, a causa del loro modo di sentire e agire, che non conferma il sistema fantastico della famiglia. La mistificazione entra in atto per annebbiare i conflitti che non  può evitare, ma li maschera, annebbiando così i motivi del contendere.

Infatti mistificare, sia inteso nell’atto di mistificare, che nel senso passivo, ovvero di chi è mistificato, significa:  “confondere, mascherare quel che accade, si tratti di un’esperienza, di un’azione o di qualunque altra questione[47]

Questo comporta l’attribuzione di percezioni, esperienze false, all’altro, negando e dando un carattere di fantasia alle percezioni vere e reali che, invece, l’individuo ha .

Quindi la mistificazione è un modo d’agire sull’altro che giova alla difesa e sicurezza della persona stessa; infatti se una persona non vuole ricordare qualche cosa è necessario che reprima il ricordo, ma bisogna che anche l’altro non glielo ricordi, così oltre a negare lui stesso una cosa  per proprio conto, deve indurre anche l’altro a negarla.

La mistificazione raggiunge il grado estremo quando una persona cerca di portare confusione, non in maniera consapevole, in tutta l’esperienza (memoria, percezioni, sogni, fantasie, immaginazioni ), nei processi e nelle azioni di un’altra persona, così che tutte le sue esperienze e azioni sono determinate senza tener conto del suo punto di vista. Si capisce che, se questa  prassi è una modalità d’esperienza che interessa l’individuo costantemente, va ad intaccare lo sviluppo dell’identità, perchè le attribuzioni che vengono fatte dai familiari sono discordanti con le attribuzioni dell’individuo riguardo a sè stesso. Tuttavia la mistificazione può non essere avvertita come tale,  e può portare alla follia poichè ogni pecezione reale di sè stesso e dell’ altro viene negata. La persona mistificata, infatti, non comprende ciò che gli succede intorno e pensa che questa confusione sia dovuta a un processo, quello della follia, che anche gli altri membri della famiglia avvallano. Infatti Laing  ha affermato che questi ultimi mostrano  una rigidità nell’interpretare le situazioni, che vengono valutate secondo un asse di orientamento rigido, ai  poli del quale  c’è la pazzia o la cattiveria dell’ altro.  Quindi anche quelli che sono gli “operatori” della mistificazione,  percepiscono ciò che accade come un processo, anzichè come una prassi di cui sono partecipi.

La testimonianza di questa  rigidità nell’ interpretare i conflitti ci viene data da un caso  riportato da Laing:

 La madre di June ha descritto il mutamento avvenuto nel carattere della ragazza (15 anni) sei mesi prima di quelli che a noi erano parsi i primi segni della psicosi. Il cambiamento si era verificato nei sei mesi seguiti a un periodo di vacanza in un campeggio dove la ragazza era stata per la prima volta lontana dai suoi.Secondo la madre June  era:

 

Prima                                                                   Dopo                                                                                                     

                                                                                                                                                                                           La madre di

rumorosa                                                              Quieta

 

veniva dappertutto con me                            vuole stare sola

 

era felice e piena di vita                                ha l’ aria infelice;è meno

                                                                     vivace

 

le piaceva nuotare e andare in bicicletta       pratica meno questi sport

                                                                     e legge di più 

era piena di buon senso                                ha “soltanto ragazzi per 

                                                                                     la testa”

 

 

giocava a domino, a scacchi e

a carte ogni sera coi genitori

con il nonno

                                                                      non ha più voglia di                      

                                                                    giocare; preferisce stare

                                                                       in camera e leggere

 

 

obbediente                                                disobbediente e petulante

mai avrebbe pensato a fumare                   fuma ,senza chiedere il

                                                                           permesso

credeva in Dio.                                          non crede più in Dio.

 

Nei sei mesi intercorsi tra le prime avvisaglie di un mutamento e l’inizio di quello che abbiamo riconosciuto essere un crollo psicotico, la madre di June era andata da due dottori a lamentarsi dei cambiamenti che avvenivano nella figlia e che lei considerava manifestazioni di una malattia o forse di malvagità.”non è più June.Non è più la mia bambina.” Nessun dottore in realtà aveva visto in June nè malvagità nè malattia.La madre attribuiva quei mutamenti di June, che per noi erano l’espressione normale, culturalmente coerente, della maturazione e dela crescita e del raggiungimento di una maggiore autonomi,  alla presenza di ben più gravi “malattie” o alla “malvagità”. La ragazza era stata completamente mistificata, perchè, sebbene stesse emancipandosi, aveva ancora molta fiducia in sua madre. Poichè  la mamma continuava a dirle che il suo sviluppo autonomo e la sua maturazione sessuale erano manifestazioni di pazzia o di malvagità, cominciò a sentirsi malata e a sentirsi cattiva.Questo può essere visto come una prassi da parte sua per tentare di risolvere le contraddizioni tra i processi della sua maturazione e lo sbarramento di valutazioni negative opposto a  tali processi dalla madre [...]

In ultima analisi, i soli assi di orientamento della madre, i funzione dei quali essa valutava i mutamenti di June, erano quelli di bene-male,  savio-folle.

Man mano che June si riprendeva dal crollo psicotico, la madre si faceva sempre più preoccupata perchè la ragazza ai suoi occhi peggiorava, dal momento che in lei cresceva la malvagità, mentre noi  constatavamo invece maggiore forza e maggiore autonomia dell’io”[48].

Vediamo da questo caso come June veniva messa, dalla madre, in una posizione insostenibile, dove se cercava di essere   sè stessa  veniva considerata  pazza o cattiva, mentre se non era sè stessa e fingeva di essere una “bambina buona”,  era colpevole di tradimento verso sè stessa.

June si trovava così di fronte a un dilemma esistenziale: essere sè stessa e quindi tradire le aspettative della  madre , o essere falsa e tradire perciò sè stessa. Di fronte all’impossibilità di risolvere il conflitto, perchè ulteriormente confusa sulla natura del proprio comportamento (come abbiamo visto essere sè stessi significa essere cattivi o malati),  June “sceglie” di essere folle.

La psicosi diventa l’ unico modo di uscire dalla confusione profonda in cui l’ individuo viene gettato. La validità di queste affermazioni viene confermata da altre ricerche sulla schizofrenia effettuate da altri studiosi.

Lo stesso Laing cita questi studi, come quelli di Bateson sul double -bind o doppio legame, e l’articolo di Searles “The Effort to Drive the Other Person Crazy” (1959). Quest’ultimo descrive sei modi per far impazzire una persona che tendono “a minare alla base la fiducia di un’altra persona nelle proprie reazioni emotive e nella propria percezione della realtà” che Laing ha sintetizzato così:

1)  p  insiste ripetutamente su certi settori della personalità di A , di quali questi è scarsamente conscio, settori che non sono in armonia con il tipo di persona che A crede di essere.

2) p stimola sessualmente A in una situazione nella quale sarebbe disastroso per A cercare una gratificazione sessuale.

3) p espone A a esperienze contemporanee di stimolo e frustrazione, o a esperienze di stimolo e frustrazioni rapidamente alternantisi.

4)  p si pone in relazione con A a livelli simultaneamente non correlati (per esempio, sessualmente e intellettualmente)

5) p scivola da una lunghezza d’onda emozionale a un’ altra sempre   nell’ambito dello stesso argomento (trattando prima <<sul serio>> e poi <<scherzosamente>> lo stesso soggetto)

6) p scivola da un argomento a un’altro conservando sempre la stessa  lunghezza d’onda emozionale (per esempio una questione di vita e di  morte è considerata alla stessa stregua dell’ argomento più banale)”[49]

 

Secondo Searles qualsiasi azione interpersonale, che attiva aree della personalità dell’altro che sono in conflitto  l’una con l ’altra, tende a rendere l’altro folle. Per  Laing non è esatto sostenere che qualsiasi azione interpersonale che susciti conflitti emozionali può rendere l’altro folle, semmai può  generare confusione, perchè rende difficile a uno dei soggetti sapere  “chi egli sia”, “chi” sia l’ altro, e quale la situazione “nella” quale si trovano.

Però se il conflitto mette in risalto un problema vero e le scelte che deve affrontare, allora anche se la persona sarà soggetta ad angoscia e sofferenza non correrà il rischio di “crollare”, perchè in quel caso il conflitto avrà un carattere integrativo. Se invece il conflitto rileva un problema non autentico e la persona viene messa in una situazione per cui  gli è impossibile effettuare delle scelte vere, allora la persona corre il rischio di diventare psicotica. Ovvero per cercare di uscire da una posizione insostenibile nell’ambito di una situazione mistificante cercherà di aggravare la mistificazione.

In definitiva per Laing “il potenziale schizogeno di queste manovre risiede tanto nell’attivare varie zone della personalità in opposizione una all’altra, cioè nell’attivazione di un conflitto, quanto nel generare confusione o dubbi,  frequentemente non riconosciuti come tali”.[50]

In questo senso i sei modi descritti da Searles sono mistificanti. Questo concetto di mistificazione si sovrappone a quello del doppio legame elaborato da Bateson e dagli studiosi di Palo Alto, che sono partiti dall’ipotesi di Jay Haley, che ha riconosciuto che i sintomi della schizofrenia possono indicare un’incapacità di discriminare i tipi logici, per arrivare ad elaborare il modello del doppio legame.

“Gli ingredienti necessari per una situazione di doppio legame sono:

 

1-Due o più persone.Una di queste sarà indicata, per chiarezza e semplicità di definizione, come la “vittima”. Non supporremo che il doppio vincolo sia senz’altro inflitto dalla sola madre, ma che posa praticarlo la madre o da sola o in qualche modo insieme col padre o coi fratelli.

2-Ripetizione dell’esperienza.Noi supponiamo che il doppio vincolo sia un tema ricorrente nell’esperienza della vittima; la nostra ipotesi non contempla un’esperienza traumatica isolata, ma piùttosto una ripetizione dell’esperienza, talchè la struttura di doppio vincolo diviene oggetto di una attesa abituale

3 -Un’ ingiunzione primaria negativa. Questa può assumere una delle forme seguenti

a)”non fare così e così, altrimenti ti punirò”,  oppure

b) “Se non farai così e così ti punirò”. Scegliamo qui un contesto di apprendimento basato sull’evitare una punizione  piùttosto che un contesto di apprendimento imperniato sulla ricerca di un premio. Forse non vi è alcun motivo formale per questa scelta. Supponiamo che la punizione possa consistere nella negazione dell’affetto, o in una manifestazione di odio o di collera, oppure (ed è una forma più tremenda) in quella sorta di abbandono che deriva dalla manifestazione di assoluta impotenza da parte del genitore.

4-Un ingiunzione secondaria in conflitto con la prima a un livello più astratto ,e, come la prima, sostenuta da punizioni o da segnali che minacciano la sopravvivenza.

 

Questa ingiunzione secondaria è più difficile da descriversi che la primaria, per due ragioni. In primo luogo l’ingiunzione secondaria è di solito comunicata al bambino con mezzi non verbali: l’atteggiamento, il gesto, il tono della voce, un’azione significativa,le implicazioni celate in un commento verbale; tutto ciò può essere usato per trasmettere questo massaggio più astratto. In secondo luogo, l’ingiunzione secondaria può riferirsi a qualunque elemento del divieto primario, e quindi può assumere  una grande varietà di espressioni verbali; ad esempio: “Non considerare ciò come una punizione”; “Non considerarmi come un castigatore”; “Non sottostare ai miei divieti”; “Non pensare a ciò che non devi fare”; ”Non mettere in dubbio il mio amore, del quale il divieto primario è (o non è) un esempio. Quando poi il doppio vincolo è imposto non da un individuo, ma da due, sono possibili altri esempi: così  un genitore può negare a un livello più astratto l’ingiunzione dell’altro.

5- Un’ ingiunzione negativa terziaria che impedisca alla vittima di sfuggire  al conflitto.Dal punto di vista formale forse non è necessario elencare questa ingiunzione separatamente, poichè il rinforzo agli altri due livelli     implica una minaccia alla sopravvivenza, e, se i doppi vincoli  sono  imposti durante l’infanzia, è chiaro che non c’è possibilità di  scampo.Sembra tuttavia che in certi casi la fuga sia resa impossibile da  certi espedienti che non sono puramente negativi ,per esempio volubili  promesse d’amore e cose del genere.

6- Infine, quando la vittima abbia ormai appreso a percepire il suo universo  sotto l’angolazione del doppio vincolo, non è più necessario che intervengano tutti gli ingredienti. Quasi ogni porzione di una sequenza di doppio vincolo può essere sufficiente a scatenare panico o rabbia.

La struttura delle ingiunzioni contrastanti può essere creata persino da voci allucinatorie.

 

Secondo Bateson “ l’individuo che si trova in una situazione di doppio vincolo la sua  capacità di discriminazione  fra tipi logici subisce un collasso”[51], volendo dire con questo che la persona in questione non è più in grado di stabilire quando l’altro parli letteralmente o metaforicamente, ovvero non è più in grado di capire il significato dei messaggi. Questa conclusione si  differenza  da quella di Laing ,dove invece, un’individuo sottoposto a messaggi contrastanti, subisce si un “collasso”,  ma non semplicemente della capacità di discriminare , ma del suo io,della sua identità. Chi si trova in una situazione del genere non ha nessuna possibilità di uscirne, nemmeno  se assume un falso io,  poichè anche questa via gli è preclusa. Infatti nella situazione di doppio legame vengono fatte delle ingiunzioni di terzo livello che non permettono di adottare nessun comportamento, ad esempio:

“Un giovane che si era abbastanza rimesso da una crisi mentale ricevette in ospedale una visita di sua madre.Contento di vederla, le mise d’impulso il braccio sulle spalle,e la madre gli domandò:<<Non mi vuoi più bene?>>Il ragazzo arrossì, e la madre disse ancora:<<Caro, non devi provare così facilmente imbarazzo e paura dei tuoi sentimenti>>”.[52]

Il ragazzo si viene a  trovare così in una situazione insostenibile perchè la madre manda insieme messaggi discordanti:<<Non abbracciarmi, o ti punisco>>e <<Se non lo fai ,ti punirò>>. La madre assume questo comportamento perchè da una parte il rapporto affettivo con il figlio le crea ansia e dall’altra perchè non può riconoscere, a sè stessa e al figlio, questo sentimento che non concorda con l’ idea di madre buona. Quindi di fronte alla possibilità  del figlio di comprendere lo stato emotivo della madre, lei risponde attribuendogli intenzioni che non ha, per confonderlo  e per risolvere la situazione, nella quale il ragazzo non è in grado di capire come deve comportarsi, se essere affettuoso o meno, perchè entrambi i comportamenti sono sbagliati.

Laing afferma che il doppio legame è necessariamente mistificante, ma la mistificazione non è necessariamente un doppio legame. Infatti la persona mistificata si trova davanti a una soluzione possibile: assumere il comportamento falso che gli è richiesto,anche se questo significa tradire sè stesso; nel doppio legame, invece,  non ci sono vie percorribili.

La mistificazione però non deve essere intesa come una patologia della famiglia e come fanno i teorici della comunicazione spostare il problema dal singolo al gruppo.

 La mistificazione è una prassi  e non un processo patologico.

I processi che avvengono  in un gruppo sono il prodotto della prassi dei singoli membri. L’analisi condotta da Laing sulle dinamiche familiari non è volta a definire un’eziologia della schizofrenia,  ma a rendere quest’ultima  intelligibile.  Riportiamo qui dei casi di schizofrenia al fine di rendere più chiaro ciò che fin qui è stato detto da Laing  il quale cerca, appunto, di definire la prassi della famiglia, alla luce della quale possiamo comprendere il comportamento schizofrenico.

Descrizione dei casi:

Gli esempi che seguono sono tratti dalle famiglie di due“schizofreniche”: Maya e Ruby

Maya

Maya (28 anni) pensa di aver cominciato a immaginare “cose sessuali” all’età di quattordici anni quando,dopo una separazione di sei anni durante la seconda guerra mondiale, era tornata a  vivere coi genitori..Se ne stava sdraiata sul letto in camera sua a pensare se i suoi genitori avevano rapporti sessuali.Si eccitava sessualmente e cominciò nello stesso periodo a masturbarsi.Era tuttavia molto timida e stava lontana dai ragazzi. Era sempre più irritata dalla presenza fisica del padre. Le dava  fastidio che si facesse la barba  nella stessa camera in cui lei faceva colazione al mattino.Aveva paura che i genitori capissero che aveva pensieri sessuali su di loro.

Provò a parlarne, ma le risposero che non aveva certamente simili pensieri.Disse che si masturbava e gli risposero che non era vero!.

La madre do Maya non diceva :”Fai molto male a masturbarti”,o “Stento a credere che tu faccia una cosa simile”. Neppure diceva a Maya di non masturbarsi.Le diceva semplicemente che non si masturbava.

La madre tentò ripetutamente di indurre Maya a dimenticare vari episodi che lei (la madre) non voleva ricordare.Però non diceva “Non voglio che tu  parli di questo, e tanto meno che tu te ne ricordi”. Diceva invece:” Vorrei che tu ricordando aiutassi il dottore, ma naturalmente siccome sei malata non ci riesci”.

La signora Abbott interrogò più volte la figlia sulla sua memoria in generale per portarla (immaginiamo questo ponendoci dal punto di vista della madre) a credere di essere malata, dimostrandole:!) che era soggetta ad amnesie,oppure 2) che aveva visto male o capito male qualcosa,o3) che pensava di ricordare perchè di una certa cosa aveva sentito parlare dalla madre o dal padre in epoche successive.

Questi ricordi “falsi” o immaginari davano molta preoccupazione alla signora Abbott. Erano anche un punto di gran confusione per Maya.

La signora Abbott finalmente ci disse(non in presenza di Maya) che sperava che Maya non si sarebbe ricordata della sua “malattia”, perchè lei (la madre) pensava che ne sarebbe stata avvilitissima (la figlia).Difatti lei (la madre) ne era tanto convinta che pensava sarebbe stato meglio per la figlia non ricordare , anche se questo per la figlia poteva voler dire passare tutta la vita in un ospedale!

Così i due genitori non solo contraddicevano i ricordi, i sentimenti, le percezioni, i moventi e le intenzioni di Maya, ma contraddicevano stranamente anche se stessi.

Inoltre, mentre parlavano e agivano come se avessero saputo meglio di Maya quel che ricordava, quel che faceva,quel che immaginava, quel che voleva, quel che sentiva,se si divertiva o era stanca, questa “supremazia” era mantenuta spesso con forme ancor più mistificanti

.Per esempio una volta che Maya aveva detto che desiderava lasciare l’ospedale e che le pareva che la madre tendesse a lasciarvela anche se ormai il ricovero non era più necessario, la madre disse: “penso che Maya sia..Penso che Maya sappia che tutto quel che vuole davvero perchè realmente le giova, io lo ..non lo ...vero?(nessuna risposta).

Non ci sono riserve di nessun tipo...voglio dire che se ci fossero cambiamenti da fare li farei ben volentieri ...a meno che non  fossero assolutamente impossibili.” Nulla poteva essere più lontano da quello che Maya in quel momento riconosceva. Ma si nota la mistificazione nelle parole della madre. Quel che Maya poteva volere è decisamente qualificato da quel “davvero” e da quel “realmente le giova”. La signora Abbott, si capisce,era arbitro 1) di quel che Maya davvero voleva, contrariamente a quello che poteva sembrare a lei di volere, 2) di quel che le giovava,3)di quello che era possibile.

Maya talvolta reagiva a queste mistificazioni avvertendole con lucidità. Ma questo le riusciva assai più difficile che a noi . La difficoltà per lei consisteva nel fatto che non sapeva dire ella stessa quando poteva fidarsi della propria memoria, di sua madre e di suo padre, delle proprie prospettive e metaprospettive, e delle affermazioni dei genitori sulle loro prospettive e metaprospettive.L’analisi attenta della famiglia rivelò infatti che le affermazioni dei genitori su di lei, su di loro stessi, su quel che sentivano essere la sua sensazione dei loro sentimenti ecc, e anche sui fatti avvenuti ,non erano attendibili

 Maya lo sospettava, ma i suoi genitori le avevano detto che i suoi sospetti erano la sua malattia.Pertanto spesso metteva in dubbio la validità dei propri sospetti;spesso li contraddiceva in forma delirante o inventava qualche storia alla quale temporaneamente si attaccava.Per esempio una volta insistette nel dire che era stata ricoverata in ospedale all’età di otto anni, quando per la prima volta l’ avevano separata dalla famiglia.

La ragazza era figlia unica ,nata quando la madre aveva ventiquattro anni e il padre trenta.

I genitori concordavano nel dire che era stata la compagna preferita di suo padre. Era capace di svegliarlo alle quattro e  mezzo del mattino, fra i tre e i sei anni, e se ne andavano insieme a nuotare. Teneva sempre  suo padre per mano . A tavola sedevano sempre vicino, lui le faceva dire le preghiere ogni sera quand’era a letto. Finchè non fu sfollata a otto anni. A parte qualche breve visita, la ragazza visse lontana dai genitori fino all’età di quattordici anni.

La signora Abbott era ben lungi dal manifestare qualcosa di così semplice come la gelosia quando parlava dell’infantile intimità di Maya con so marito.Sembrava essersi tanto identificata con Maya da rivivere attraverso di lei i propri rapporti con suo padre,che erano stati,a quanto diceva, un susseguirsi di rapidi e imprevedibili passaggi dall’accettazione al rifiuto e viceversa.

Quando Maya a quattordici anni tornò per restare a casa ,era molto cambiata.Studiava. Non aveva più voglia di andare a nuotare o a far lunche passeggiate con suo padre.Neppure voleva pregare con lui. La Bibbia la leggeva da sola, per conto suo. Le dava fastidio che il padre manifestasse il suo affetto sedendole vicino a tavola. Voleva sedersi più lontano da lui

. Non aveva voglia di andare nemmeno al cinematografo con la madre. Voleva trafficare in casa e far le cose per conto suo. Una  volta (testimonianza della madre) aveva lavato uno specchio senza dire alla mamma che aveva intenzione di farlo. I genitori si lamentarono con noi anche del suo rifiuto di capire il padre e la madre e di parlare con loro delle cose sue.

La risposta dei genitori a questa nuova situazione , che naturalmente li sconvolse,è curiosa. Entrambi avevano l’impressione che Maya avesse delle capacità mentali eccezzionali,tanto che sia l’uno e che  l’altro si convinsero che la ragazza leggeva i suoi pensieri. Il padre cercò di farselo confermare da una medium.E iniziarono a fare diversi esperimenti.

Padre: Se io ero al piano di sotto e veniva qualcuno e chiedeva come stava Maya ,e poi salivo subito di sopra, Maya mi chiedeva”Che cosa hai detto di me? Io rispondevo “niente” e lei insisteva “ma si ti ho sentito “ La cosa era tanto strana che ho voluto far delle prove,capisce?E quando ho avuto conferma di quel che pensavo, mi sono detto:”Bè ,ne parlerò con mia moglie in segreto .e così gliene ho parlato e lei mi ha risposto:”ma non fare lo stupido ,non è possibile”. Allora le ho detto:”Va bene, quando usciamo con Maya in automobile sta sera io mi siederò vicino a lei e mi concentrerò su di lei. Dirò qualcosa e tu sta’ a vedere che cosa succede.”Mentre mi sedevo lei ha detto: Ti dispiace sederti dall’altra parte dell’auto? Non riesco a decifrare quel che pensa papà.” Ed era vero  .....

Queste mistificazioni sono continuate da prima della” malattia”iniziale fino a oggi e sono venute alla luce solo dopo un anno di studio da parte nostra.

L’irritazione di Maya ,i suoi scatti ,la sua confusione, e talvolta  un’accusa al padre e la madre che la volevano “influenzare” in qualche modo, naturalmente erano state “messe in ridicolo” in sua presenza dai genitori per molti anni, ma durante il periodo d’osservazione il padre raccontò tutto a Maya.

Figlia Bè, non avresti dovuto farlo, non è naturale.

Padre: Io non lo faccio..non l’ho fatto..pensavo.Bè è una cosa sbagliata non la faccio più.

Figlia: Voglio dire, il mio modo di reagire basterebbe a dimostrare che è sbagliato.

Padre: C’è stato un’ altro esempio poche  settimane fa, le piaceva una gonna di sua madre e la voleva.

Figlia: Ma no. Me la sono provata e mi andava bene.

Padre Dunque, dovevano andare da una sarta.. la sarta era raccomandata da qualcuno, mia moglie vi andò e chiese:”quanto costa questa?” La sarta rispose :” quattro scellini “ Mia moglie disse “ Oh no ,le è costata sicuramente di più, di così”. E allora l’altra: “Sa , suo marito mi ha fatto un favore qualche anno fa e io non mi sono mai sdebitata”. Non so che favore fosse. Mia moglie le ha dato di più ,si capisce . Così quando Maya è venuta a casa ha detto:” L’hai presa la gonna ,mamma?” E lei “Si, l’ho presa e l’ho anche pagata un mucchio di soldi” .Maya le ha risposto: “Eh,non me la fai mica, m’hanno detto che costava quattro scellini”.

Figlia: No, sette, credevo.

Padre:No, tu hai detto quattro esattamente e mia moglie mi ha guardato e io l’ho guardata.. Se lei riesce a spiegarsi questa cosa,io non ci riesco.

Un’ altra delle idee di riferimento di Maya era che tra i suoi genitori stesse accadendo qualcosa che lei non riusciva  a capire e che pensava si riferisse a lei, ma non poteva esserne certa.

In effetti qualcosa accadeva. Quando la madre ,e il padre e maya vennero insieme al primo colloquio, il padre e la madre si scambiavano continuamente sorrisetti d’intesa, strizzatine d’occhi. cenni e gesti così “evidenti” all’osservatore che dopo circa venti minuti della prima seduta collettiva egli potè commentarli.

Dal punto di vista di Maya, la mistificazione stava nel fatto che sua madre e suo padre non riconobbero ciò che il ricercatore faceva loro osservare,nè l’uno nè l’altro avevano mai riconosciuto la validità di simili osservazioni da parte di Maya. Il risultato,così ci parve,era stato che la ragazza non sapeva mai quando percepiva qualcosa che stava veramente accadendo e quando invece se lo immaginava.Gli scambi verbali manifesti,ma al tempo stesso segreti, tra padre e madre erano di fatto assolutamente publici e del tutto evidenti.I suoi dubbi “paranoidi” su quel che avveniva erano dunque, almeno in parte, espressione della sua mancanza di fiducia nella validità dei propri sospetti.Non poteva “veramente” credere che quello che le sembrava di vedere stesse accadendo davvero. Un’altra conseguenza per Maya era che non riusciva a distinguere tra quello che (per i ricercatori) erano azioni non intese a comunicare alcunchè (come togliersi gli occhiali, sbattere gli occhi, fregarsi il naso, aggrottare la fronte e simili) e quelle che davvero erano segnalazioni tra il padre e la madre.

La cosa straordinaria era che alcuni di quei cenni erano in parte “prove” per vedere se Maya li raccoglieva. Una parte essenziale del gioco dei genitori consisteva  tuttavia, quando si facevano osservazioni su queste cose, in risposte di questo genere:” Come, quale ammiccare?.”

 

Il caso di Ruby

 

Quando Ruby (18anni) fu ricoverata in ospedale, era completamente muta, in preda a un inaccessibile stupore catatonico.Da principio rifiutava di mangiare, ma a poco a poco fu amorevolmente persuasa a farlo. Dopo pochi giorni cominciò a parlare.

Divagava,spesso si contraddiceva.In un dato momento ,per esempio, diceva che sua madre le voleva bene,e un momento dopo diceva che la madre cercava di avvelenarla.

In termini clinico-psichiatrici, c’era un incongruenza tra pensieri e emozioni; per esempio rideva quando parlava della sua recente gravidanza e dell’aborto. Si lamentava di sentire dei colpi dentro la testa e delle voci fuori dalla testa che la chiamavano “sgualdrina”, “sporcacciona”, “prostituta”. Pensava che la gente parlasse male di lei. Affermava di essere la Vergine Maria, o la moglie di Elvis Presley.Pensava che la famiglia la odiasse e volesse liberarsi di lei; temeva che la abbandonassero in ospedale. La gente ce l’aveva con lei. Aveva paura della folla e della gente. Quando era in mezzo alla folla ,aveva l’impressione che la terra le sarebbe aperta sotto i piedi Di notte le “giacevano” sopra delle persone e avevano rapporti sessuali con lei; dopo che era stata ricoverata in clinica aveva partorito un topo; credeva di vedersi alla televisione

Chiaramente la struttura del suo senso della realtà, di quel che è e di quel che non è,era crollato.

La questione che sorge a questo punto è :quel che comunemente si chiama “il senso della realtà” è stato distrutto in lei da altri?

Ciò che la ragazza dice o fa può essere considerato l’evidente manifestazione di un processo patologico?

Ruby è confusa soprattutto in quel che si riferisce alla propria identità- passa dalla Vergine Maria alla moglie di Elvis Presley- e non sa bene se i familiari e la gente in generale le voglia bene e in che senso, se l’amino per quello che è o se la desiderino sessualmente pur disprezzandola.

Fino a che punto sono spiegabili socialmente queste zone di  confusione?

Per evitare al lettore la nostra confusione iniziale, per non dire quella della ragazza, riporteremo qui uno specchietto del nesso familiare.

 

Stato biologico                                              Nomi insegnati a Ruby

 

Padre                                                             zio

madre                                                            mammina

zia (sorella della madre)                                 mamma

zio(marito della sorella della madre)               papà, poi zio

cugino                                                            fratello

                                                                                                                                                                                          

Ruby era semplicemente una figlia illegittima , allevata dalla madre, dalla sorella della madre dal marito di questa.

Ci riferiremo ai suoi parenti biologici senza porne i nomi tra virgolette; metteremo tra virgolette gli appellativi che la ragazza rivolgeva loro e di cui tutti si servivano.Ruby e sua madre vivevano con una sorella della madre,sposata,col marito di lei ( “papà”e “zio”)e con il figlio (suo cugino). Il padre, che aveva moglie e un’altra famiglia, veniva qualche volta a trovarli. Lei lo chiamava “zio”.

I familiari erano in totale disaccordo ,quando vennero la prima volta da noi, su un punto : Ruby era cresciuta sapendo “chi era “ o senza saperlo?

Sua madre  ( “mammina”) e la zia (“Mamma”) insistevano nel dire che non ne aveva avuto fino a poco prima la più pallida idea, mentre il cugino (“fratello”) sosteneva che probabilmente lo sapeva da anni. Essi ( madre e zii) affermavano pure che nei dintorni nessuno era al corrente del fatto; però finirono per ammettere che naturalmente tutti sapevano che era una figlia illegittima, ma che certo nessuno gliene faceva una colpa. Ci si attendeva da lei, e si mettevano in opera,le più complicate scissioni e al tempo stesso le più difficili negazioni nel campo della percezione del sè e degli altri

Era rimasta incinta sei mesi prima del ricovero (e aveva abortito al quarto mese).Come tante delle nostre famiglie ,questa era ossessionata dal terrore dello scandalo e dei pettegolezzi, dalla paura di quel che la gente poteva dire o pensare.Quando Ruby fu incinta,tutto si aggravò.Ruby pensava che la gente parlasse di lei (cosa che infatti faceva) e che i suoi familiari ne erano al corrente, ma quando lo disse, essi cercavano di rassicurarla dicendole di non fare la sciocca ,di non lavorare di fantasia, che nessuno certo parlava di lei.

E questa non era che una delle mistificazioni cui era sottoposta.Eccone alcune altre: 1) Nel suo stato svagato “paranoide” ,aveva affermato che la madre ,gli zii e il cugino non potevano soffrirla,che la tormentavano, la deridevano, la disprezzavano. Appena si sentì “bene” ,provò un gran rimorso d’aver pensato cose tanto terribili e disse che la famiglia era stata molto buona con lei, e che aveva una famiglia incantevole.Di fatto i familiari le davano ogni motivo di sentirsi colpevole quando li vedeva a quel modo, poichè esprimevano costernazione e orrore all’idea che lei potesse pensare che non l’amavano.Però a noi avevano detto che era una sgualdrina e che valeva poco più d’una prostituta e ce l’avevano detto con la massima violenza.

2) La ragazza ,pur provandone un senso di colpa,sospettava che non desiderassero il suo rientro  dall’ospedale, e li accusava, in sfoghi improvvisi,di volersi liberare di lei. Loro lei chiedevano come potesse pensare simili cose, ma in realtà non avevano nessuna voglia di riaverla.

Cercavano di fare in modo che si sentisse pazza o cattiva quando percepiva il loro vero modo di sentire.

3)Quando rimase incinta furono adottati atteggiamenti straordinariamente confusi.Appena seppero la cosa da Ruby stessa ,la “mamma” e “mammina” la sdraiarono sul sofà del salotto, e mentre cercavano di farle lavande di acqua calda e sapone nell’utero, le ripetevano piangendo,rimproverandola,con un tono pietoso e vendicativo a un tempo, che era una stupida, che era una sgualdrina che si era messa in un brutto guaio(proprio come “mammina”), che il ragazzo era un bastardo (“proprio come suo padre”), che era una sciagurata, che si era ripetuta la stessa storia, che avrebbero dovuto prevederlo..Per la prima volta le parlarono chiaramente delle sue origini.

4)Dopo di questo l’impressione di Ruby che la gente parlasse di lei cominciò a prendere piede sul serio. Come abbiamo fatto osservare, le si diceva che queste erano sciocchezze,anche a noi i familiari avevano detto che tutti erano tanto buoni con lei data la situazione

.Il cugino era stato il più sincero: “Si ,quasi tutti sono buoni con lei, come se fosse una persona di colore”.

5) La famiglia era oppressa dalla vergogna per lo scandalo. E mentre continuavano a ripeterlo a Ruby, contemporaneamente le dicevano che pensare che la gente parlasse di lei era frutto della sua fantasia.

6) I familiari l’accusavano di essere viziata, ma quando lei aveva tentato di

contraddirli,le avevano detto :1) che era un’ingrata;2)che aveva certamente bisogno di loro perchè era ancora una bambina. (Come se l’esser viziata fosse stato qualcosa che aveva fatto lei).

Dello zio la madre e sua sorella avevano detto che era una una gran brava persona, che voleva bene a Ruby e che la trattava come una figlia.Assicurarono che era disposto a fare qualunque cosa per contribuire a risolvere il problema della ragazza.

Malgrado questo non fu mai possibile farlo venire a un colloquio. Furono fissati sei appuntamenti apposta per lui durante il periodo della ricerca e tutti furono disertati senza preavviso o con un preavviso di ventiquattr’ore al massimo.Riuscimmo infine a parlargli, ma soltanto piombandogli a casa all’improvviso.Secondo quanto riferivano la madre e gli zii, alla ragazza era stato più volte detto che non si ravvedeva sarebbe dovuta uscire di casa. Ci risulta che due volte lo zio le aveva detto di andarsene e lei se ne era andata.

 Ma quando lei ripetè di fronte a lui che le era stato detto di andarsene , egli con lei negò il fatto (che non aveva negato a noi). Lo zio ci raccontò  tremando che la ragazza gli metteva le mani addosso, che senza parere lo toccava attraverso i pantaloni,che la cosa gli dava il voltastomaco. Sua moglie disse con aria indifferente che non sembrava così stomacato quando la cosa avveniva.

Ruby successivamente interrogata, non parve cosciente del fatto che allo zio non piacesse essere vezzeggiato e accarezzato. Credeva che gli piacesse, e lo aveva fatto per fargli piacere.

Non soltanto in un campo, ma in tutti i modi possibili, riguardo al vestirsi,al linguaggio che usava,allo studio,agli amici,la ragazza era stata sottoposta a mistificazioni che erano penetrate nei pori di tutto il suo essere” [53]..

 

 

     

 

 LA MISTIFICAZIONE  DELLA SOCIETÀ

 

     Paragrafo 2.8

 

 

 

“ Salute e malattia, norma e devianza, dentro e fuori,

 più e meno, prima e dopo,sono- nel la tendenza

 totalizzante del capitale-poli contrari e insieme

 equivalenti di una realtà unica: percentuali della

 stessa unità che variano quantitativamente a

 seconda del ruolo  prevalentemente giocato

 dall’uno e dall’altro, nel processo complessivo

 in cui l’uomodiventa oggetto del ciclo produttivo”.[54]

 

 

L’unica via d’uscita per una persona che vive in un contesto mistificante è la follia  intesa come fuga in un mondo interiore fantastizzato, che ormai non segue più le regole del sentire comune.

Abbiamo conosciuto noi tutti qualcuno che fosse folle e tutti ci siamo trovati di fronte a un comportamento bizzarro; certo è  che poche volte abbiamo cercato di capire quella persona . Noi tutti ci siamo nascosti dietro la certezza di una diagnosi medica; è uno schizofrenico, è un malato di mente, che  deve essere curato nei luoghi appositi , dagli psichiatri e  con delle cure adeguate. Penso che dopo aver conosciuto l’opera di Laing questo giudizio non ci sembrerà più così ovvio. La schizofrenia non è un processo patologico che si evolve  in una persona , ma è una prassi che si realizza nella famiglia e che taglia le gambe all’individuo.

Nell’analisi di Laing non manca certo un richiamo forte a un’altro aspetto della  realtà, ovvero il macrosistema - società, all’interno del quale la famiglia - microsistema, è inserita. La famiglia ripropone le regole della società, i valori, come anche i tabù. La famiglia, nella quale avviene la socializzazione primaria, agisce da mediatore delle regole, di cui spesso è una semplice esecutrice, senza però avere una piena consapevolezza delle finalità nascoste.

Laing ripropone la lettura marxista della società, che è  una società fortemente mistificata, alienata, che vive orientata verso  valori utilitaristici come: produttività, competitività, consumismo,  etc., che l’individuo subisce sulla propria pelle, come unica alternativa per poter sopravvivere. Ma il vero problema non sta  tanto in questo insieme di regole, ma più che altro nella mancanza di metaconsapevolezza, che viene mantenuta, da chi ha forti interessi economici, il capitalismo.

Tutte le agenzie formative, dalla famiglia alla scuola, ai mass media, perpetuano il modello vigente. L’approccio di Laing potrebbe essere definito ecologico, perchè analizza la schizofrenia alla luce della famiglia e della società e mostra come quest’ultima sia una conseguenza di una prassi mistificante in cui tutti siamo immersi.

Lo stesso significato di normalità e anormalità è frutto di una mistificazione. Infatti essere normali significa escludere dalla propria vita tutto ciò che non è diretto a mantenere l’unità del gruppo. Essere normali significa essere ben adattati a questo sistema , che limita fortemente la nostra esistenza, definendo ciò che è reale da ciò che è fantastico, ciò che è possibile da ciò che non è possibile. Divisioni , se vogliamo, arbitrarie e limitanti e che tendono ad escludere, dalla coscienza quotidiana ,una parte dell’esperienza umana  come i sogni, la morte, la follia etc. Essere diversi, uscire dalle regole è un pericolo per l’equilibrio del sistema, che viene superato attraverso il forte controllo sociale, il rifiuto e l’esclusione del diverso. Controllo sociale che viene effettuato dalle diverse agenzie educative.

Laing sottolinea come la psichiatria assolva a questo ruolo di controllore sociale,  infatti la definisce “ una branca della politica” che mistifica, sia la società, definendo come malattia mentale quella parte dell’esperienza umana così terrorizzante, sia l’esperienza già confusa di chi vive un crollo psichico.

Anche Basaglia concorda con la visione di Laing e infatti  afferma : “E’ evidente l’alleanza originaria della psichiatria con la giustizia. Lo psichiatra, nell’espletamento del suo mandato professionale, è contemporaneamente medico e tutore dell’ordine, nel senso che esprime nella sua azione presuntivamente terapeutica, sia l’ideologia medica che quella penale dell’organizzazzione sociale di cui è membro operante. Gli è cioè riconosciuto il diritto di mettere in atto ogni tipo di sanzione attraverso l’avvallo che gli dà la scienza, per un arcaico patto che lo lega alla tutela e alla difesa della norma. Per questo  nella nostra cultura  il fenomeno della devianza resta compreso nell’ambito di una conoscenza e di una pratica  di natura repressiva e violenta, corrispondente ad una fase di sviluppo  del capitale in cui il controllo si manifesta ancora sotto forme arretrate e rigide,nello stigma dello psicopatico e del delinquente”.[55]

 

Dichiarare l’altro folle mette tutti al sicuro dall’ansia che si prova pensando che la follia è un’esperienza  possibile.

M.Foucoult[56] fa risalire la separazione tra le esperienze possibili, al XVI secolo,  quando attraverso l’ internamento, si reagiva alla miseria al patetico, a tutte quelle esperienze dove l’uomo non è padrone della propria esistenza.

Al Rinascimento bisogna far risalire il rifiuto della miseria e della follia, che non vengono considerate più come delle esperienze mistiche , come accadeva  nel medioevo.

Tuttavia nonostante questo rifiuto e la conseguente relegazione nelle case di correzione, non si era ancora arrivati a considerare la follia come una  malattia, la prova concreta di ciò è che l’internamento non è stato mai una pratica medica. I primi cambiamenti li troviamo con Pinel  che,  nel XVII secolo, affermò la necessità di un’assistenza medica e umana per  i folli, per poi arrivare a Kraepelin (1886) che fondò la nosografia psichiatrica e che portò al definitivo appropiarsi della follia da parte della medicina.  Sempre più  interessata, quest’ultima, alla classificazione delle malattie psichiatriche a  discapito della comprensione di queste esperienze che venivano considerate assurde poichè  i pazienti venivano visti solo all’interno degli ospedali, fuori dal loro contesto e  senza conoscere la loro biografia; eccezion fatta per  alcuni studiosi più illuminati  ma,  comunque, sempre fedeli all’approccio organicistico.

Un lungo percorso, dunque, verso la medicalizzazzione di un ambito dell’esperienza umana e  che ha portato sempre più ad accentuare la scissione tra ciò che è sano e ciò che è malato,tra ciò che è possibile e ciò che non lo è, tra ciò che è irrazionale e  ciò che è razionale.

La psichiatria ha perpetuato violenza, con i suoi metodi di “cura” ( farmaci, lobotomia, elettroscock ), e di  esclusione; essa è stata uno strumento di oppressione e di controllo sociale della devianza: erano considerate sintomo di  malattia mentale anche l’omosessualità, la masturbazione, e i comportamenti considerati asociali.

Inoltre secondo Laing la psichiatria ,attraverso la diagnosi di malattia mentale, non fa altro che perpetuare la mistificazione messa in atto nel sistema familiare. Infatti lo psichiatra considera le azioni e il linguaggio di una persona in crisi come i sintomi della malattia .Questa prassi psichiatrica è uguale alla prassi mistificante messa in atto dai familiari, che interpretano le percezioni divergenti dalle proprie come non volute dal soggetto ma legate alla malattia..

La diagnosi medica chiude il ciclo di mistificazione, poichè non permette alla persona di rendersi conto se le proprie percezioni sono valide; impedisce di prendere coscienza di sè stesso e della realtà  insomma  lo immobilizza nel suo stato di confusione. Nessuna risposta o aiuto viene dato per comprendere ciò che succede dentro di sè. Anzi alla confusione si aggiunge la disperazione nel pensare che c’è qualcosa dentro di sè che non va, che non funziona correttamente. Vista in questi termini,  quindi,  la diagnosi medico psichiatrica risulta essere dannosa, in quanto cancella tutti i dubbi ,che eventualmente hanno i genitori, sulla possibilità di capire ciò che succede, e in secondo luogo conferma la confusione nella quale la persona si trova.

Le possibilità di guarire una volta passati per questa trafila sono poche, perchè comunque permane lo spettro della malattia, e anche perchè la guarigione non è altro che un’altra mistificazione. Infatti migliorare, tornare alla normalità significa accettare la verità imposta dagli altri, significa tornare a fingere accettando di colludere con gli altri..Vediamo quindi che si è sani quando non si cerca di essere più sè stessi. Ma lo spettro della malattia non si allontana mai, nonostante ogni sforzo, l’etichetta data rimane incollata alla persona per sempre.

 

 

CAPITOLO TERZO

     SCHIZOFRENIA UN’ESPERIENZA POSSIBILE
L’ESPERIENZA PSICOTICA
paragrafo 3.1

 

 

Nel precedente capitolo ho cercato di dimostrare come l’esperienza dello schizofrenico sia intelligibile se vista alla luce del contesto familiare in cui si manifesta.

In quest’ultimo capitolo invece cercherò di  dimostrare come l’esperienza psicotica, non sia un’esperienza di semplice confusione, ma come sia anche  il modo con cui la psiche cerca di superare la disintegrazione dell’io e la confusione esistenziale.

Tenterò di dimostrare come questa esperienza non sia esclusivamente  l’espressione di una degenerazione psichica, nell’accezione della psichiatria organicistica tradizionale che, probabilmente, alla luce di quanto detto,  ha spesso tralasciato di comprendere i   significati simbolici presenti nei deliri psicotici. Deliri che, come si è visto, rivelano e partono da contesti familiari irrazionali e attraverso i quali  l’individuo esprime in forma simbolica e fantasiosa la sua esperienza esistenziale. Nei deliri convergono sia la fantasia che ha nutrito l’io incorporeo, nei suoi tentativi falliti di separarsi da quella parte di sè stesso considerata non autentica, sia la fantasia del sistema familiare, che risulta quanto mai complessa e che richiede uno studio approfondito della famiglia e delle generazioni precedenti.

Nel decorso psicotico, l’individuo assalito da questa marea di simboli, si allontana dalla realtà e si ritrae  in sè stesso, in uno stato di coscienza alterato, il suo comportamento diventa sempre più infantile, fino a regredire a forme fetali, dove ogni controllo su sè stesso svanisce.

L’individuo entra in uno stato di coscienza alterato, compie un’esperienza paragonabile a quella mistica o a quella ottenuta  attraverso l’assunzione di  sostanze psichedeliche. La differenza sostanziale, rispetto a questi altri tipi di esperienze, risiede non tanto nel tipo di esperienza ma nel contesto in cui avviene; infatti alcuni individui vivono delle esperienze mistiche, ma non vengono considerati folli e, grazie a un contesto sociale e familiare che li approva,  riescono ad emergere e a trarre dei benefici da queste stesse  esperienze. Lo stesso vale per quelle persone che, negli anni settanta, sotto il controllo del terapeuta hanno fatto uso di sostanze psichedeliche, compiendo così dei vertiginosi viaggi nella propria psiche.

La possibilità di queste esperienze sta a dimostrare che la facoltà di avere esperienze mistiche risiede in ogni individuo. Essa fa parte della natura spirituale degli esseri umani. Ma la scienza e la cultura  Occidentale con la sua visione dualista, dove l’Io è separato dal mondo, ha dimenticato il fondamento spirituale e divino di tutti gli esseri.

Studi sulle civiltà indoeuropee mostrano la frequenza di rituali di iniziazione a carattere misterico ed esoterico.[57] Infatti l’uomo fin dai tempi neolitici era stato abituato alla presenza dell’ineffabile e lo sciamano era una figura essenziale per il suo ruolo di intermediario tra le forze indicibili e la vita quotidiana che su queste si fondava e trovava alimento.

Anche i buddisti Zen, come tanti altri praticanti  delle millenarie discipline orientali ( taoisti, induisti, etc.)   rivendicano il valore fondamentale dell’esperienza mistica dell’unità,  per la guarigione dell’umanità ammalata di visione parziale, razionale e  materialistica   del  mondo. Questi viaggi nella psiche sono pericolosi, se lasciati al caso, a causa dell’enormità di simboli e visioni che avvolgono l’individuo il quale  perde ogni senso d’orientamento. Non è infatti casuale che gli sciamani avvertissero sulla potenza di questa esperienza, che loro provocavano con delle sostanze e che richiedeva da parte dell’iniziato un totale e incondizionato smembramento psichico. prima di giungere nella dimensione estatica. Questi due momenti erano chiamati dai greci con i nomi di Dionisio e Apollo. Il primo era la vertigine, il vuoto; il secondo la ricomposizione, il significato ultimo. Rimanere con Dionisio era terrificante se non interveniva l’altra divinità.Gli antichi sapienti sapevano infatti che la crescita umana doveva necessariamente transitare attraverso questa dolorosa fase di passaggio. Ecco quindi l’importanza di un’ambiente ben accetto e rassicurante e di una guida che, come lo sciamano, aiuti l’individuo nel suo viaggio nella psiche, nello spirito. Tale contesto manca per lo più agli psicotici durante questo

“sprofondamento”, ma diversi studiosi sono concordi nell’affermare su come questa esperienza, se portata a termine, conduca  alla “guarigione”.

Questo viaggio della psiche che si attiva quando “è presente una divisione tra l’immagine che la persona ha di sè, il modo in cui la persona si vede e si valuta  e l’immagine archetipica che la compensa in profondità”[58], condizione  che porta all’abolizione della personalità falsa dello schizoide per realizzarne  invece una autentica. Secondo W.Perry, attraverso la regressione psicotica l’individuo ricostruisce l’immagine di sè e impara anche ad amare e ad essere amato, esperienze che nella fase pre- psicotica sono considerate pericolose perchè minacciano la precaria identità.

Laing si è interessato di questo  viaggio compiuto dallo psicotico dentro sè stesso e sostenendo che “quando un individuo impazzisce, si verifica un profondo mutamento della sua posizione rispetto tutti i reami dell’essere; il centro della sua esperienza si trasferisce dall’io al Sè; il tempo mondano si fa puramente episodico, e solo quello eterno che conta.Tuttavia il pazzo è confuso: mescola l’io con il sè, l’interiore con l’esteriore, il naturale con il sovrannatural.”[59].

L’esperienza psicotica è una delle esperienze possibili all’essere umano, certo non è voluta o piacevole, ma è pur sempre un’esperienza, che essendo iniziata deve essere portata a termine, cosa che non avviene nella maggioranza dei casi, proprio perchè questa viene considerata come la sgradevole sintomatologia di una malattia.

Gli psichiatri infatti hanno considerato la regressione come una degenerazione della psiche, ma è molto interessante portare in questa sede le affermazioni di Silvano Arieti a proposito del processo di regressione: “Possiamo  però avanzare l’ipotesi che questo comportamento del bambino, delle scimmie prive di lobi temporali e degli schizofrenici regrediti sia un modo di reagire primitivo, che è caratteristico di un certo livello di sviluppo ed è inibito o trasformato dai centri più elevati...E ancora...La reazione di mettere in bocca sembra appartenere a un livello molto inferiore rispetto ad altri meccanismi arcaici... Nei malati mentali questo comportamento si osserva specialmente nei catatonici o ebefrenici. Sebbene sia un sintomo di avanzata regressione, non è infausto. In effetti alcuni catatonici che mangiavano le feci o se ne cospargevano, qualche volta, hanno avuto una remissione temporanea o raggiungono perfino una guarigione apparentemente completa.”[60]

E’ molto interessante sia quest’ultima affermazione, sulla guarigione, che è esente da influenze ideologiche, sia la descrizione della regressione come un ritorno a un comportamento sempre più infantile. Cambia solo l’interpretazione di questi dati, che invece per Laing e altri rappresentano non una regressione ma un’evoluzione della psiche. Ecco perchè è molto importante che questo processo non venga interrotto con farmaci, o nel passato ancora recente con l’elettroschock o  la lobotomia. Tutti interventi il cui unico effetto  è cancellare ogni ricordo e ogni vitalità.

La conseguenza di queste terapie inibenti è quella di bloccare e fissare il soggetto in uno stato di disagio.

Inoltre, all’interno del contesto psichiatrico, il soggetto, che è impegnato in questa esperienza complicata, non riesce ad emergere perchè ulteriormente confuso; infatti attraverso l’esperienza psicotica l’individuo cerca di comprendere ciò che gli succede, anche se questo risulta difficile, perchè l’individuo è mistificato sulla sua condizione. La psicosi è così il modo della psiche di sciogliere il nodo che la avviluppa.

Anche Jung  vedeva nella psicosi un processo di riorganizzazione  del Sè, attraverso meccanismi di morte e rinascita e attraverso lo scontro, il capovolgimento e l’unione degli opposti.

Tra l’altro, lui stesso aveva compiuto un viaggio nell’inconscio (1913-1919),che  definì individuazione  e che lo aveva portato alla scoperta del Sè, degli archetipi e dell’inconscio collettivo. Così Jung descrive questa esperienza : “Fui travolto da questo torrente di lava, e il suo fuoco diede nuova forma e nuovo ordine alla mia vita. Fù la materia prima, che mi costrinse a plasmarla; e le mie opinioni sono un tentativo, più o meno riuscito, di incorporare questa materia nella Weltanschauung del mio tempo.Quelle mie prime fantasie e quei sogni erano come magma fuso e incandescente:da essi si cristallizzò la pietra che potei scolpire”[61].

Nella psicosi acuta l’individuo si immerge in un mondo interiore simbolico, che gli permette di riorganizzare alcune esperienze. Laing parla di un viaggio in cui l’individuo si imbarca, durante il quale perde ogni contatto con la realtà.

E’ un viaggio non senza pericoli: il pericolo più grande è forse lo smarrimento che ne deriva di fronte a un esperienza che perde ogni riferimento convenzionale e che rischia, come dice Jung ,  di far “perdere la bussola”.  Infatti quest’ultimo, quando era impegnato con le sue fantasie cercava di mantenere un punto d’appoggio nella realtà: “Era molto importante per me avere una vita normale nel mondo reale, per bilanciare la stranezza del mio mondo interiore[62].

Certo l’esperienza di Jung non può essere paragonata a quella di uno schizofrenico, fortemente confuso su sè stesso e sulla natura delle sue esperienze, laddove Jung intraprese questo viaggio con una certa lucidità, ma la testimonianza junghiana ci aiuta a comprendere il significato e lo scopo  di siffatte esperienze. Ci può aiutare a capire che il viaggio nell’inconscio non è prerogativa del malato di mente, ma è un’esperienza che ha accomunato persone diverse come: Holderlin, Rimbaud, Van Gogh, Nietzsche, Antonin Artaud..e tanti altri ancora.

Laing afferma in maniera lapidaria: “La pazzia che riscontriamo nei “pazienti” è un volgare travestimento , una parodia, una grottesca caricatura di ciò che potrebbe essere la guarigione naturale di quell’alienata integrazione che chiamiamo sanità.

La vera sanità comporta in un modo o nell’altro la dissoluzione dell’io normale, di quel falso io abilmente adattatosi alla nostra alienata realtà sociale:  l’insorgere come mediatori degli archetipi  “interiori” della potenza divina, e attraverso questa morte una rinascita, e l’eventuale ristabilirsi di  un nuovo tipo di funzioni  dell’io, di un io che non tradisca più il divino, ma lo serva”.[63]

                    

 

 

 

  LA METANOIA

                                    

 paragrafo 3.2

 

La psicosi, lungi dall’essere un modo patologico di reagire alla confusione, è uno sprofondamento in uno stato di non differenziazione e di non integrazione, durante il quale l’individuo ripercorre all’indietro le tappe dell’evoluzione individuale e sociale. Per Laing questo viaggio nello spazio e nel tempo interiore rappresenta un processo di guarigione naturale, che la psiche adotta per riorganizzare l’io diviso. Tale viaggio ha un doppio movimento, regressivo e progressivo, che presenta le seguenti  caratteristiche:

un viaggio di andata:

“ 1)Un viaggio dall’esteriore all’interiore;

2) Dalla   vita  a una   specie    di  morte;

3)  Da  un andare avanti  a un  andare indietro;

4) Da un tempo in movimento ad un tempo statico;

5)Da un tempo mondano a un tempo eonico;

6)Dall’io al sè;

7)Dall’essere fuori (dopo la nascita) al rientrare in grembo al tutto (prima della nascita);

 

e successivamente un viaggio di ritorno :

 1) Dall’interiore all’esteriore;

2)Dalla morte alla vita;

3)Dal moto indietro ancora al moto in avanti;

4)Dall’immortalità indietro alla mortalità;

5)Dall’eternità ancora al tempo;

6) Dal sè ad un nuovo io;

7)Dalla trasformazione in feto cosmico ad una rinascita dell’ esistenza”. [64]

 

Questo viaggio, quindi, è percepito come  un arretrare ed un avanzare nel tempo, che corrispondono ad  una regressione e ad una progressione e, i movimenti fra l’uno e l’altro,  a una recessione e processione. La  recessione e la  regressione si verificano insieme. Dove la recessione è una forma di regressione portata più indietro di quello che sembra essere il punto di partenza storico personale dell’individuo.Mentre la regressione è un andare a ritroso emotivo ed esperenziale nel tempo personale “ è confinato in un guscio di noce (regressione intrauterina) ed è spazio  infinito ( recessione fino alla perdita di gran parte delle distinzioni)”. [65]

Questa esperienza può durare pochi secondi o molte settimane e, in alcuni casi, anni e si può riproporre a distanza di tempo.

Esterson afferma che questa esperienza “è diversa dalla fantasia  che ha a che fare con il proprio personale essere per sè in rapporto a se stessi e gli altri,[...] questa è l’esperienza di immersione salutare in acqua interna è la realtà originaria a cui fa riferimento e di cui è simbolo il battesimo con acqua fisica”[66]

Il soggetto attraverso questo viaggio entra così in contatto con una particolare zona dell’esperienza, quella che è stata definita da Jung inconscio collettivo, e attraverso  una serie di trasformazioni, cerca di sbloccare la  situazione e di sciogliere il nodo che lo soffoca. Se questa situazione si sblocca “o se si comincia a manifestarsi quella funzione trascendente del Sè di cui Jung parla come del fattore centrale della guarigione, allora emergono le forme archetipiche  tipo mandala, e queste persone vedono il mondo assumere un ordine.”[67].

Secondo Laing nella regressione  ricorrono  esperienze pre- natali, che  riportano a rivivere il percorso dall’annidamento alla nascita vera e propria. Forse questa è la  parte, del discorso di Laing,  che può sembrare più sconcertante: si parla di  un ritorno ad esperienze pre-natali, di cui non abbiamo nè ricordo, nè la possibilità di stabilire se sono autentiche. “Una visione embrionale non dovrebbe essere interpretata come un miraggio della memoria, una falsa memoria, una visione presente, una rappresentazione della forma di un attuale stato di cose, proiettata sul passato” [68].

Secondo Laing queste esperienze permangono nella psiche e costituiscono  schemi di sensazioni e fantasie che si presentano in sogni, nello schema e nell’immagine corporea, in visioni e nei più comuni stati mentali.

Lo stesso Freud capì che esiste un continuum biologico prima, durante e dopo la drammatica cesura della nascita, infatti nell’Interpretazione dei sogni, egli osserva come “un gran numero di sogni angosciosi, hanno per contenuto il passaggio per ambienti stretti e la permanenza in acqua, hanno alla base  fantasie sulla vita intrauterina, la  permanenza nel ventre materno e l’atto della nascita.”[69] e ancora in una nota dice “ l’atto della nascita è del resto la prima esperienza angosciosa e perciò fonte e prototipo del sentimento d’angoscia.[70]”, ma  Freud si limiterà a parlare di fantasie  legate ad impressioni “assai primordiali, di natura generalissima, da situarsi nella preistoria non dell’individuo, bensì della specie.”[71]. Quindi Freud cerca di spiegare queste fantasie attraverso la teoria filogenetica, secondo cui tale bagaglio di fantasie e ricordi rappresenta l’immaginario della specie, rifiutando invece la teoria ontogenetica, che fa risalire tali ricordi all’esperienza reale dell’individuo, poichè gli sembrava assurda e non conciliabile con l’oggettività della scienza. A questa interpretazione rimarrà fedele lo stesso Jung; mentre altri come: Otto Rank, Fodor, Peerboltte, sosterranno l’ipotesi ontogenetica per spiegare i simbolismi legati alla vita intra-uterina e a alla nascita. Laing aderisce a quest’ultima ipotesi, considerandola possibile più di quella filogenetica: se accettiamo, infatti, di poter avere reminiscenze legate al passato della specie perchè non dovremmo poter ricordare esperienze effettivamente vissute?

Al fine di chiarire la corrispondenza fra strutture biologiche e psicologiche riporto di seguito un esempio citato da Laing e tratto da: “Nascita dell’esperienza”: “Si presentano qui quattro sogni che una signora ebbe mentre usciva da uno stato cui era sprofondata per mesi e  che lei aveva definito il freddo della morte e un arazzo di irrealtà:

In un sogno era stata messa con le spalle al muro da un uomo che voleva aggredirla.

Sembrava non esservi alcuna via di scampo.Era allo stremo delle forze quando, sempre nel sogno, tentò di rifugiarsi nella coscienza vigile, ma continuava a essere con le spalle al muro, anzi ora la situazione era peggiorata perchè reale, così si rifugiò nel sognare che <<tanto era solo un sogno>>. In un altro sogno era dentro a una casa buia, guardando dalla soglia di una porta attraverso la quale era posato un ombrello nero.

Nel sogno sentì che dentro c’era l’irrealtà e fuori la realtà, ma l’ombrello le impediva di uscire.In in terzo sogno, si gettava da un aeroplano con il paracadute.In un quarto sogno, lei guardava da fuori un grande aeroplano;sul portello dell’aeroplano era in piedi un dottore che incorporava elementi di varie persone (compreso Laing).Questa volta lei era convinta che fuori fosse la realtà e dentro l’irrealtà. Voleva tornare dentro nell’irrealtà, ma il medico le sbarrava la strada

Nella diversità di contenuto fra i vari elementi onirici, lei, la casa scura, la porta, l’ombrello nero, da un lato, e la matrice biologica, feto grembo, cervice, placenta, dall’altro, si individua una analoga forma organica dinamica.

 

Lei      la casa scura        la soglia      l’ombrello  nero

 

Feto            grembo         cervice         placenta

 

La somiglianza fra lo psicologema e il biologema è tanto dinamica quanto statica.Lo strano stato mentale in cui era vissuta per alcuni mesi in seguito alla nascita di un bambino era stato annunciato da un sentimento convinto che un verme invisibile, o germe le fosse penetrato nel grembo, una notte durante un sogno, mentre era in corso una terribile tempesta. Da allora era vissuta in uno stato tagliato fuori dalla vita ordinaria , e dalla realtà Così come l’inizio del suo stato era stato annunciato da immagini che suggeriscono il concepimento o l’annidamento, quando cominciò ad uscirne ebbe immagini che fanno pensare alla nascita.

1)Lei e un uomo in una stanza. C’è un uscita. L’uomo le impedisce di uscire.

2) E’ in una stanza con un’uscita. Un ombrello aperto, il manico verso di lei le impedisce di uscire.

3)E’appena scesa da un’aeroplano. Un paracadute ritarda la sua caduta altrimenti catastrofica..

4) E’ fuori dall’aeroplano. Entrambi sono atterrati. Ha voglia di tornare dentro l’aeroplano. Un medico glielo impedisce.

In ciascuno dei sogni, vi sono versioni di  lotte che avvengono  su una soglia, per andare avanti e indietro, per entrare o uscire dalla stanza o dall’aeroplano. Nei primi due sogni la lotta è per uscire, negli altri due è uscita. Nel quarto ha l’impulso di ritornare. Nei primi due le viene impedito di uscire. Negli ultimi due di ritornare.Le trasformazioni nei suoi sogni sono come fasi di rito di passaggio; sia onirici sia esistenziali sono le prove che un simile rito obbliga ad affrontare.”[72]

Vediamo, quindi, come sogni e drammi presentano modelli prenatali (feto, cordone ombelicale, placenta, utero) e perinatali.

Sempre secondo Rank, Fodor, Lake e altri, una volta che l’esperienza originaria catastrofica  viene rivissuta e reintegrata, il suo incantesimo evapora, quindi l’ individuo rivivendo questa esperienza, attraverso i sogni o la regressione psicotica,  si libera di quell’angoscia primaria.

Tuttavia la scienza occidentale rifiuta  queste speculazioni in quanto non è possibile  sottoporle a studi sistematici e oggettivi; per Laing, invece, sono possibilità umane da non escludersi a priori e, comunque, ritrovabili, quasi come connotato comune, nelle regressioni psicotiche, nelle quali si ripropone il  movimento di morte e resurrezione che conduce l’individuo ad uno stato nuovo . Piochè attraversa questo processo di trasformazione potenzialmente liberatorio, l’individuo giunge ad un mutamento della mente, che Laing definisce con un termine greco: metanoia .

Proponiamo ancora un’altro esempio, che evidenzia la presenza di temi biologici, mitologici e psicologici, tratto sempre  da: “La nascita dell’esperienza”:

“Lui ha ventiquatttro anni. Vive con sua moglie e un bambino di un anno.  Sono sposati da due anni. Negli ultimi due mesi lui non ha fatto quasi altro, notte e giorno, che starsene seduto su una sedia o accovacciato sul pavimento. Raramente pronuncia una parola. Non dà nessuna spiegazione. Non ha mai agito così prima.Quando gli chiedo cosa sta succedendo , lui rompe il silenzio per raccontarmi coerentemente e fluentemente una storia, di cui quel che segue è una versione molto sintetizzata.

Poco prima del suo matrimonio, ebbe un breve incontro omosessuale, l’unico della sua vita.Per diverse settimane in seguito, <<ondate>> di sentimento che egli era il Cristo, il salvatore, lo assalivano e talvolta non lo abbandonavano per ore.Tutto rimase tranquillo per alcuni mesi, quando ondate di sentimento lo sopraffecero, e questa volta di essere Giuda, il traditore del Salvatore. Anche queste ondate si ritirarono, e nulla successe per diversi mesi, finché alcuni mesi fa, entrambe le ondate di sentimenti di essere Cristo e Giuda tornarono, talvolta separatamente, talvolta insieme. Talvolta era propenso a credere a una , talvolta, all’altra, o a entrambe, o a nessuna delle due. Ormai le ondate lo logoravano. Quando si avvicinò allo sfinimento completo, cominciarono a sopraffarlo. Era alla loro mercè.

Tutto quel che sentiva di poter fare era conservare l’equilibrio, in tutti i sensi, compreso lo sforzo di mantenersi simmetricamente immobile su una sedia. Ogni movimento asimmetrico gli richiedeva la stessa precauzione che se stesse camminando su una corda sospesa nel vuoto.

Un impulso inesplicabile lo indusse ad accovacciarsi sul pavimento, a occhi chiusi.quando si fu accovacciato, cominciò a diventare Cristo e ,improvvisamente, senza alcuna premonizione, egli, Cristo,scomparve attraverso il pavimento. Per alcuni secondi lui e Cristo rimasero collegati, poi furono scissi.Aveva perso se stesso e Cristo in un momento solo. E lui era lì, abbandonato, accovacciato sul pavimento,il doppio di sè stesso, il proprio spettro, giuda, malvagio, corrotto, marcio e putrescente, moribondo, in ogni istante sul punto di essere gettato attraverso un buco nero nel pavimento, chissà dove. Non potè fare altro che stare accovacciato, in attesa . Mentre se ne stava così, sentiva, benchè avvertisse che era un sentimento assurdo, che doveva aggrapparsi e avvinghiarsi al mondo per restarvi dentro, e allo stesso tempo che ciò era inutile, perchè questo mondo era incessantemente, implacabilmente nell’atto di staccare ed espellere lui da se stesso.

Quando no era accovacciato sul pavimento, si bilanciava sulla sedia. Cominciava ad avvertire il bisogno    di rannicchiarsi e sentiva di trovarsi dentro qualcosa da cui doveva urgentemente uscire

.Poteva avere la sensazione di uscirne un poco, mettendo il braccio destro dietro di sè, premendo il dorso contro di esso e dentro di esso, dopo di che attraversava drammi inimmaginabili, mentre si partoriva sotto forma del suo ,braccio, lentamente e con tribolazione, dal dorso e dalla sedia, finchè come un serpente che scivola attraverso una fessura in una roccia, egli, nella forma del suo braccio si liberava

Disorientato ,si vede diventare il Serpente del Male, Adamo ed Eva, e l’Albero della Vita, Cristo e Giuda, IL Sè che ha perduto, il suo doppio, il suo spettro, una placenta senza il suo feto, le connessioni recise fra ogni cosa, tutto in uno.

Gli viene in mente che non uscirà da quel che è finchè non diventerà  del tutto come il serpente con la coda in bocca, un completo organismo intrauterino,prima che il serpente ombelicale diventasse il male, quando Giuda e Cristo erano ancora fratelli di sangue.

Da questa esperienza molto condensata possiamo trarre le seguenti corrispondenze

 

 

E’ accovacciato

 sul pavimento                come se          fosse un  organismo 

                                                             intrauterino    comprendente feto-cordone                                                                                                                                                                                                                    

                                                             ombelicale-placenta.                          

 

 

 

 

pavimento                     è come           il pavimento pelvico.

 

 

 

 

 

 

Cristo sparisce

attraverso il pavimento       come                 un feto ha attraversato il   canale    

                                                                   della  nascita

 

 

 

Egli è espulso  e abbandonato,

e questi due Sè sono ancora collegati          Il suo Sè totale è nato, il suo                                     

                                                                   cordone ombelicale non è                                                           

                                                                   ancora stato reciso, poichè la      

                                                                   placenta è rimasta indietro

.

E’ tagliato fuori                                          Il cordone ombelicale è reciso.

 

 

Il mondo lo sta staccando                            L’utero si sta staccando

da se stesso, ma lui si                                  dalla placenta, che è ancora

aggrappa,si avvinghia,                                 aggrappata,sul punto di                        

sul punto di essere                                       essere espulsa.                                                                                    

 espulso , di diventare corrotto,

di perire

 

 

Egli sente che deve tornare ancora più indietro, alla fase precedente il momento in cui uscì da questa impossibile , insostenibile, aliena, mortale, assurda, pazza posizione di essere la propria placenta recisa, abbandonata sul punto di essere espulsa e di perire, il suo doppio, il suo spettro, Giuda, l’altro MalignoLo slancio della regressione lo portò indietro o dentro, da ritornare alla posizione urobica del serpente con la coda in bocca, prima che divenisse un tragico doppio.

Sembra un accettabile descrizione generale di alcuni aspetti della struttura e dinamica della sua esperienza, così come è rappresentata, indipendentemente dal fatto che noi riteniamo possibile o impossibile che in qualche modo inesplicabile egli possa  <<ricordare>> come si sentiva la sua placenta durante la sua vera nascita” [73].                   

 

Laing attraverso  la  descrizione  di   questo   caso   mostra il   processo regressivo che   quando    giunge  al   suo  termine   viene     seguito     da  un altro   movimento,  quello       in  avanti, chiamato  neogenesi, che è un nuovo progredire. Secondo l’opinione di Laing,  quest’ultimo movimento è più rapido della regressione; ma tuttavia questi movimenti, regressione e progressione,  non sono separabili nettamente, poichè durante le fasi dalla neo-genesi si possono avere delle regressioni.Tutto questo processo naturalmente non è una cosa piacevole, anzi è causa di molta confusione e disperazione  in chi la vive; ecco perchè, a tal proposito, Laing sottolinea la necessita di realizzare un ambiente adatto, dove un’individuo possa inoltrarsi in questo viaggio senza sentirsi solo e abbandonato, ma amorevolmente assistito.

 

                       

KINGSLEY HALL

 

Paragrafo 3.3

 

 

 

L’ipotesi di lavoro che Laing porta avanti può essere così sintetizzata:

·      1) Tutto ciò che è clinicamente diagnosticato come schizofrenia acuta o esaurimento di  forma, può essere una risorsa alla quale l’essere umano ricorre quando ogni altra risorsa gli sembra impossibile.

·      2) Se la struttura e l’ambiente possono essere cambiati l’esperienza può essere trasformata così che non vi è più ragione alcuna di considerarla psicotica.

La naturale conseguenza di una tale impostazione è il rifiuto delle classiche istituzioni psichiatriche e dell’ideologia che le accompagna; Laing, invece, opta per la costituzione di comunità dove possano essere abolite le classiche categorie, paziente - dottore, malato - sano. In breve “un luogo in cui la gente è, e non dove è curata;essere è qualcosa di vivo e di attivo, è scegliere di uscire dalla falsa passività dell’essere curati, o, in qualunque senso,dell’essere trattati da altri” [74]

Un luogo dove “ degli ex pazienti aiutino i futuri pazienti a diventare matti[75]”,ovvero un posto dove una persona “fuori rotta” possa lasciarsi andare, e iniziare il suo viaggio  dentro e attraverso il proprio io, con la garanzia che qualcuno lo accompagnerà attraverso tutta l’esperienza. Qualcuno che non interferirà, che non cercherà nè di giudicare ciò che avviene  nè di bloccare il viaggio a ritroso.

R.Laing, D.Cooper, L. Redler, A. Esterson, Schatzman H. e Crawford, nel 1965, diedero vita alla Philadelphia Association che nel 1970  si scisse a causa di divergenze  di natura  personale e alcuni membri di quest’ultima, fondarono un’altra associazione, la Arborus Housing. In questa confluirono J.Berke, M.Schatzman, A.Esterson. Ma entrambe le Associazioni esprimevano la stessa posizione ideologica “Vogliamo rifiutare il modello medico per quell’insieme di comportamenti dei quali non è ,stata trovata alcuna causa fisica, e che viene chiamato malattia mentale. Vogliamo offrire a coloro che sono stati, o che potrebbero divenire, pazienti psichiatrici la possibilità di non venir considerati come malati mentali, chiamati malati mentali, o trattati da malati mentali”.[76]

Queste comunità cominciarono a sorgere quando la  più famosa comunità antipsichiatrica inglese, Kingsley Hall, dovette chiudere. Così era denominata la Comunità di  quel palazzotto dell’East End londinese, che era stato affittato nel giugno 1965 dalla Philadilphia Association, costituitasi, quest’ultima,  due mesi prima, con lo scopo di trasformarlo in un centro di vita antipsichiatrica.

Questo esperimento è di grande importanza, poichè ha dimostrato l’attuabilità delle teorizzazioni lainghiane, senza dimenticare che per ben  cinque anni è stato un punto di riferimento culturale per psichiatri,  psicanalisti, intellettuali e artisti, che sono stati a Londra a visitare, studiare e vivere nella prima comunità antipsichiatrica del mondo.

Qualche cenno statistico su Kingsley Hall, potrà aiutare a  farsene un’idea: potevano abitarci non più di 14 persone contemporaneamente; in quattro anni vi anno vissuto 113 persone. Di questi 43 non erano stati mai classificati come malati mentali e, dei rimanenti 70, oltre la metà, cioè 39, erano stati precedentemente ricoverati in ospedali psichiatrici. In seguito al soggiorno nella comunità, la durata del quale è stata molto varia, (più della metà dei residenti vi ha abitato per un periodo compreso fra una settimana e tre mesi), 11 persone sono state ricoverate in ospedali psichiatrici, di cui 3 direttamente da Kingsley Hall. Il centro era costituito da  stanze singole, nelle quali le altre persone potevano  entrare, (  naturalmente queste potevano essere condivise con chi le occupava per libera e consapevole scelta di entrambe le parti), e di una zona comune nella quale ciascuno poteva trascorrere  più o meno tempo. In questa comunità non c’erano regole , “esisteva  la regola che le regole fossero aperte ad ogni analisi e revisione[77] e inoltre non c’ era  nessuna regola che impedisse di scoprire una qualsiasi regola segreta, che potesse  impedire alcune cose e ne permettesse delle  altre. Non c’è nessuna regola che impedisce di dire: “Noi della casa ci comportiamo come se ci fosse un regolamento che proibisce a tutte le persone A di fare x,y o z con tutte le persone B”[78]. Questo è un fatto importante, perchè ,come abbiamo già avuto modo di dire, le famiglie di individui schizofrenici confondono “ i bambini creando delle regole che impediscono la consapevolezza di certe altre. I genitori puniscono i bambini quando trasgrediscono le regole del primo ordine della famiglia e quando mostrano di sapere che queste esistono, una conoscenza che viola le regole del secondo ordine.”[79]

A Kingsley Hall le persone così confuse e mistificate potevano relazionarsi con gli altri liberamente, imparando così a scovare le metaregole che ordinano l’interesperienza.

Ogni membro poteva decidere di stare da solo o con gli altri. Si poteva scambiare  la notte per il giorno”, e si poteva  anche rimanere a letto tutto il giorno.

Mentre alcune persone sceglievano di lavorare su sè stesse, altre, sempre per libera scelta, si occupavano di provvedere alle necessità quotidiane: fare la spesa, lavare i piatti, pulire i bagni, pagare le bollette etc. Queste ultime, assumendosi la responsabilità di provvedere alle necessità pratiche della vita di comunità, permettevano agli altri di ricercare “la preziosissima perla nella profondità dell’oceano, senza affogare” [80].

A Kingsley Hall ognuno  era libero di decidere se essere  seguito o meno da uno psicoterapeuta, poteva decidere se prendere o meno tranquillanti o altri farmaci, se rimanere o  andarsene. La somma settimanale per l’affitto, il cibo, e le altre spese variava a seconda delle disponibilità finanziarie di ognuno; in alcuni  casi, anche chi non era in grado di mantenersi e non riceveva  il sussidio poteva  vivere in comunità per un certo periodo senza pagare.

Nella comunità si tenevano una serie di attività sociali come la pittura, la tessitura, lo yoga, la lettura di poesie, la danza religiosa indiana, mostre, proiezioni di film e conferenze  sull’antropologia, la psichiatria, il teatro, etc. Era una comunità aperta a tutti, e cosa  molto rilevante,  per un certo periodo vi hanno vissuto Laing, Cooper, Esterson, Schatzman,  Berke, Redler e  Liss.

Naturalmente questa comunità incontrò diverse resistenze da parte degli abitanti dello stesso quartiere, che consideravano, gli inquilini della comunità, semplicemente dei pazzi. Si cercò di  superare queste ostilità  permettendo ad un gruppo di anziani e ad un club di ragazzi di continuare ad  incontrarsi al piano terra dello stesso edificio. Inoltre venivano organizzati delle altre attività, come la danza,  nel tentativo di  costruire un rapporto con l’esterno e di  non ridurre, la stessa comunità, all’isolamento ghettizante.

Al di là di tutte queste informazioni sulla vita di Kingsley Hall, è importante notare come gli abitanti  della stessa la sentissero; a questo proposito sono interessanti le testimonianze,  raccolte da M. Schatzman, di quattro persone che abitavano lì:

1)La mia prima esperienza a Kingsley Hall fu di assumere un ruolo completamente differente dai ruoli  fino ad allora sostenuti: invece di essere uno che guarda sempre le altre persone...un...come figure parentali...penso che fossi soprattutto nella posizione di uno a cui si dice cosa fare e che aspetta questo in una certa misura..,cercavo una sorta di guida, suppongo. E allora appena arrivai qui diedi l’impressione di essere quello che organizza le cose e prende le decisioni assumendo un ruolo piuttosto attivo...

Penso che una delle cose migliori qui è che uno  non è tenuto ad avere ragione..Stando qui, qualunque cosa va bene, per così dire. Penso ad una parola,”accettazione” delle persone così come sono, che non ho mai trovato altrove. Qui si può realizzare una specie di contatto, una specie di comprensione, è facile realizzare una sorta di contatto senza usare le parole, mentre fuori bisogna limitarsi a dire certe frasi.Qui  c’e qualcosa di unico a questo proposito... Non ci si impantana nelle convenzionalità di dover essere educati o dire delle frasi che sono considerate forme convenzionali di educazione, frasi come: “Vieni a  sederti vicino alla stufa” e “ Hai trascorso una buona giornata?” e l’altra persona è tenuta a descrivere che tipo di giornata a passato...Qui non si fa questo tipo di cose.Non si sente l’obbligo di farle. Penso che sia più onesto. Non si ha paura di non avere particolarmente simpatia per una persona, non si ha paura di non essere amichevoli..

2) Ognuno deve  decidere cosa vuole fare perchè non c’è nessuno che dice all’altro cosa deve fare. In molti luoghi dove sono stato c’èra sempre un motivo per cui dovevo uscire, o dovevo andare a lezione all’università, e se non lo facevo qualcuno mi avrebbe trascinato fuori o mi avrebbe detto: Stai male? Ora nessuno mi dice che dovrei uscire dalla mia stanza. Non c’è nessuna struttura esterna, o autorità. o formalità a cui richiamarsi quando si decide di fare qualcosa, ognuno è libero di prendere le sue decisioni...

Ci sono delle piccole cose come suonare il pianoforte. Sono molto stonato. Non so suonare nessuno strumento e non ho mai suonato uno strumento che non conoscevo di fronte a nessuno. Ho trovato che qui riesco a farlo: dare qualche colpo e fare un po' di rumore .Non mi sento assurdo. Posso anche ballare Prima non avevo mai potuto ballare di fronte a delle persone. Qui tutto va benissimo. Inoltre alla prima volta dall’infanzia , e forse nella vita, riesco a giocare veramente con un’altra persona..

3) Ciò che distingue la mia famiglia e gli ospedali psichiatrici da Kingsley Hall è che qui persone diverse si riuniscono insieme e cercano di vivere insieme pur esternando le loro differenze-litigare,essere in disaccordo, decidere di fare le cose in un modo che offende gli altri-e ciò nonostante essendo tollerati dagli altri, questo avviene gradualmente mentre si diviene consapevoli delle altre persone e degli effetti che uno ha sull’altra. Sono convinto che ciò non accade in un ospedale psichiatrico: lo so che non accade.Là negli ospedali è molto difficile avere qualunque tipo di rapporto con le persone se non giocando la parte che essi vogliono che tu giochi, perciò devi imparare quali regole devi seguire nel loro schema:qui invece incontri persone diverse, puoi aprirti con loro e parlare,  entrare in rapporto con loro e creare una certa comprensione.

Non è un posto dove uno dice all’altro cosa egli dovrebbe volere, come dovrebbe vestirsi, cosa dovrebbe mangiare...Una delle caratteristiche di Kingsley Hall, che distingue una situazione di libertà da una situazione di costrizione, è che qui una persona può fare qualcosa e non deve adattare il suo comportamento al modello di ciò che è ritenuto giusto o sbagliato dagli altri.

4)  Qui si diventa sempre più consapevoli dell’importanza che ha per le persone il fatto di conservare certi miti senza senso su ciò che è giusto, continuando a ingannare se stessi. Quando ero a casa sembrava molto importante che il tavolo fosse apparecchiato in un certo modo e che ognuno mangiasse il dolce con la forchetta e la giustificazione a tutto ciò era sempre una sola:questa modalità di comportamento è giusta perchè è così...Mi era sempre stato detto che il lavoro era una bella cosa perchè era così, solo per il fatto che era lavoro,  inoltre” tutti lavorano, non è vero?”. Io ritengo che sia necessario fare un qualche lavoro per mantenermi, tuttavia non credo più nella complessa mistica che circonda la necessità di lavorare-mi riferisco ai lavori insoddisfacenti e senza scopo-che non ha niente a che fare con questa fondamentale necessità fisica.

Questo l’ho scoperto qui, perchè le persone si pongono delle domande su cose che ci erano state presentate come incondizionatamente vere e valide... Io penso che questa sia la situazione ideale, in cui è resa possibile una  ritirata dalla realtà sociale, voglio dire dalla realtà esterna; infatti, in modo quasi paradossale, diventa inevitabile in genere affrontare la realtà” [81].

In definitiva Kingsley Hall ha offerto un rifugio, un luogo sicuro, a chiunque avesse voluto sfuggire dalla sua posizione insostenibile.Un luogo dove le persone hanno potuto sperimentare veramente cosa significa essere sè stessi, anche se questo per il mondo rappresentava il disordine e la malattia. Un  “Asylum” dove potersi lasciare andare ,  per regredire nel proprio passato personale, e anche oltre, per così cambiare, trasformarsi, e divenire persone autentiche.

E’ straordinario il caso di una signora, Mary Barnes che andò indietro fino a un tempo precedente quello della nascita, e poi ritornò di nuovo. “Mary Barnes svolgeva il lavoro di assistente caposala in un ospedale; era il  tipo del sergente maggiore in gonnella:efficiente, rigida, organizzata, e si dedicava con passione al suo lavoro.Essa aveva cominciato a sentire, così si espresse, di aver smarrito se stessa ad un certo punto della sua vita.. Da giovane aveva avuto l’esperienza di una crisi psicotica, quando poi uscì dall’ospedale  riuscì in quache modo ad avere una vita normale.Ma lei continuava a sentire il bisogno di ritornare a rivivere quell’esperienza., aveva l’impressione che solamente regredendo avrebbe

avuto qualche possibilità di ritrovare sè stessa e quindi vivere in un modo non falso..pochi giorni dopo il suo arrivo a Kingsley Hall ella stava “regredendo” considerevolmente, come non avevo mai visto altri fare. Conservava ancora il suo lavoro all’ospedale che si trovava a circa un’ora di distanza. Andava al lavoro, ritornava, si spogliava, si adagiava su un materasso posto su un pavimento e diventava, nel corso della notte, incontinente nell’urina e nelle feci; si alzava , faceva un  bagno e andava nuovamente a lavoro alle 6 del mattino, adempiendo ai suoi compiti di assistente caposala. Continuò così per alcune settimane poi scrisse una lettera convenzionale dicendo di aver bisogno di assentarsi dal suo lavoro per un certo tempo. La lettera fu accettata. Si fermò a Kingsley Hall ed in breve tempo entrò completamente nelle fasi di regressione. Durante la regressione perse tutte le sue risorse al punto da dover essere nutrita con  un biberon ogni due o tre ore. Questo era l’unico cibo che accettava. Si ricopriva con le proprie feci ed appariva in estremo disordine.Di tutto ciò è facile parlare, ma non era facile viverlo. Diventò magra al punto da sembrare un mucchietto di ossa. Smise di parlare e non era in grado di reggersi sulle gambe.Era ormai estremamente debole quando ebbe un’emorragia uterina per cui fu necessario il ricovero in ospedale.Nessuno capì perchè fosse accaduto. In ospedale le si manifestò un blocco alle feci. Le feci dovevano essere rimosse con le dita. Per quanto la riguardava, quando le domandarono se tutto andava bene disse di sì. Voleva continuare.Secondo il resoconto fatto da lei stessa, essa regredì sino a prima della sua nascita. A dire il vero essa disse di voler regredire sino a prima della sua incarnazione.

Quando raggiunse il punto estremo della regressione volle che noi si rilevasse completamente il suo corpo, voleva consegnarci il suo corpo, in modo che avremmo potuto vedere il cibo entrare, le feci uscire. Non voleva neppure evacuare l’intestino. Desiderava abbandonare il suo corpo completamente. A quel tempo guardandola si aveva l’impressione che vi fosse riuscita in misura considerevole. Sembrava si stesse avvicinando ad uno stato assai simile alla morte fisica. , come pure alla morte simbolica..

Essa “tornò su” di nuovo davanti agli occhi di coloro che la conoscevano. Quando era “giù”, aveva cominciato a dipingere, cosa che non aveva mai fatto prima del 1965. Per fare i suoi primi dipinti aveva cosparso di feci con le dita i muri della sua stanza. Dal 1967 ha dipinto su tela con colori a olio.Ha venduto parecchi quadri e ha organizzato parecchie mostre aperte al pubblico. Inoltre a scritto delle poesie e delle brevi novelle” [82].

Naturalmente non tutti sono pronti o hanno bisogno di compiere un tale viaggio, per cui la regressione non è un’esperienza che viene provocata a scopo terapeutico, ma è un’esigenza che deve partire dalla persona interessata, e che deve essere vissuta in libertà.

Laing non ha proposto  una cura, ma  ha offerto solo un luogo dove ognuno avesse la possibilità di cercare e costruire la via migliore per uscire dalla confusione. L’importante è che queste persone riescano esprimere le loro fantasie, paure, e le vivano in pieno senza cercare di cacciarle, semplicemente perchè  sono considerate, dagli psichiatri e della cultura in genere, come delle espressioni patologiche che non hanno altra funzione che disturbare il paziente. I comportamenti considerati patologici e inutili sono ad esempio, l’agitazione, l’eccitamento, il ritiro, l’acting-out, e i comportamenti ritualistici, che vengono sistematicamente repressi. Invece per Laing tutti questi comportamenti devono essere espressi liberamente, poichè possono essere un mezzo di trasformazione. Ecco quindi l’importanza di un luogo dove non esistono divieti di questo genere e dove esiste la “possibilità dell’ imprevisto[83],che può portare a  risolvere qualche dilemma.

Ecco un esempio del potenziale liberatorio dell’acting-out:

“Un giovane di 25 anni , che vive a Kingsley Hall, aveva avuto il terrore di essere visto. Percepiva il suo corpo come morto ed aveva inoltre l’impressione di essere donna nella parte sinistra e uomo nella parte destra; di essere allo stesso tempo un uomo molto vecchio ed una donna molto giovane...poteva essere considerato un cimitero  nel quale fossero state sepolte diverse generazioni della sua famiglia. Egli aveva subito due operazioni per ernia inguinale ed aveva il terrore di essere castrato. Così egli era morto, uomo ,donna, di età differenti,, simile ad un burattino afflosciato, terrorizzato dalla castrazione o dall’idea di essere guardato. Durante la sua permanenza a Kingsley Hall egli decide di provare a fare, nell’edificio, ciò di cui maggiormente aveva paura. Escogitò una strategia”antifobica” che si accinse a mettere in pratica (“act- out”). Si tolse i vestiti ed andò in giro nudo, cominciò a dipingersi sia la faccia che il corpo. Trasformò il proprio viso in quello di creature assai bizzarre: per esempio, una vecchia prostituta, di cui imitava i gesti, le intonazioni, ecc. Alcune di queste trasformazioni apparivano demoniache e terrorizzanti agli altri. Egli cercava di far comprendere agli altri quello che sentiva e di tradurre in realtà drammaticamente partecipata gli “oggetti” interiori che egli aveva sempre ,nello stesso tempo, avuto terrore che gli altri conoscessero.

 L’urto di questa forma di comunicazione era cento volte maggiore del dire “mi sento diabolico” e “ho l’impressione di essere una prostituta”.

Mentre quest’uomo si trovava a kingsley Hall, vi giunse un giovane di 19 anni che era stato in manicomio per un anno.

 Costui andava in giro con un grande uccello sulla testa, poggiato sul cappello. I due non si erano incontrati . Ero seduto nella cucina e Jack(il fantasma) era accanto al lavandino, nudo, dipinto. Aveva una scatoletta di talco con il quale si stava cospargendo i genitali.Era abituato a girare con una scatoletta di talco con il quale si cospargeva i genitali per un po'. Poichè aveva molta paura che succedesse qualcosa ai suoi genitali, cercava di camminare molto eretto, in contrasto con la sua andatura abituale. Prima della sua nudità antifobica si copriva abitualmente, con qualsiasi tempo, con molti strati di abiti, un impermeabile e sul tutto un cappotto grande e pesante, lunga e largo, diverse taglie più della sua. Tutto ciò per difendere i suoi genitali. Camminava come un vecchio. Ora invece cercava di fare esattamente l’opposto, mostrandosi piuttosto che nascondersi. Nella cucina entrò il tipo con l’uccello sulla testa. Egli fu assai rapido nell’afferrare la situazione non appena vide David, e tirò fuori rapidamente una Luger ed esplose un colpo mirando direttamente ai genitali di lui. Il peggio era accaduto. Per una frazione di secondo sia David che io non sapemmo se la pistola era carica o meno. La pistola sembrava vera  ed aveva fatto un suono vero. In realtà non era carica. David guardò e vide che i suoi genitali erano ancora lì al posto loro.

In pochi secondi seguenti egli perse circa il 50 percento della sua ansietà di castrazione. In seguito non fu mai così terrorizzato. Perse in quel incidente tanta della sua ansietà di castrazione quanta ne aveva persa nei quattro anni durante i quali lo avevo avuto in cura. Nessuna interpretazione avrebbe potuto essere più primitiva come quell’atto drammatico assolutamente imprevedibile ed irripetibile. A kingsley Hall abbiamo sperato di avere un luogo dove potessero verificarsi simili incontri” [84].

 

 

L’ESPERIENZA PSICOTERAPEUTICA

Paragrafo 4.3

 

La fenomenologia sociale di Laing non presuppone un approccio terapeutico sistematico, come possiamo ritrovare, invece, nella psicanalisi, nella terapia comportamentale o in quella sistemica, le quali, in base al loro approccio teorico, definiscono anche un metodo di cura.

A Laing risulta estraneo il concetto di cura perchè, come abbiamo detto, egli  rifiuta la nozione, culturalmente definita, di malattia: non esistono comportamenti sani e comportamenti malati, esiste solo una vastità di esperienze, tutte reali e significative.

Inoltre Laing rifiuta di assumere un’impostazione dogmatica, che lasci fuori la complessità dell’essere umano. La psicologia, se vuole essere all’altezza del suo compito, deve mettere davvero al centro del suo studio la persona, con le sue complesse relazioni con sè stessa e il mondo, lasciando invece da parte quelle impostazioni che con i loro costrutti  teorici analitici creano delle barriere per una reale comprensione dell’uomo.

L’uomo, come abbiamo già detto, è  una totalità: è la risultante di diverse realtà, che non si possono classificare semplicisticamente come interne e esterne, reali o fantastiche. Ogni volta che cerchiamo di capire l’altro, servendoci di costrutti teorici, che trasformano l’altro da un soggetto intenzionale ad un oggetto di studio dentro il quale avvengono dei processi, ci si allontana sempre di più dalla reale conoscenza dell’altro.

Ma bisogna “orientarsi verso questa  persona in modo da lasciare aperta la possibilità di comprenderla[85]”, laddove comprendere non significa semplicemente essere empatici e intuitivi, ma essere capaci di cogliere l’essere-nel-mondo-dell’individuo, operazione che consiste nel mettere i suoi atti in relazione al suo modo di vivere la situazione in cui si trova con noi. Bisogna essere in grado di ricostruire, attraverso l’analisi e l’osservazione di ciò che è oggi, il suo progetto esistenziale.

Che vuol dire leggere il passato attraverso ciò che si è ora e ciò  che si vorrebbe essere domani. Comprendere quindi è un processo dialettico regressivo - progressivo. Senza comprensione, così intesa, non c’è psicoterapia che tenga; se si tratta l’altro semplicemente come un paziente  e non come uno come me, non ci può essere terapia efficace. Infatti “la psicoterapia deve restare l’ostinato sforzo di due persone di recuperare l’integrità dell’essere umano tramite il rapporto che c’è tra loro”[86]. Non è possibile nessuna terapia se non si ridà dignità al “paziente” e se si continua a considerare lo schizofrenico semplicemente un malato che non agisce intenzionalmente e dove tutti i suoi comportamenti sono i   sintomi di un processo patologico.

Secondo Laing, il primo errore delle teorie classiche è quello di partire da una diagnosi di tipo medico: questo comporta necessariamente l’etichettare una situazione; ad esempio dire: “questa persona che presenta questi sintomi è affetta da polmonite”; tale dichiarazione medica non modifica la situazione che va a diagnosticare. Ma,al contrario, quando uno psichiatra diagnostica una schizofrenia questa sua  azione  produce, invece, un cambiamento della situazione.

Infatti,  il terapeuta,  non appena interagisce con la situazione, mette già in atto, nolente o volente, un cambiamento, “d’altra parte, l’intervento comincia a modificare anche noi, non solo la situazione[87]”. Bisogna quindi superare il modo medico di fare diagnosi, e introdurre un modo di fare diagnosi che permetta, di “discernere la scena  sociale”[88]. Discernere la scena sociale significa  scoprire la situazione, attraverso i diversi racconti dei componenti, che molto spesso ignorano ciò che veramente è successo. “Un modo di scoprire di che natura è una situazione è di riunire nello stesso luogo, alla stessa ora, l’insieme di persone in cui, fin dall’inizio,abbiamo buone ragioni di identificare gli elementi chiave della situazione.[89]

Tramite questa relazione il terapeuta deve essere in grado di ricostruire la storia familiare,  la prassi che ha condotto uno dei suoi membri alla confusione. Il terapeuta insieme alla persona interessata deve cercare di sciogliere il nodo, non proponendo interpretazioni dogmatiche, ma piuttosto cercando di demistificarlo e facendogli comprendere  che la sua confusione ha una ragione , che non è dovuta a uno sconosciuto processo patologico. Certo è che “è ingenuo aspettarsi che, rivelando ad un individuo il nostro modo di vedere le sue azioni, lo metteremo in grado di mutare il suo comportamento.”[90]

Qui subentra il gravoso problema della cura; Laing rifiuta la concezione comune, finalizzata a  riportare la persona alla  “normalità”, che parte da una visione riduttivistica dell’esperienza umana. Per Laing non c’è cura perchè non c’è una malattia. Bisogna essere semplicemente abbastanza tolleranti da accettare la diversità dell’altro, anche quando quest’ultimo ci può  sembrare assurdo.  

Bisogna permettere alla persona confusa di capire cosa gli è successo e poi,  liberamente,  lasciarla esprimere: come abbiamo visto, quei comportamenti considerati patologici, hanno invece in sè un potenziale liberatorio.

Cercare di reprimere riti, voci, deliri, non porta alla guarigione ovvero alla scomparsa di questi, ma li porta  addirittura a peggiorare.

Ad esempio più si cerca di non ascoltare le voci[91], più queste si intromettono, suggerendo anche cose orribili, a cui il soggetto è impreparato e che lo possono spingere a commettere degli spropositi. Invece bisognerebbe aiutare questa persona ad accettare la presenza di queste voci e considerarle reali; inoltre dovrebbe imparare ad ascoltarle, discernendone il contenuto e, quindi, imparando a conviverci. Tutto questo non è certo facile da attuare per la persona in questione, ma è sicuramente fonte minore di confusione e terrore rispetto al dover combattere sè stessi. La dimostrazione di come le voci non siano qualcosa di negativo e patologico ci viene data dall’esperienza di alcuni Santi che erano combattuti tra voci demoniache e divine. Eppure queste persone non sono state considerate pazze, perchè hanno avuto intorno a loro un contesto che le ha credute ed accettate. Anche la nostra religione cattolica,  in fondo,  parte da esperienze di voci: ad esempio la Voce che chiese ad  Abramo il sacrificio di Isacco. E’ il contesto a definire se un’esperienza è patologica o mistica. Se si vuol parlar quindi di terapia ,dobbiamo pensare ad una rivoluzione culturale, che smetta di negare in maniera sistematica la vastità delle esperienze umane.

Il terapeuta, per Laing, deve essere come una guida spirituale, che segue il suo discepolo nella sua evoluzione, che non propone soluzioni, ma che consente, a se stesso e al paziente, di cercarle insieme.

Concluderei con queste affermazioni di Laing: “Il rapporto psicoterapeutico è dunque una ricerca, sempre rinnovata e ripresa, di ciò che tutti abbiamo perduto, e che forse alcuni sono in grado di sostenere un po' più facilmente degli altri, così come alcuni resistono meglio degli altri alla mancanza d’ossigeno, e questa ricerca si avvale della condivisa esperienza di un’esperienza riacquistata qui ed ora nel corso di un rapporto terapeutico e grazie ad esso.  E’ vero che l’impresa psicoterapeutica comporta delle regole, delle strutture direi burocratiche, che determinano la sequenza, il ritmo, il tempo musicale dell’azione terapeutica considerata come un processo esteriore, e che queste possono e debbono essere studiate con obiettività scientifica. Ma i momenti veramente decisivi, come sa ogni paziente e ogni terapeuta che li abbia sperimentati, sono imprevedibili, unici, indimenticabili, per sempre irripetibili e sovente indescrivibili. Questo significa forse che la psicoterapia debba essere una religione pseudo esoterica? No . Dobbiamo continuare a lottare in mezzo alla nostra confusione, dobbiamo insistere a voler essere uomini.”[92]

 

 

CONCLUSIONE

                                                                                                                                                                                            

Laing con le sue idee è riuscito a mettere in moto un cambiamento, negli anni 70, che è arrivato anche in Italia con l’esperienza di Franco Basaglia[93] e la sua lotta contro i manicomi. Lotta che approdò nella famosa legge n° 180 del 13 maggio 1978, ma che tuttora non ha portato gli effetti sperati, sopratutto perchè non ha contribuito, in maniera sostanziale, al rinnovamento  concettuale ed operazionale della psichiatria, senza poi considerare i ritardi sul piano operativo. Tale rinnovamento è oggi, più che mai , necessario poichè  ci  troviamo  di fronte a nuove situazioni problematiche. Mi riferisco  prima di tutto alle caratteristiche della nostra società  che Pietro Coppo ha definito “normalmente psicotica[94], ovvero narcisista, autistica, abitata da stereotipi e fantasmi che si continuano nella fragilità di un Io passivo, attivo solo  nei processi mimetici. E’ evidente che, in questo scenario, risulta difficile individuare lo psicotico da trattare, specie se si considera l’accaduto recente, ovvero gli atti criminosi compiuti da persone insospettabili che vivevano una vita “normale” ed erano socialmente integrati. Si pensi ad esempio ai casi  di delitti efferati compiuti da giovani serial killers di cui la cronaca quotidiana ci dà notizia.Nessun segnale insomma faceva trapelare la reale situazione interiore di queste persone (vd il caso di Pietro Maso). Questa “psicopatologia da post-modernità[95], fa cadere la certezza data da un comportamento normale e  adattato.

Bisogna porsi a questo punto nuove domande, sui meccanismi sempre più schizogeni della nostra società e sulla possibilità e necessità, oggi, di definire in categorie standard ciò che è normale. Questo è sempre più difficile vista la presenza di una molteplicità di comportamenti nuovi, inconcepibili in passato, che oggi trovano spazio e possibilità d’espressione. L’ultima frontiera, a quanto pare, rimane la follia, nei confronti della quale, però,  si continua ad avere paura. Ma c’è oggi chi ancora crede nel rispetto delle  possibilità umane, e che cerca di sperimentare nuove vie, alternative alla psichiatria. Mi riferisco all’esperienza di Giuseppe Bucalo che, a Furci Siculo, ha cercato di rendere possibili le esperienze dei folli, evitando di definirle e di curarle. Un’attività volta non a creare un luogo ad hoc, dove, si concede e permette che le persone, gli ospiti, si divertano, lavorino o facciano qualsiasi altra cosa; ma un’attività, quella teorizzata da Bucalo, finalizzata  a permettere a queste persone di vivere la loro esperienza; il che non significa abbandono e indifferenza, ma significa lavorare per la costituzione di reti non psichiatriche: “ovvero a una rete di persone e occasioni ordinarie che permettano di muoversi e comunicare senza fare o avere paura.Un gruppo di persone che pratica il confronto attivo con i comportamenti e le esperienze straordinarie e testimonia la possibilità di uno scambio, di una tolleranza e di una dialettica fra i mondi possibili della percezione umana.”[96]

L’esperienza di Bucalo, come quella di altri in altre parti di Italia, tuttavia, non può bastare per rinnovare la psichiatria, giacchè queste esperienze rimangono isolate e vengono  relegate nell’ambito dell’antipsichiatria.

Credo che però il progressivo espandersi dei confini e la presenza di società multietniche, renderà obbligatori dei cambiamenti a livello teorico e pratico, per poter rispondere alle diverse esigenze e problematiche strettamente legate alle diverse  culture. Attualmente è in atto una forte rivalutazione ed integrazione, che ci si augura possa contribuire all’auspicato rinnovamento, di varie tecniche medico terapeutiche; infatti, la  medicina ufficiale è, oggi, più disponibile e aperta al confronto: ciò è dimostrato dalla  riscoperta di certe pratiche antiche, per secoli bandite dalla prassi ufficiale, e dall’interesse verso i saperi e le tecniche mediche orientali a fondamento delle quali vi è una  visione olistica ed unitaria dell’uomo.Credo che proprio un rinnovato punto di vista sia quanto mai necessario e dovuto nei casi di persone che vivono un’esperienza di confusione e disperazione, un nuovo modo che   privilegi, appunto, un rapporto sempre più umano nei confronti del paziente e che rifiuti quell’approccio medico terapeutico riducente l’uomo a semplice  oggetto di analisi e studio. Riconosco, in tal senso, proprio nella teorizzazione di Laing un punto di vista rinnovato ed  alternativo e mi auguro, che, dimostrata la modernità del cuore del suo pensiero, al di là della contingenza temporale,  si possa rivisitare la sua opera   e coglierne i frutti per futuri cambiamenti teorici e pratici.

 

 

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·      Maria Grazia Cancrini, La trappola della follia, La Nuova Italia scientifica ed. , Roma, 1983

·      Luigi Cancrini , Verso una teoria della schizofrenia, Boringhieri ed. ,Torino,1977

·      D. Cooper , Psichiatria e Antipsichiatria, Armando Editore, Roma ,1969

·      D. Cooper,  La morte della famiglia, Einaudi Ed. , Torino, 1972

·      Contro Tempo Forme dell’esperienza della modernità. Matti da Slegare Memorie di un utopia Ed. Moretti & Vitali , Milano, 1998, Rivista Anno II , ottobre ‘97 - Maggio’98 n° 3 e 4

·      A. Esterson  e R.D.Laing Normalità e follia nella famiglia, Einaudi Ed. , Torino, 1970

·      A. Esterson , Foglie di primavera. Un indagine sulla dialettica della follia, Ed. Einaudi, Torino, 1973

·      H. F. Ellenberger, La scoperta dell’inconscio. Ed. Bollati Boringhieri, Torino, 1976

·      M. Foucault, Storia della follia, Ed. Rizzoli , Milano, 1963

·      M. Foucault, La nascita della clinica,

·      G. Fossi ,S. Pallanti, Manuale di Psichiatria,Casa Ed. Ambrosiana, Milano, 1998

·      S. Freud, L’intrpretazione dei Sogni, Demetra Ed., Verona, 1995

·      S. Freud, Introduzione alla psicanalisi, Bollati Boringhieri Ed., Torino, 1995

·      E. Goffman, Asylum, Ed. Einaudi, Torino, 1968

·      M. Heidegger, Essere e Tempo. L’essenza del fondamento. Utet Edizioni, Torino, 1969

·      A. Hoffman, I Misteri di Eleusi, Stampa Alternativa, Viterbo, 1993

·      Don D.Jackson e P. Watzlawich , Pragmatica della comunicazione umana. Studio di modelli interattivi. Astrolabio Ed. , Roma, 1971

·      C. Jung , Ricordi Sogni Riflessioni. Saggi Bur Rizzoli Ed., Milano, 1992

·      R. D. Laing , I fatti della vita, Ed. Einaudi, Torino, 1978

·      R.D. Laing, La politica della famiglia, Ed. Einaudi, Torino, 1973

·      R.D. Laing, La politica dell’esperienza e l’uccello del paradiso., Ed. Feltrinelli, Milano, 1968

·      R.D.Laing , Mi ami?, Ed. Einaudi, Torino, 1979

·      R.D. Laing, Nodi, Ed.Einaudi, Torino, 1974

·      R.D.Laing, L’io diviso, Ed. Einaudi, Torino, 1969

·      R.D. Laing, L’io e gli altri. Psicopatologia dei processi interattivi,Super Saggi Bur Rizzoli, Milano, 1996

·      R.D. Laing, Conversando con i miei bambini, Mondadori Ed. , Milano, 1979

·      R.D. Laing e D. Cooper, Ragione e Violenza, Armando Editore, Roma, 1973

·      R.D. Laing, Nascita dell’esperienza, Mondadori ed., Milano, 1982

·      R.D. Laing, Intervista sul folle e sul saggio, Laterza ed. ,Bari Roma , 1979

·      R.D. Laing , H. Philipson, A. R.Lee, La percezione interpersonale: una teoria e un metodo di ricerca, Ed. Giuffrè, Milano, 1983

·      R.D.Laing, Metanoia, alcune esperienze di Kingsley Hall. In L’Altra Follia: mappa ontologica della psichiatria alternativa, ed. Feltrinelli , Milano, 1976

·      Rossi Monti, Psichiatria e fenomenologia, ed. Feltrinelli, Milano

·      Malagoli Togliatti, Psicodinamica delle relazioni familiari, ed. Il Mulino, Bologna, 1996

·      J. W. Perry, La dimensione nascosta della follia, Liguori ed. , Napoli, 1980

·      J.P.Sartre, L’Essere e il Nulla, Saggiatore ed. ,Milano, 1972

·      J.P.Sartre, Critica della ragione dialettica, Il Saggiatore ed. , Milano, 1963

·        J.P.Sartre, Questioni di metodo, Il Saggiatore ed., Milano, 1963

·      J.P. Sartre, Psicologia fenomenologica dell’immaginazione, Einaudi ed. , Torino, 1960

·      J.P. Sartre, Saint Janet commediante e martire, Il Saggiatore ed. , Milano, 1972

·      T. S. Szaz, Il mito della malattia mentale,

 

 

 







[1]R.D.Laing e  A.Esterson,Normalità  e follia  nella famiglia, tr.it.

Einaudi,1970,Torino,intervista con R.D.Laing di L.J.Comba, pag  35

 

[2]R,D. Laing   La politica dell’esperienza  e L’ uccello del paradiso tr.it.

,Milano ,Edizione Feltrinelli 1958   pag.130

 

[3]R.D.Laing . Nascita dell’esperienza ,  tr.it.A.Mondadori ,Editore  !982  pag.26

 

[4]J.P.SARTRE ,Immagine e coscienza ,Psicologia fenomenologica

dell’immaginazione,Torino,Einaudi,1960

 

[5]L.Binswanger da  Psichiatria e Fenomenologia di Mario Rossi Monti

Loescher editore Torino 1978  pg.80

 

[6]R.D:Laing  tr.it. La politica dell’esperienza e l’uccello del paradiso ,

Milano,Edizione Feltrinelli  1968,  vd pag17.  Per maggiori chiarimenti 

si veda  J.P.Sartre, tr.it. Immagine e Coscienza ,Psicolgia

fenomenologica dell’immaginazione ,Torino,G.Einaudi ,1960.

 

[7]R.D.Laing ,tr.it. La politica dell’esperienza ,Milano,Edeizione

Feltrinelli, 1968.vd. pag 20

 

[8]Per chiarimenti si veda ;R.D.Laing e D.G.Cooper,tr.it. Ragione e

violenza,Editore Armando Armando1973.

J.P.Sartre,tr.it.Critica della ragione dialettica, Il

Saggiatore,Milano.!963.

 

[9]R.D.Laing ,H.Philipson,A.R.Lee, tr.it. La percezione interpersonale,

una teoria e un metodo di ricerca, Milano, Giuffrè,1983,vd. pag. 3

 

[10]R.D.Laing,H.Philipson,A.R.Lee ,TR.It. La percezione

interpersonale.Teoria e un  metodo  di ricerca ,Milano.Giuffrè ,1983.

vd-pag.6

 

[11]R.D.Laing, H. Philipson,A.R.Lee op. cit.,pag. 10

 

[12]R.D.Laing ibidem ,

 

[13]R.D.Laing ibidem

 

[14]R.D.Laing ,op. cit. p. 25

 

[15]J.P.Sartre ,Questioni di metodo, incluso in Critica della Ragione

dialettica,Il Saggiatore, Milano1963, pag 76

 

[16]J.P.Sartre,op.cit. pag75

 

[17]J:P.Sartre,op.cit.pag85.

 

[18]J.P.Sartre, L’essere e il nulla,il Saggiatore,Milano,1972.Pag 259

 

[19]J.P.Sartre,tr. it.Questioni di metodo ,incluso in Critica della Ragione

dialettica,Il Saggiatore,Milano 1963, da pag102

 

[20]Aaron Esterson ,Foglie di prima vera.Un’indagine sulla dialettica

della follia.Giulio Einaudi Editore ,Torino1973.Pag 236 237

 

[21]R.D.Laing,tr.it. Intrvista sul folle e sul saggio,Laterza,Bari 1979,pag

92 93

 

[22]Da il “Miracle de le rose” di J.Genet.Citato da D.P.Sartre  in Santo

Genet  commediante e martire.Il Saggiatore,,,,,Milano 1972,pag 336.

 

[23]R.D.Laing ,tr.it. L’io e gli altri .Psicopatologia  dei processi

interattivi..Einaudi.Torino 1969, pag39-41.

 

[24]R.D.Laing. tr.it. L’io e gli altri,. Psicopatologia dei processi

interattiviEinaudi ,Torino 1969, pag151

 

[25]R.D.Laing,. Tr.it. L’io diviso .Studio di psichiatria

esistensiale.Einaudi editore, Torino,1969,pag 49

 

[26]R.D.Laing, tr.it. I ‘io e gli altri.Psicoterapia dei processi

interattivi.Einaudi editoe, Torino1969, pag 52.

 

,[27]R.D.Laing,tr.it. L’io diviso,Giulio Einaudi,Torino1969, pag53.

 

[28]R.D.Laing  ibidem pgg 64-68

 

[29]J.P.Sartre. Tr.It. L’essere e il nulla .Il Saggiatore,Milano 1965, pag

339.

 

[30]J.P.Sartre “L’essere e il nulla”  edizioni Il Saggiatore , Milano 1972 

pag 95

 

[31]R:D.Laing Tr.it..L’io e gli altri.  Psicopatologia dei processi

interattivi..Einaudi editoe , Torino,1969, pag 44.

 

[32]R.D:Laing ,ibidem.

 

[33]R.D.Laing. Tr.it: L’io diviso, einaudi, torino, 1969, pag 81.

 

[34]R.D.LaingTr.it. L’io diviso.Studio di psichiatria esistensiale.Giulio

 

Einaudi Editore,1969,Torino,pag  165.

 

[35]Ibidem, R.D.Laing

 

[36]R.D.Laing, L’io e gli Altri. Psicopatologia dei  processi

interattivi.,Tr.It. Einaudi editoe,1969, pag 125

 

  [37]Ibidem, R.D.Laing.

 

[38]Ibidem ,R.D.Laing.

 

[39]Per maggiori approfondimenti si vedano : Don. D. Jackson e

Watzlawich , Pragmatica della comunicazione umana. Studio di modelli interattivi. Edizioni Astrolabio Roma 1971 e G.Bateson Verso un’ecologia della mente edizine Adelphi Milano 1997

 

[40]R.D.Laing,Tr.it. La politica della famiglia.Le dinamiche del gruppo

familiare nella nostra società.,Giulio Einaudi Editore,Torino,1973, pag 84

 

[41]Ibidem,R.D.Laing,pag 60 61.

 

[42]Ibidem R.D.Laing,pag19 –20

 

[43]Laing attinge a quanto detto da Sartre in Critica della ragione

dialettica. In riferimento alla formazione dei gruppi , e alla loro azione nell storia.

 

[44]R.D.Laing, tr.it. La politica dell’esperienza,Feltrinelli Editore, Milano,1968, pag88.

 

[45]R.D.Laing, Tr.it.,L’io e gli altri,Psicopatologia dei processi

interattivi,Einaudi Editore,Torino ,1969, pag 157.

 

[46]Ibidem,R.D.Laing, pag 184

 

[47]Miistificazione,confusione,conflitto.  Di R.D.Laing  ,in L’altra 

pazzia. Mappa ontologica della psichiatria alternativa.,Feltrinelli

editore, Milano, 1975, pag 317.

 

[48]Ibidem, R.D.Laing, pag321.

 

[49]R.D.Laing, L’io e gli altri. Psicopatologia dei processi interattivi,

Einaudi Editore,Torino,1969. pag 165

 

[50]R.D.Laing, Mistificazione,confusione e conflitto. in L’altra pazzia.

Mappa ontologica della psichiatria alternativa.Feltrinelli Editore, Milano,1975, pag325.

 

[51]Ibidem, G.Bateson, pag 253.

 

[52]Ibidem,G.Bateson, pag263.

 

[53]R.D.Laing, Mistificazione,confusionee conflitto , in L’altra pazzia.

Mappa ontologica  della psichiatria alternativa., Feltrinelli Editore,   1975, 326.

 

[54]F.Basaglia F.Basaglia Ongaro, Maggioranza deviante. L’ideologia del

contratto sociale totale. Einaudi Editoe, Torino, 1971, pag 14.

 

[55]Ibidem F.Basaglia, pag 20.

 

[56]Per un approfondimento si  veda : M.Foucoult, Storia della follia,Rizzoli Editore,Milano, 1963.

Henri F.Hellemberger ,La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria dinamica,Edito da Bollati Boringhieri ,Torino, 1976.

 

[57]Albert Hoffman , I misteri di Eleusi, Stampa alternativa 1993

 

[58]John Weir Perry,  Tr.it. La dimensione nascosta della follia, Liguori Editore, Napoli, 1980, pag  59

 

[59]R.D. Laing, Tr.it., La politica dell’esperienza, Feltrinelli Editore,Milano, 1968, pag 133.

 

[60]Silvano Arieti, Interpretazione della schizofdrenia , Feltrinelli Editore, Milano,1963, pag 343.

 

[61]Carl Gustav Jung, Tr.it. , Ricordi, Sogni ,Riflessioni. Raccolti ed editi

da Anila Jaffè, Edizione Rizzoli, Milano, !998 ,pag 245.

 

[62]Ibidem, C.G.Jung, pag 233.

 

[63]R.D.Laing, Tr.it. La politica dell’esperienza, Feltrinelli Editore,

Milano, 1969, pag 145.

 

[64]R.D.:Laing,Tr.It. La politica dell’esperienza, Einaudi Editore, Torino,

1969, pag 128 129.

 

[65]R.D.Laing, Tr.It. ,Nascita dell’esperienza,Arnaldo Mondadori Editore, Milano, 1982,pag153.

 

[66]A.Esterson, Tr.It., Sul crollo mentale, da  La follia, Documenti del

Congresso internazionale di psicanalisi, Milano,!-4 dicembre 1976, 

Feltrinelli Editore, Milano, !977 ,pag 210.

 

[67]R.D.Laing, Tr.It., Intervista  sul folle e il saggio, Laterza,Bari, 1979, pag 111.

 

[68]R.D.Laing, Tr.It. ,Nascita dell’esperienza, Mondadori, Milano,1982, pag 150.

 

[69]S.Freud, Tr.It., L’interpretazione dei sogni, Demetra, Ferlina, 1995, pag 353.

 

[70]Ibidem, S.Freud, nota  agguiunta all’opera  del 1899, pag 354

 

[71]S.Freud, Tr.It., Introduzione alla psicanalisi,, Bollati Boringhieri,

Torino, 1995, pag357.

 

[72]Ibidem,R.D.Laing, pag116,117.

 

[73]Ibidem, R.D.Laing, pag122,123.

 

[74]David Cooper, Tr.It. La morte della famiglia, Einaudi editore, Torino, 1972, pag 59.

 

[75]R.DLaing, Tr.It. La politica dell’esperienza, feltrinelli Editore, 1968, Milano, pag 128

 

[76]A.Sabbadini, Le comunità antipsichiatriche inglesi, tratto da  L’altra

pazzia, Feltrinelli Editore, Milano, 1976, pag103

 

[77]R.D.Laing, Tr.It. La politica  della famiglia, Einaudi Editore, Torino, 1973, pag 58.

 

[78]M. Schatzman, Pazzia e morale, da  L’altra pazzia, Feltrinelli Editore, Milano, 1976, pag 130

 

[79]Ibidem, M.Schatzman, pag  130

 

[80]Ibidem, M.Schatzman, pag 301.

 

[81]Ibidem,M.Schatzman, pag 128.

 

[82]R.D.Laing, Metanoia: alcune esperienze a Kingsley Hall, Londra, da 

L’altra pazzia, Feltrinelli Editore, Milano 1976,Pag100.

 

[83]R.D.Laing, Tr.It. La politica della famiglia, Einaudi

Editore,Torino,1973,pag 58.

 

[84]R.D.Laing, Metanoia: alcune esperienze a Kingsley Hall,Londra, da

L’altra pazzia, Feltrinelli Editore, Milano, 1976, pag 101.

 

[85]R.D.Laing, Tr.It. L’io diviso.Studio di psichiatria esistenziale, Einaudi Editore,Torino,1969, pag 39.

 

[86]R.D.Laing, Tr.It. La politica dell’esperienza, Feltrinelli Editore,

Milano, 1968, pag 41.

 

[87]R.D.Laing,Tr.It.,La politica della famiglia, Einaudi Editore, Torino, 1973, pag45.

 

[88]Ibidem, R.D.Laing, pag45.

 

[89]Ibidem, R.D.Laing, pag 40.

 

[90]Ibidem ,R.D.Laing, pag47.

 

[91]Giuseppe Bucalo, Sentire le voci,. Giuda all’ascolto, Sicilia Punto L. Edizioni,Ragusa ,1998.

 

[92]R.D.Laing, Tr.It. ,La politica dell’esperienza, Feltrinelli Editore, Milano, 1968, pag 54-55

 

[93]Vd  F. Basaglia, F.Basaglia Ongaro, Lamaggioranza deviante

ediz.Einaudi Torino 1971;

e F.Basaglia , Che cos’è la psichiatria? Ed. Einaudi torino 1963

 

[94] di Pietro Coppo , Basaglia e poi. nella Rivista”Contro tenmpo forme

dell’esperienza nella modernità   Matti da slegare memoria di un’utopia 

anno II ottobre ‘97 maggio ‘98 Moretti & Vitali edizioni 1998 Milano

pgg39-50

 

[95]P.Coppo ibidem pag.39-50

 

[96]Giuseppe Bucalo, Malati di niente, Manuale di sopravvivenza

psichiatricaGrafton 9,Bologna,,1996,pag 97. e Giuseppe Bucalo,

Dizionario Antipsichiatrico, SiciliaPunto L.Edizioni, Ragusa 1997